Giuseppe: «uomo giusto» che sa amare
Il brano di Matteo che la liturgia propone in questa IV domenica di Avvento ci presenta il divino che irrompe nella storia dell’uomo attraverso la generazione di Gesù, colui che compie la parola dei profeti, l’Emmanuele, il Dio con noi. Tutto ciò può avvenire grazie all’accoglienza, gravosa e nello stesso tempo senza riserve, da parte di due creature: Maria e Giuseppe.
Matteo è estremamente sobrio a proposito della Vergine: non si sofferma a descrivere, come farà invece Luca, i dettagli dell’annunciazione ma, con un’espressione estremamente concisa – «si trovò» – ne tratteggia il turbamento interiore, i dubbi, la trepidazione e, nello stesso tempo, l’accoglienza incondizionata dell’opera dello Spirito Santo, la totale docilità di fronte all’agire di Dio anche a costo di lasciarsi accusare ingiustamente; in seguito, ma sempre nella stessa pericope, si fa accenno persino alla possibilità di una pubblica accusa.
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Alla laconicità con cui Matteo racconta l’esperienza della Vergine si sostituisce la narrazione dettagliata del vissuto di Giuseppe, che già era stato introdotto alla fine della genealogia come «lo sposo di Maria». È lui il personaggio in primo piano di cui vengono presentati l’identità e il vissuto.
Subito dopo averlo conosciuto nel suo ruolo di sposo, grazie a un termine tanto sintetico quanto altamente significativo, penetriamo nell’essenza della sua persona: egli è «uomo giusto». Giusto è colui che cerca Dio e fa la sua volontà, l’uomo fedele alla legge, pronto ad accogliere la parola di Dio e a metterla in pratica. Come Maria, di cui Luca dirà che custodiva le cose «meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19), anche Giuseppe non è impulsivo, non reagisce con immediatezza, guidato dall’istinto.
La notizia del tutto inattesa che irrompe nella sua vita lo induce a riflettere, a interrogarsi, a «considerare queste cose», a cercare il bene di Maria. Giuseppe è uomo retto e lo è fin nelle profondità del suo mondo interiore. Nei santi l’inconscio – il luogo dove hanno origine i sogni – non rappresenta la zona oscura da cui emergono i conflitti e l’istintività della persona; esso è piuttosto uno spazio luminoso, già impregnato di vita divina. Per tale motivo i loro sogni possono esprimere un mondo interiore pacificato, essere segni premonitori – come per il patriarca Giuseppe – oppure veicolare la volontà di Dio, come avvenne per ben due volte per l’altro Giuseppe, lo sposo di Maria.
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Per poter essere l’Emmanuele, il Dio con noi, Dio aveva bisogno di trovare uno spazio ospitale, disposto a riceverlo, una terra simile a quella della parabola del seminatore, capace di accogliere il seme e farlo fruttificare abbondantemente. Così avviene nel grembo, ma soprattutto nel cuore di Maria; lo stesso accade nell’interiorità di Giuseppe. Per tale motivo egli a buon diritto può assumere il ruolo di padre, dando il nome a colui che nascerà. Un nome che ne definirà la vocazione, benché non sia il padre a sceglierlo per ricordare l’origine divina, trascendente di questo bambino. Anche tale rinuncia rivela che Dio trova davvero spazio in questo uomo giusto.
A Natale sapremo anche noi fare altrettanto?
Possiamo iniziare chiedendolo nella preghiera, affinché anche quest’anno Gesù possa rinascere in noi che, come dice un bel canto di Turoldo, vogliamo dargli «carne, sangue e voce» perché da ogni corpo egli possa risplendere.
Commento a cura dalla Fraternità della Trasfigurazione.
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli