Gesù ci esorta a comprendere il senso profondo della vita
Di recente un papà mi ha raccontato di aver portato a messa suo figlio e di essersi sentito dire: «Ma papà, questo è un posto per vecchi!». Naturalmente per un bambino di nemmeno sei anni anche un quarantenne è vecchio; tuttavia, come sempre accade quando sono i piccoli a esprimersi, queste parole ci interpellano e fanno riflettere. A me sono ritornate in mente proprio oggi, davanti a questo Vangelo in cui Gesù, che già nel brano delle beatitudini aveva presentato il ritratto del discepolo invitato ad assumere il suo modo di esistenza, propone due immagini che ne descrivono l’identità. Alla Chiesa che rischia di apparire una comunità di vecchi, non solo di età ma soprattutto di spirito, Gesù dice: «Voi siete il sale della terra».
Il compito del cristiano, quindi, è di condire, di rendere saporito il senso dell’esistenza. Il discepolo, infatti, non è chiamato a rifiutare questo mondo che «Dio ha tanto amato» (Gv 3,16); egli è invece invitato a proclamare con la vita e le opere che l’esistenza non può ridursi a un’esperienza banale, in cui prevalgono la ricerca del benessere e la legge del godimento. Essa, infatti, è molto di più: è bellezza, relazione, amore, libertà. Se condotta in modo superficiale si trasforma, invece, in una realtà scipita, in cui si inanellano eventi apparentemente diversi ma di fatto sempre uguali. Essere sale significa, dunque, vivere e stimolare gli altri a scoprire ciò che in noi nasce dal profondo, dal luogo dove lo Spirito dilata orizzonti nuovi, ma accessibili a tutti.
Sono gli orizzonti di cui Gesù ha già parlato nel discorso delle beatitudini: la ricerca della pace, della mitezza, la povertà di spirito, la purezza del cuore che rende tutto limpido e trasparente, le relazioni improntate a misericordia e bontà. Ecco quanto dà veramente sapore all’esistenza rendendola gustosa, appagante, saporita. Il contrario viene descritto con un’immagine drammatica: «A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente». Non si allude qui a un castigo; si tratta, invece, di un riferimento, espresso in forma simbolica, all’inutilità di una testimonianza che non proclama con la vita la grandezza di Dio e del suo dono.
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La seconda immagine: «Voi siete la luce del mondo» è sconvolgente, poiché applica al discepolo quanto Gesù aveva esattamente affermato di sé stesso (cf Gv 8,12). Facendo riferimento al simbolo della luce, che evoca in profondità il mistero di Dio, egli ci invita ad essere una sorta di prolungamento della sua persona. La luce è invisibile, ma permette di vedere, fa emergere il mondo dalla tenebra, lo fa nascere al nostro sguardo in tutta la sua varietà, bellezza, splendore, complessità.
La luce guida, orienta, permette di percepire la realtà, di distinguere e discernere. Senza di essa tutto sarebbe ombra e oscurità. Aderendo a Gesù, interiorizzando il suo modo di vivere, il discepolo diventa così una presenza che irradia vita, che offre anche agli altri – a tutti e in modo particolare a “quelli che sono nella casa”, alla comunità dei credenti – il senso di un’esistenza altrimenti votata alla povertà e all’insignificanza. Ed è proprio perché il mondo ha bisogno, è assetato di luce che il discepolo non deve nascondersi ma, al contrario, è chiamato a rendere testimonianza con la vita di quella luce, che ha fatto emergere la sua stessa esistenza dalle tenebre della banalità e del non senso.
Commento a cura dalla Fraternità della Trasfigurazione.
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Fonte – Arcidiocesi di Vercelli