Prima lettura Isaia 50,5-9°
dal Salmo 114/115
Seconda lettura Giacomo 2,14-18
Vangelo Marco 8,27-35
Le parole dell’apostolo Giacomo sono sempre attuali e necessarie. La fede deve trovare la sua concretizzazione, deve diventare visibile, altrimenti è un giocattolo inutile. Ciò che rende visibile la nostra fede nel Signore Gesù Cristo sono i gesti di carità. Egli li chiama «opere»: “Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Chi dice di aver fede, ma non fa nulla per renderla visibile, invece della fede ha un’illusione. Forse per questo San Paolo dice che la fede è obbedienza. Chi crede obbedisce al Signore Gesù Cristo, e perciò si mette a servire, ad amare il prossimo anche a costo di rinnegare se stesso. Il rinnegare se stesso non dispiace a chi crede, perché egli contempla il proprio Signore sulla croce e lo ama mentre in croce muore.
Il vangelo oggi ci presenta proprio la vera fede con i suoi risvolti e frutti di un amore capace di offrire se stesso. La vera fede in Gesù non si basa su sentimenti o devozioni, ma sulla conoscenza della sua persona. “Chi dice la gente che io sia?” egli chiede ai discepoli. È importante sapere in che mondo viviamo, e lo sappiamo solo quando vediamo come gli uomini si pongono davanti a Gesù, il Figlio del Dio vivente. È lui infatti il segno contraddetto: coloro che lo accolgono e lo amano sono dalla parte di Dio e di loro ci si può fidare. Coloro che non lo amano e non lo accolgono vivono una vita ripiegata su di sé: una vita non affidabile. La risposta data dai discepoli ha dell’inverosimile. Essi sanno che la gente dice che Gesù è uno risorto dai morti, quindi un personaggio già conosciuto, anche se tornato in vita dopo la morte. La gente deve pensare che, se Gesù è Elia tornato in vita, noi, sapendo già tutto di Elia, non abbiamo nulla di nuovo da imparare da lui, e soprattutto possiamo continuare le nostre abitudini senza nulla cambiare. Per la gente Gesù non è una novità, non può dirci nulla di nuovo, e quindi, se non è inutile, quasi.
“E voi chi dite che io sia?” replica Gesù. Per rispondere a questa domanda è necessario riflettere, esaminarsi, rientrare in sé. Questo è più difficile, tanto che risponde solo Pietro, ma nemmeno lui conosce il significato di ciò che dice: “Tu sei il Cristo”. Quest’affermazione è alla base della fede e della fede vera, ma solo quando è compresa in modo retto, secondo la Parola di Dio. Quest’affermazione è compresa quando sappiamo cosa comporta il pronunciarla, cosa comporti l’essere discepolo di colui che è “il Cristo”. Essere il Cristo significa essere colui di cui i profeti dicono che deve “molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare”.
Nella prima lettura Isaia ci rivela qualcosa di questo mistero. Credere che Gesù è il Cristo significa di conseguenza “prendere la sua croce” e seguirlo, senza paura di “perdere la propria vita”, di essere riprovato e messo da parte proprio dalle persone che contano. Pietro rivela di non aver per nulla compreso il significato della sua stessa risposta: egli infatti riprende Gesù per le sue affermazioni basate sulle Sacre Scritture, lo rimprovera. Il sogno di Pietro è di poter vivere con comodità, attorniato dalla gloria umana, soddisfatto nell’ambizione e nel desiderio di grandezza. Egli crede che Gesù è sì il Cristo, ma a quelle condizioni. Quelle sono le condizioni di Satana, risponde Gesù. È Satana che cerca la gloria degli uomini, mentre il Cristo cerca l’obbedienza alle Scritture, l’obbedienza della fede ai disegni di Dio. Disegno di Dio è salvare gli uomini attraverso la croce del Figlio.
Ho fede davvero, e la mia fede non è un giocattolo, quando accetto che Gesù salvi il mondo con la sua croce, e perciò mi offro a collaborare, mi offro a soffrire con lui per il peccato del mondo. È per questo motivo che Giacomo ci sollecita con forza a mostrare con le opere la fede, con le opere dell’obbedienza all’amore del Signore: attenzione alle necessità dei poveri, disponibilità a servirli, essere pronto a offrirsi anche con sacrificio per realizzare la compassione di Dio. Tutto questo il discepolo di Gesù lo fa per amore del suo Signore, perché tutti possano conoscere il vero significato del fatto che lui è il Cristo.
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