Iª lettura 2Cr 36,14-16.19-23 dal Salmo 136 IIª lettura Ef 2,4-10 Vangelo Gv 3,14-21
Pare che l’inizio della prima lettura sia scritta per i nostri tempi. Anche oggi tra i cristiani, infatti, è viva la tentazione di adeguarsi alle abitudini di chi non ha fede, di chi rifiuta di aderire a Gesù Cristo, e persino di chi apertamente disprezza i comandamenti di Dio.
Non mi riferisco soltanto alle mode di quel vestire che mette in evidenza le singole membra del corpo, anche a costo di provocare negli altri pensieri e desideri sensuali, ma soprattutto al modo di pensare la vita umana, il suo inizio e la sua fine, e la convivenza familiare al di fuori di ogni regola divina, quindi priva di quella sapienza millenaria ed eterna che la rende serena e gioiosa.
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“L’ira del Signore per il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio”. Il popolo senza regole diventa facilmente succube di altri popoli senza scrupoli, che, nonostante la loro ignoranza religiosa, per alcuni aspetti obbediscono a Dio meglio del popolo stesso di Dio. Così il popolo d’Israele si è talmente indebolito, a causa dei suoi peccati, da finire nelle mani di un altro popolo che lo ha deportato lontano e costretto a vivere in schiavitù settant’anni. Si è reso conto così della propria debolezza, soffrendola profondamente, finché non si risolse di rivolgere il proprio cuore al Dio della vita e della pace da cui si era allontanato. Dio infatti è sempre pronto a ricuperare chi si è distanziato da lui, anzi, è lui che desidera il suo ritorno. Purtroppo chi se ne allontana, sia esso una singola persona che un popolo intero, va incontro a conseguenze dolorose, che lo segnano e lo fanno soffrire per tempi lunghi.
Il vangelo ci fa memoria di un altro episodio biblico significativo a questo riguardo: coloro che durante i quarant’anni di cammino nel deserto mormoravano contro Dio, venivano morsi da serpenti velenosi, e morivano. Il peccato, la ribellione a Dio, produce la ribellione del creato contro l’uomo.
È ancora Dio, il Padre, sempre fedele all’uomo, sua creatura, ad intervenire per dare una possibilità di redenzione: coloro che guardano il serpente di rame, innalzato da Mosè sull’asta, guariscono.
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Gesù stesso vede in questo fatto una profezia: l’uomo sofferente e distrutto dal proprio peccato non deve disperare, perché l’amore di Dio ha pensato a questa situazione e ha mandato il Figlio unigenito per la salvezza. Egli è stato innalzato sulla croce “perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Ci stiamo preparando a rinnovare, durante la Veglia pasquale, la decisione di vivere immersi in Gesù, nella sua morte e risurrezione: è l’amicizia con lui che ci salverà dal peccato, e che pian piano allevierà le nostre sofferenze e le sofferenze che il nostro peccato ha procurato al mondo.
Gesù è la luce, che noi, facendo il male, abbiamo rifiutato. Ora dobbiamo e vogliamo ricuperare il tempo e le forze perdute, e dare l’occasione al Signore di risanare le ferite con la misericordia di cui il Padre è ricco, come ci dice San Paolo.
Crediamo nel Figlio di Dio per godere la salvezza e per ricominciare a praticare le “opere buone” già preparate da Dio per il nostro cammino in questo mondo. Saranno opere buone l’osservanza dei comandamenti anzitutto, e poi la generosità verso i nostri fratelli.
Ad essi non rifiuteremo l’aiuto materiale, di cui possono aver bisogno, ma soprattutto non lasceremo mancare l’aiuto spirituale della nostra preghiera, del nostro ascolto della Parola di Dio, della nostra testimonianza. Di questa c’è sempre bisogno, per sostenere la fede di coloro che sono vacillanti.