1ª lettura Ez 17,22-24
dal Salmo 91
2ª lettura 2Cor 5,6-10
✝ Vangelo Mc 4, 26-34
Gesù racconta molte parabole. Ci possiamo chiedere: come fa a inventarsele? No, Gesù non inventa: lui stesso ha detto che ci dice sempre quello che ha sentito dire dal Padre.
Infatti abbiamo ascoltato il profeta Ezechiele che parla del progetto di Dio: egli staccherà un ramoscello da un albero per piantarlo in alto, in luogo ben visibile a tutti su di un monte imponente. Questo ramoscello diverrà a sua volta un albero magnifico che prende il posto della foresta, e darà ospitalità agli uccelli del cielo. Gesù sviluppa questa immagine in alcune delle sue parabole.
Ezechiele ci ha detto che, quando Dio si mette all’opera, agisce così: usa qualcosa di già esistente, qualcuna delle sue creature deboli e fragili, per sorprenderci, per compiere le sue meraviglie. Dio ha visto che il suo popolo non realizzava il suo amore, e perciò volle sostituirlo. Noi comprendiamo allora che quel ramoscello, nuovo germoglio, è Gesù, il Figlio di Davide della tribù di Giuda. Lui verrà staccato dal suo popolo per dare origine ad un nuovo popolo che potrà dare nutrimento e consolazione e vita nuova a tutti, a tutto il mondo.
Gesù parla di un albero e degli uccelli del cielo, la cui immagine viene usata già dai profeti per rappresentare tutti i popoli pagani. Egli usa queste immagini per formulare le sue parabole. Dio è all’opera: egli si serve sì di qualcosa che fa l’uomo, come il seminare o il mietere, ma poi è lui che agisce, fa crescere e fa portare frutto a ciò che l’uomo ha soltanto preso e seminato. Noi ci aspettiamo sempre perciò gli interventi di Dio, che provvede ai suoi figli. Egli pensa non soltanto al suo popolo, anzi, il suo popolo è stato scelto come suo per portare a tutti i popoli l’amore che egli gli ha manifestato e donato.
La parabola del seme di senapa, seme insignificante, caduto e nascosto sotto terra, che diventa alberello utile a tutti, ci dà consolazione e speranza, oltre che la certezza di essere anche noi dono di Dio per il mondo intero. Se vogliamo capire questa parabola, dobbiamo pensare anzitutto che quel seme piccolo che muore nella terra è proprio lui, Gesù, il Figlio di Dio. Proprio perché quel seme muore, nascosto e calpestato, proprio per questo diventa vita e dono per gli abitanti della terra. Noi siamo i primi a godere della ricchezza e della sorpresa della sua vita di risorto.
Poi la nostra comprensione si allarga: siamo anche noi, piccolo gregge, piccola Chiesa, piccola realtà disprezzata dal mondo, insignificante ai nostri stessi occhi, che per grazia e potenza di Dio diventiamo pane per il mondo. Quando soffriamo emarginazione o persecuzione da parte del mondo, è allora che Dio può realizzare i suoi ineffabili progetti.
San Paolo, con le poche frasi che abbiamo udito dalla seconda lettera ai Corinzi, ci ripete lo stesso messaggio. Siamo in esilio, ci dice, ma non ci dispiace, anzi, lo desideriamo. Se la nostra vita pare inutile per il mondo e viene ostacolata proprio nel suo desiderio di diventare amore per tutti, noi alimentiamo la nostra speranza e la nostra fiducia. Noi ci offriamo, e Dio ci adopera per operare i suoi prodigi.
Egli è Padre e non ci abbandona. Egli è Padre e non permette che il nostro soffrire sia inutile, anzi, lo adopera perché diventiamo quel grano che viene mietuto perché diventi pane per tutti, e perché diventiamo quei rami dove i sofferenti della terra possono trovare sollievo, riparo, nuova vita. Gesù dice addirittura che gli uccelli possono fare il loro nido all’ombra sui rami dell’alberello di senape. I popoli non diventeranno albero di senape, ma possono persino rallegrarlo, come gli uccelli, con il loro canto e la loro presenza stabile. Così anche noi, Chiesa di Dio, riceviamo il bicchier d’acqua e tanti altri benefici da persone che non conoscono il Padre e il Figlio. La Chiesa diventa luogo di raduno per tutti, come vediamo realizzarsi in varie occasioni grazie al ministero dei vescovi e del papa, e grazie alla carità di molti missionari e operatori di carità.
Foto immagine: mia