Prima lettura Atti 4,32-35
dal Salmo 117/118
Seconda lettura 1Giovanni 5,1-6
Vangelo Gv 20,19-31
Il frutto della Pasqua del Signore è una nuova realtà, un nuovo modo di vivere degli uomini che hanno creduto e hanno accolto come manifestazione di Dio la morte di Gesù e la sua presenza di Risorto. La prima lettura infatti ci presenta la prima comunità di Gerusalemme: coloro che credevano si comportavano da fratelli e prendevano sul serio questa loro identità, derivata dalla fede in Gesù. Essi godevano nel cercare modi concreti per esprimere questa fratellanza, che li univa ancor più fortemente che non i legami di parentela familiare. Vendevano addirittura i loro beni pur di venire incontro alle necessità dei poveri della comunità, godendo così della misericordia del Padre e divenendone strumento. E gli apostoli erano al centro di ogni loro attività.
Certamente questo brano non ci viene dato solo come pia lettura, ma con esso Dio vuole suscitare anche in noi qualche novità. Le nostre comunità cristiane hanno bisogno di riprendere coscienza di se stesse, di essere vivificate, di diventare testimonianza concreta e luminosa della risurrezione di Gesù. Ciò non potrà avvenire se non dopo che ognuno di noi avrà dato la propria adesione piena a lui. I cristiani di Gerusalemme infatti hanno ricevuto dall’alto la loro coscienza di fraternità: è frutto dello Spirito Santo, che ci viene donato quando crediamo in Gesù donando a lui la nostra vita.
La seconda lettura ci aiuta in questo passaggio: la fede scaturita dal battesimo e dal sangue di Gesù è la vittoria che impedisce al mondo di renderci schiavi. Molto facilmente noi veniamo trattenuti a livello della terra, o meglio, a soddisfare gusti e desideri degli egoismi degli uomini, per paura di essere emarginati o derisi o non apprezzati. Non abbiamo forza, nè forse sapienza, per essere liberi di donare, invece, testimonianza di amore vero e di orientamento deciso alla verità: questa sapienza e forza le riceviamo dalla fede.
La fede richiede umiltà: Tommaso, chiuso nel suo orgoglio, rimane privo della gioia e della nuova vita che vengono dalla risurrezione di Gesù. L’orgoglio gli impedisce di cogliere i segni della vittoria di Gesù sulla morte. Dieci uomini, oltre alle donne, sono cambiati, sono nella pace e nella gioia. Come mai? Tommaso non si accontenta di questo segno forte, vuole vedere e toccare con le proprie mani, perché è sicuro di sé, si fida solo dei propri sensi: ma da questi non potrà nascere fede. Questa viene dall’Alto, quando in noi c’è umiltà!
La fede è dono di Dio. Gesù, rimproverando benevolmente Tommaso, ci dice che si può credere senza vedere, anzi, proprio chi crede affidandosi a Dio, invece che appoggiandosi sulle proprie capacità, gode della beatitudine, riceve cioè comunione con Dio e con i suoi santi. Quando Tommaso, inginocchiandosi, si umilia e inizia il suo percorso di fede, viene raggiunto anche dalle parole che il Signore aveva già detto agli altri discepoli: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi!”.
Nel momento della fede veniamo arricchiti della grazia di cui Gesù ha arricchito e adornato la sua Chiesa. Nel momento della fede iniziamo a partecipare alla missione della Chiesa nel mondo e alla sua gioia di essere il luogo della presenza del Signore risorto, luogo da cui egli vuol raggiungere tutti con la sua pace. Il dono della fede è la misericordia che Dio elargisce a Tommaso, a me e a te e a chi si inginocchia davanti a Gesù.
Il giorno in cui Gesù ha manifestato la sua misericordia a Tommaso era ancora il primo giorno della settimana e l’ottavo in cui Gesù risorto si è nuovamente fatto presente ai suoi, riuniti nel cenacolo. Con la sua presenza ha benedetto il loro ritrovarsi insieme e ha consacrato il giorno dopo il sabato, riservandolo all’incontro con lui! Noi continuiamo questo ritmo settimanale e riconosciamo questo giorno come il giorno della nostra fede, il giorno di festa per la presenza di Gesù risorto nella sua Chiesa. Vivendo il riposo, distacco dal peso del lavoro e dalle sue preoccupazioni, e vivendo la comunione gioiosa con i fratelli nella fede, anticipiamo un po’ la beatitudine del nostro traguardo, del paradiso. È un giorno di gioia. È il giorno in cui nella nostra vita risplende l’amore del Padre, la comunione dello Spirito Santo, la sapienza della croce di Gesù. La Chiesa, nella sua sapienza millenaria, dice a noi fedeli che è molto importante sia l’astenersi dal lavoro che il partecipare all’assemblea liturgica: se non lo facessimo non capiremmo più cosa significa essere cristiano, ci allontaneremmo dalla comunità e perderemmo ogni riferimento al vangelo. L’ottavo giorno è il giorno del Signore. In esso partecipiamo alla celebrazione Eucaristica, ci organizziamo per dedicare del tempo a persone sole o sofferenti, ci curiamo della comunione nella famiglia e nella comunità, dedicandoci anche all’istruzione religiosa e alla preghiera. Diveniamo anche noi così strumento della misericordia del Padre per i suoi figli.
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