Il termine “Quaresima” evoca in tutti noi l’esperienza della conversione con i suoi corollari: digiuno, elemosina e preghiera. Una conversione che potremmo mal interpretare, quasi fosse finalizzata a un miglioramento della nostra persona, al combattere i propri difetti o al tentativo di raggiungere una qualche perfezione morale. L’ascesi quaresimale è invece un mezzo che la Chiesa propone per renderci più docili all’azione dello Spirito Santo, il quale vuole trasformarci in nuove creature plasmando in noi, nella nostra interiorità, il volto di figli. La Quaresima diventa così un percorso battesimale, tendente a recuperare la figliolanza perduta. Ed è proprio questo uno dei temi evocati dal Vangelo di oggi. Gesù ha appena ricevuto il battesimo e udito la voce del Padre che dice: “Questi è il figlio mio, l’amato”; subito dopo egli “viene condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo”. Il deserto è il luogo, spesso interiore, in cui dobbiamo confrontarci con le nostre fragilità senza avere appigli esterni a cui aggrapparci o distrazioni che ci distolgono dalle questioni fondamentali dell’esistenza. Qui la figliolanza di Gesù viene sottoposta alla prova: per ben due volte, infatti, il diavolo inizia il suo discorso dicendo: “Se tu sei figlio di Dio”, mettendo così in questione tale certezza e insinuando il dubbio rispetto alla parola del Padre.
La prima tentazione pone Gesù davanti alla scelta tra autosufficienza e fiducia. Il figlio è innanzitutto colui che si fida del padre e nutre la profonda convinzione che mai gli verrà a mancare ciò di cui ha bisogno. Per tale motivo all’atteggiamento autosufficiente, che trasforma le pietre in pane per soddisfare uno degli istinti primari – la fame -, Gesù preferisce l’abbandono confidente. In questo modo afferma il suo essere figlio e uomo: non l’Adamo istintivo e vorace, condizionato dai limiti della sua creaturalità, ma la persona che vive in relazione con Dio e si lascia guidare dalla sua parola.
Il figlio è colui che rispetta le leggi stabilite dal padre e non ha bisogno di sfidarle, assumendo atteggiamenti di ribellione e opponendosi come rivale. Gesù, diversamente da Adamo, non entra in competizione con il Padre, non lo sfida gettandosi dal pinnacolo del tempio né rivendica la propria autonomia. Il rispetto, la docilità, l’obbedienza caratterizzano il suo modo di essere figlio.
- Pubblicità -
Il figlio è colui che non anela né al possesso né al potere e, diversamente da Adamo, non è disposto a cedere alla tentazione pur di affermare sé stesso. Gesù non soccombe al diavolo innanzitutto perché egli sa di essere più potente del maligno, tanto da potergli ingiungere di andarsene. La sua vittoria sulla tentazione, tuttavia, si radica in una motivazione ancor più profonda; essa risiede nella sua identità di figlio, di colui che è disposto ad adorare solo il padre e rifiuta di fare di sé stesso un idolo, rendendo culto a qualsiasi cosa che non sia di Dio.
Il Vangelo delle tentazioni traccia quindi un cammino di crescita e di approfondimento del nostro essere figli di Dio. Si tratta di un percorso che comporta la lotta contro tendenze profonde presenti nel nostro cuore: l’essere istintivi, possessivi, voraci, l’autosufficienza, il culto di sé. Da questa lotta desideriamo uscire vincitori, per ritrovarci a Pasqua figli più somiglianti al Figlio.
Commento a cura dalla Fraternità della Trasfigurazione.
- Pubblicità -
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli