Fraternità della Trasfigurazione – Commento al Vangelo del 27 Novembre 2022

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Il Vangelo di questa prima domenica del nuovo anno liturgico, in cui saremo accompagnati dall’evangelista Matteo, si conclude con un invito: «Tenetevi pronti» e una promessa: «Il Figlio dell’uomo verrà» (24,39). Essa attira il nostro sguardo verso un triplice orizzonte: ogni giorno, infatti, il Signore viene nella nostra vita, a Natale si unisce a noi nell’incarnazione. Entrambe queste venute colmano il cuore di gioia e ci rivelano l’identità di Gesù, il suo essere il “Dio con noi”, presente in mezzo a noi, fratello universale.

Il Vangelo di questa domenica, però, ci invita a tenere presente anche una terza venuta, quella che anche noi credenti spesso non prendiamo in considerazione: la venuta finale. La promessa di Gesù, infatti, è categorica, lapidaria, ma a chi l’ascolta con fiducia apre il cuore alla speranza. Forse ancor più che in altri periodi, noi abbiamo della storia una percezione confusa e drammatica e ci interroghiamo sul motivo di certe decisioni e su chi muove le pedine di vicende che provocano conflitti, guerre, attentati. Il cristiano, tuttavia, è abitato da una certezza: “viene il Figlio dell’Uomo” che, come è stato annunciato domenica scorsa, è e sarà apportatore di salvezza.

Per tale motivo siamo invitati a superare turbamenti, paure, scoraggiamenti, sguardi pessimistici e sfiduciati: all’interno della storia, frutto dell’agire umano, Dio ne crea un’altra il cui finale è certo. Più che disperderci in pensieri disfattisti, siamo invitati, allora, a coltivare atteggiamenti che promuovano e favoriscano una vita piena.

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In primo luogo, il vangelo ci suggerisce di superare le false sicurezze per assumere consapevolmente la nostra esistenza. Quel «non si accorsero di nulla» (24,44), infatti, ha una forte connotazione drammatica e non si riferisce unicamente agli uomini che vissero al tempo di Noè, ma è rivolta anche a ognuno di noi; a noi che cerchiamo di avere il controllo della nostra vita, di “farla funzionare” nel miglior modo possibile, ma non pensiamo – se non con paura – che la novità di Dio può farvi irruzione e trovarci impreparati.

Matteo ci porta invece come esempio Noè in quanto figura di chi, fidandosi di Dio proprio come fece lui quando costruì l’arca, trova una soluzione ai drammi della storia. Per tale motivo è importante vigilare, tenere il cuore desto alla presenza e all’azione del Signore. La nostra attenzione, di conseguenza, non deve prima di tutto essere orientata a quanto facciamo, ma all’atteggiamento interiore che accompagna il nostro agire: «Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata» (24,41). L’attività è identica, ma il modo, il “come”, cambia completamente l’approccio alla vita.

Non si tratta soltanto di compiere dei doveri, ma di attendere Qualcuno. Noi, infatti, non vegliamo per essere pronti ad affrontare un dramma, ma – come le vergini prudenti della parabola di Matteo – perché attendiamo una persona già presente nella nostra esistenza e la cui venuta finale porterà a compimento ogni desiderio di bene, anche al di là di ciò che qui osiamo pensare e sperare. Per tale motivo, come suggerisce il ritornello al salmo responsoriale, possiamo andare con gioia incontro al Signore custodendo la certezza che Egli viene e verrà.

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Commento a cura dalla Fraternità della Trasfigurazione.

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli