Prima lett. Is 40,1-5.9-11 dal Salmo 103 Seconda lett. Tt 2,11-14; 3,4-7 Vangelo Lc 3,15-16.21-22
Isaia annuncia la fine della schiavitù del popolo: è una notizia che deve essere gridata con forza dai luoghi più alti: Dio stesso viene, viene col premio, e viene come un pastore che si cura del gregge.
È la parola di consolazione di cui aveva proprio bisogno il popolo ebreo, ed è la parola di consolazione di cui ha bisogno ogni popolo, in ogni epoca della storia. È la parola di cui abbiamo bisogno noi oggi.
- Pubblicità -
Quante persone sono legate, costrette da vari padroni a vivere diversamente da come desidererebbero! Chi sono i padroni molto esigenti, che non lasciano riposo, né vacanza, né libertà? I padroni che vogliono comandare sono le mode, le ideologie, i discorsi insulsi propinati da dialoghi televisivi, gli occhi indifferenti, curiosi, superficiali dei vicini, dei colleghi di lavoro… e, peggio ancora, i nostri stessi desideri coltivati con egoismo sottile. Quanta tristezza e quanta sofferenza sotto questi padroni, in questa schiavitù scelta liberamente!
“Alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie”! Siamo purtroppo portati ad abbassare il tono, persino a tacere la bella notizia che il nostro Signore Gesù è entrato nella nostra vita, che ci ha liberato dal peso dei nostri peccati, che ci ha dato di aprire gli occhi e di vedere una strada di pace e di comunione con tutti. “Alza la voce con forza”, ci dice Isaia. È ciò che ha fatto Giovanni Battista.
Egli con verità dichiara di essere soltanto uno che prepara l’arrivo di colui che è atteso dal cuore di tutti: è Gesù colui che può entrare nel nostro interno per deporvi lo Spirito Santo affinché in noi si accenda un fuoco di gioia e di amore.
- Pubblicità -
Ecco Gesù, proprio lui viene. Anche lui ascolta Giovanni e riceve il battesimo. Noi vediamo tanta umiltà nella sua discesa nell’acqua, dove prima di lui erano scesi gli uomini carichi di peccato, di superbia, di violenze, di perversioni sessuali, di furti e omicidi, di bestemmie e di eresie, di magie e di inganno.
«Che cosa fai, Gesù in quell’acqua? Tu non sei macchiato della nostra superbia e del nostro egoismo, tu non hai mai commesso quello che noi commettiamo, non hai bisogno di essere lavato. Che cosa fai sotto la mano di Giovanni? Perché scendi in quell’acqua che noi abbiamo annerito?»
Gesù è in silenzio: pesa su di lui un mare di male, di sofferenze, di cattiverie, di suicidi, di avarizie, di ingiustizie, di furti e frodi, di menzogne e di calunnie, di adulteri e di sensualità, di ingiustizie e false opere buone che nascondono vanagloria e superbia. Egli non ci risponde: comincia a portare una croce molto grande, quella che toccherebbe a ciascuno di noi.
Ci risponde invece il Padre, dall’alto dei cieli, dal suo silenzio. Egli ci risponde anzitutto squarciando il cielo. Questo lo richiedeva tutto il popolo con il grido: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!». Invia poi su di lui la colomba, lo Spirito Santo. Come la colomba di Noè, questa colomba indica dove possiamo trovare la vita che Dio dona al mondo: la vita per gli uomini è Gesù, che è gradito al Padre dal momento che prende su di sé il peccato che ogni uomo commette e che nessun uomo ripara.
Gesù, scendendo in quell’acqua, compie un atto d’amore così grande, che il Padre stesso ne rimane commosso: infatti, con il suo gesto pare dica: «Dà a me, o Padre, il castigo meritato da questi peccati che intorbidano l’acqua del fiume della fede e dell’amore, li riparo io offrendomi a te».
L’apostolo Paolo, scrivendo a Tito, ci assicura che proprio «per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro» Dio ci ha salvati, e non l’ha fatto perché noi ce lo meritiamo con delle opere sante da noi compiute, ma solo per esaudire la preghiera che il Figlio gli presenta con l’offerta di se stesso.
Ecco, per questo il Padre, che vuole che ogni uomo sia salvo, riconosce in lui la grandezza e la pienezza del proprio amore, e perciò gli dichiara: «Tu sei davvero mio Figlio, mi assomigli del tutto, il tuo amore è il mio!»