“Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. La frase iniziale del Vangelo odierno non descrive unicamente la situazione della gente che seguiva Gesù; esse, infatti, sembrano molto adatte a rappresentare il mondo che ci circonda, un mondo estenuato dalla ricerca di benessere e realizzazione, a cui sono rimasti pochi punti di riferimento dove andare ad attingere un significato per la propria esistenza.
Davanti alla folla Gesù sente compassione: ognuno di noi, quindi, può percepirsi osservato da quel suo sguardo colmo di desiderio di bene e di cura. Colui che guarda, infatti, è l’Emmanuele, il Dio con noi, che si prende a cuore e si fa carico di ogni nostra minima necessità. Ai suoi occhi, però, questa marea di uomini che lo segue non costituisce unicamente una folla stanca e dispersa; in essi, infatti, egli vede i destinatari a cui viene aperto l’accesso al Regno di Dio.
Con lui è infatti superato il tempo dell’attesa ed è invece arrivato quello della mietitura, immagine utilizzata dai profeti per indicare il compimento dei tempi. È giunto il momento del raccolto ed è per questo che siamo invitati a pregare affinché, insieme al dono della salvezza, Dio mandi anche “operai”, annunciatori del Regno che destino in noi la consapevolezza della sua presenza e il desiderio di entrarvi.
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Nella scena successiva Gesù chiama i Dodici, a cui conferisce il potere di “guarire ogni malattia e ogni infermità”, lo stesso potere che poche righe prima l’evangelista Matteo gli aveva attribuito. Il piccolo gruppo di coloro che lo seguiranno da vicino è estremamente eterogeneo e il lettore, che già conosce le loro fragilità e i loro limiti, si sentirà forse rinfrancato e invitato a sperare nella forza dello Spirito che, per loro come per noi, può trasformare la nostra vulnerabilità in coraggio di seguire il Maestro ed essere testimoni del suo Vangelo.
Subito dopo la chiamata, avviene l’invio; il primo ordine che Gesù dà ai suoi è all’apparenza limitante: “Non andate dai pagani… rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele”. Solo per un lettore superficiale tali parole esprimono una mancanza di interesse da parte di Gesù. Al contrario, Egli ha a cuore ogni uomo, ognuno di noi, come dimostra anche la conclusione del Vangelo di Matteo, dove i discepoli sono inviati perché facciano discepoli “tutti i popoli”.
Non si tratta dunque di noncuranza o indifferenza; questa frase, che riferisce le indicazioni date dal Maestro per quel preciso momento e contesto, rivela anche implicitamente il suo stile missionario: non è necessario correre, affannarsi, preoccuparsi, ma basta gettare il seme della parola nel terreno e custodirne la crescita. Basta mettersi in cammino annunciando che il Regno è vicino ed è dunque possibile un nuovo stile di vita, dove le relazioni non si basano più sui vantaggi reciproci ma sull’amore vicendevole che guarisce, purifica e allontana tutto ciò che è male.
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Questo nuovo stile missionario ha inoltre come caratteristica la gratuità che, ancor prima di esprimersi come dono di sé agli altri, è consapevolezza del bene ricevuto. È solo perché ci riconosciamo figli amati da un Padre da cui abbiamo ricevuto l’esistenza e tutto quanto è necessario per vivere, che a nostra volta possiamo donare e donarci senza avidità, grettezza e bisogno di ricevere qualcosa in cambio.
Commento a cura dalla Fraternità della Trasfigurazione.
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli