Francesco d’Assisi. Il genio religioso e il santo

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«Spero che risulti abbastanza chiaro che il centro focale di tutto non è Francesco d’Assisi, ma colui che ha riempito la sua vita e di cui egli è stato un’icona vivente, Gesù Cristo. Non saprei, diversamente, come farmi perdonare da Francesco l’aver osato aggiungere un ennesimo titolo all’immensa bibliografia su di lui».

Così l’autore riassume il senso di questo ebook, che raccoglie un saggio su Francesco d’Assisi come genio religioso (inedito in lingua italiana) e diversi scritti più brevi su aspetti particolari della santità del poverello, che coprono un arco di più di quattro decenni: dall’VIII centenario della nascita del Santo, nel 1982, fino all’ascesa al soglio pontificio del cardinal Bergoglio che, per primo nella storia, ha scelto di chiamarsi con il nome del Poverello d’Assisi.

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Dettagli prodotto
Copertina flessibile: 207 pagine
Editore: Ancora Editrice
Collana: In cammino
Lingua: Italiano
ISBN-10: 885141789X
ISBN-13: 978-8851417895

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Questo libro contiene un saggio su Francesco d’Assisi come genio religioso (inedito in lingua italiana) e diversi scritti più brevi su aspetti particolari della santità del Poverello. Il primo è nato nel contesto di una ricerca a livello internazionale sui geni religiosi dell’umanità; i secondi hanno avuto un’origine orale, spesso occa­sionale. Di qui la differenza di estensione e di stile delle due parti.

Nel corso degli ultimi quattro decenni della mia vita, da quando cioè mi sono dedicato a tempo pieno alla predicazione, ho avuto diverse occasioni di scrivere o parlare del mio serafico padre san Francesco. Non sono stato io a scegliere a tavolino i temi e i titoli dei miei interventi. Essi mi sono stati proposti – e a volte imposti – da particolari ricorrenze, a cominciare dall’VIII centenario della nascita del Santo, nel 1982, fino all’ascesa al soglio pontificio del cardinal Bergoglio che, per primo nella storia, ha scelto di chia­marsi con il nome del Poverello d’Assisi.

La mia prima predicazione di Avvento alla Casa Pontificia, tenuta alla sua presenza nel 2013, ebbe per tema la figura e la missione di Francesco d’Assisi. Intendeva essere un segno di gratitudine della famiglia serafica al papa per la scelta del nome e un incoraggiamento nel proposito da lui manifestato al momen­to dell’elezione di portare nel cuore della Chiesa qualcosa dello spirito del Poverello. Non sapevo allora quanto gli anni successivi avrebbero superato, in questo, le nostre attese e quelle del mondo intero. Due delle meditazioni date in quell’occasione sono inserite in questa raccolta.

Un noto teorico della comunicazione sociale, Marshall McLuhan, ha coniato lo slogan «Il mezzo è il messaggio». Con esso intendeva dire – o, almeno, oggi si intende dire – che il mezzo di trasmissione di una notizia o di una storia (per via orale, mediante scrittura, stampa, internet ecc.) influisce sul loro contenuto, determinan­done l’interpretazione e il destino. Io credo che si possa dire con altrettanta verità che «il luogo è il messaggio», e anche che «il tempo è il messaggio»; in altre parole, che la circostanza in cui si tratta un argomento e il pubblico davanti a cui lo si tratta aiutano a cogliere, del soggetto stesso, aspetti diversi e talvolta prima sco­nosciuti. Io ne ho fatto l’esperienza di persona, a proposito della mia comprensione di Francesco.

Tutti questi fatti mi hanno spinto a riunire i diversi interventi in un volume. Ho conservato l’ordine cronologico in cui sono nati, anche perché esso riflette il mio personale cammino di approfon­dimento della figura e del messaggio di Francesco, nel corso degli anni. Non ho voluto, di proposito, eliminare qualche ripetizione, perché questo, credo, serve a far risaltare certi tratti essenziali della personalità del santo che emergono da qualsiasi angolatura la si osservi.

Spero che risulti abbastanza chiaro che il centro focale di tutto non è Francesco d’Assisi, ma colui che ha riempito la sua vita e di cui egli è stato un’icona vivente, Gesù Cristo. Non saprei, diversa­mente, come farmi perdonare da Francesco l’aver osato aggiungere un ennesimo titolo all’immensa bibliografia su di lui. «Il servo di Dio – soleva dire Francesco – è come una tavoletta di legno, sulla quale il pittore ha dipinto una splendida immagine. Nessuno attribuisce al legno la gloria dell’immagine, ma ogni lode è rivolta all’artista che ve l’ha disegnata» (Leggenda Perugina, 104).

Francesco d’assisi, «genio religioso»

La ricerca sui geni religiosi dell’umanità

Il 16 novembre 1972 l’UNESCO, l’organizzazione mondiale delle Nazioni Unite per la cultura, firmò la convenzione su ciò che va considerato «Patrimonio dell’umanità» (in inglese «World Heritage»). La lista dei siti e di altre realtà comprese nella catego­ria è giunta al momento al numero di 1052, ripartiti in 165 Stati del mondo, ma è in continuo aumento. Lo studioso ebreo Alon Goshen-Gottstein, fondatore dell’Istituto «Elia» per il dialogo tra le fedi, con sede a Gerusalemme («The Elijah Interfaith Institu­te»), ha avuto l’intuizione di estendere la categoria di «Patrimonio dell’umanità», dai luoghi e dagli artefatti umani, alle persone, cioè agli uomini e alle donne che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia religiosa dell’umanità, applicando ad essi la categoria di «genio religioso».

Il concetto di «genio religioso» non nasce oggi. Il grande stu­dioso di psicologia William James l’aveva ampiamente impiegato nelle sue ricerche, ma con un interesse esclusivamente scientifico, per definire la personalità del soggetto stesso e le sue eventuali componenti patologiche[1]. L’argomento è stato discusso anche in un altro ambito, più pertinente alla religione. Nello stesso anno della convenzione dell’UNESCO, il 1972, l’uomo d’affari e filan­tropo anglo-americano Sir John Templeton (1912-2008) istituì un premio annuale destinato al settore della religione e dello spirito, che possiamo considerare come un supplemento al Premio Nobel per la pace.

Il premio, si legge nel sito della Templeton Foundation, intende onorare persone viventi che hanno contribuito in maniera ecce­zionale ad affermare la dimensione spirituale della vita, attraverso intuizioni, scoperte o opere pratiche. Il premio tende a identificare «imprenditori dello spirito», cioè individui superiori che hanno dedicato i loro talenti per dilatare la visione della ragion d’essere dell’essere umano e della realtà ultima. Il premio non è riservato a una particolare tradizione o idea di Dio, ma si propone piuttosto di promuovere il progresso nello sforzo umano di comprendere le diverse manifestazioni del divino.

Il premio è stato finora attribuito a filosofi, teologi, membri del clero, filantropi, riformatori, fondatori di nuovi ordini religiosi, movimenti sociali o scientifici, comprese le ricerche sull’origine dell’universo. La lista dei premiati dal 1973 ad oggi mostra la va­rietà degli interessi presi in esame e non esclude neppure scienziati atei o agnostici. Tra le attribuzioni più legate al fattore religioso e più familiari ai cristiani, vanno annoverate quelle a Madre Teresa di Calcutta (la prima premiata nel 1973), a Frère Roger Schutz, fondatore di Taizé, a Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, al cardinal Leo Suenens e a Jean Vanier (2015). Per il 2016 il premio è stato assegnato a Rabbi Lord Jonathan Sacks, già Rabbino capo delle Congregazioni ebraiche riunite del Commonwealth.

Il progetto dell’Istituto «Elia» per il dialogo tra le fedi si inserisce in questo progetto, ma con importanti novità che ne fanno un’i­niziativa nuova e pionieristica. Anzitutto il campo non è limitato a personalità viventi (come avviene anche nel Premio Nobel), ma spazia in tutta la storia dell’umanità. Anzi, per sua natura, tende a escludere i viventi, nei quali non è garantita una qualità essenziale del genio religioso che è quella della durata nel tempo e della conferma della storia. In secondo luogo, il fattore religioso è preso qui in senso molto più preciso e ristretto; l’aggettivo «religioso» non è meno importante del sostantivo «genio».

La novità maggiore mi sembra, tuttavia, un’altra. In questo nuovo progetto non si tratta semplicemente di individuare delle personalità meritevoli di riconoscimento nell’ambito dei valori dello spirito, ma piuttosto di valorizzare ciò che in essi può essere visto come «patrimonio dell’intera umanità», o almeno di tutte le religioni. È un passo avanti anche all’interno del dialogo tra le religioni, iniziato, presso i cattolici, dal decreto Nostra aetate del concilio Vaticano II. Dalla semplice conoscenza e stima recipro­ca, si propone di passare alla reciproca edificazione e al mutuo arricchimento. In altre parole, il dialogo interreligioso viene visto non soltanto come via per scoprire i valori presenti in altre fedi, ma anche come un mezzo per capire meglio le virtualità presenti nella propria.

Il nuovo progetto che vede impegnati rappresentanti e studiosi di varie religioni si è concretizzato finora in una ricerca di ampio respiro. In essa Alon Goshen-Gottstein, principale promotore del progetto, fa la storia della categoria del genio religioso, mette in luce le analogie e le differenze rispetto a quella di santo, di saggio e di martire, e soprattutto propone una serie di criteri in base ai quali identificare chi risponde ai requisiti per essere definito ta­le. Individua sei «requisiti fondamentali» che dovrebbero essere presenti per poter parlare di genio religioso; amore, purezza (in­tesa nel senso del processo di purificazione necessario nell’essere umano per attingere la perfezione), umiltà (intesa nel senso del superamento dell’ego), atteggiamento di resa e dipendenza nei confronti di un potere superiore, espansione della coscienza del reale e logica dell’imitazione2. Al contributo principale di Goshen- Gottstein, seguono quelli di altri studiosi di religioni che con le loro osservazioni integrano e, a volte, si pongono in alternativa ai criteri da lui proposti. Ne risulta uno studio di avanguardia che, a mio parere, meriterebbe esso stesso il Premio Templeton per gli orizzonti che apre alla valorizzazione del fattore religioso e al dialogo tra le religioni.

Penso che la ricerca, concepita come studio preliminare in vista della definizione e della individuazione dei geni religiosi, abbia in realtà raggiunto già il suo scopo principale. In altre parole, penso che il progetto dovrebbe fermarsi a questo stadio, semmai allar­gandolo e approfondendolo sempre più, senza tentare di stilare, sulla base di criteri generali, un elenco di nomi da additare come geni religiosi universali. succederebbe, in caso contrario, quello che sta succedendo con la categoria di «Patrimonio dell’umanità» dell’UNESCO. Esso ha finito per essere applicato a tante cose e così disparate (una di esse è la dieta mediterranea!) da perdere quasi ogni suo significato. Quando tutto, o troppe cose, è patrimonio dell’umanità, nulla è più veramente tale. La categoria risulta in­flazionata, senza contare che, nel nostro caso, colui o colei che è considerato un genio religioso di segno positivo in una religione potrebbe apparire di segno opposto in un’altra religione, finendo per essere un fattore di divisione anziché di concordia. Questo non significa rifiutare il metodo proposto per la ricerca sui geni religiosi, ma, al contrario, ne accresce, credo, la possibilità di venire accettato e utilizzato nel momento in cui si passa dal concetto di genio religioso a un genio religioso «in carne ed ossa».

Cerco di spiegare il motivo per cui ritengo insufficiente lo studio di un genio religioso fatto soltanto a partire da criteri generali, accettabili anche da appartenenti a religioni diverse. Esso coglie­rebbe fatalmente quello che, del genio religioso, è secondario e non quello che per lui è primario e difficilmente potrebbe sfuggire alla logica del «minimo denominatore comune». Non esiste infatti un genio religioso in astratto; esiste il genio religioso all’interno di una religione e di una cultura.

Può essere illuminante, a questo riguardo, approfondire l’analo­gia che c’è tra il genio religioso e la poesia. La poesia è l’unica arte per sé intraducibile. Una pittura, una scultura e una sinfonia sono identiche nel luogo in cui sono nate e nel resto del mondo. Non hanno bisogno di traduzione. Una poesia no. La poesia è vitalmen­te legata alla lingua in cui è pensata. Succede qualcosa di simile con i geni religiosi. Certo, c’è in ogni vera poesia un elemento che permane anche tradotta in altre lingue e che la rende universale, ma non sarà mai la stessa cosa. Qualcosa risulta sempre «lost in translation». Così mi sembra che sia l’universalità che si può attri­buire a un genio religioso.

Dietro invito del promotore della ricerca ho accettato di appli­care queste mie convinzioni a uno dei più ovvi candidati al titolo di genio religioso, Francesco d’Assisi. Partendo dall’analogia tra la santità e la poesia (raddoppiata dal fatto che egli fu luna e l’altra cosa, santo e poeta insieme), cercherò di mettere in luce dapprima ciò che Francesco d’Assisi rappresenta, letto nella «lingua origi­nale», cioè come cristiano da cristiani, e in secondo luogo quello che può rappresentare tradotto in altre lingue, cioè per credenti di altre religioni e perfino per non credenti. Lo scopo di questo saggio impone di dare più spazio al Francesco per tutti che al Francesco dei cristiani. Dirò perciò solo poche cose essenziali a proposito del secondo, per concentrarmi sul primo, tenendo presente che quello che dirò del Francesco di tutti si applica anche al Francesco dei cristiani.

È necessario spiegare anzitutto cosa aggiunge la categoria di genio religioso a quella di santo con cui Francesco è conosciuto nel mondo cristiano. La ricerca in atto sulla categoria di genio religioso ha messo in luce alcune peculiarità che distinguono il genio reli­gioso da altre categorie, come il santo cristiano, lo zaddiq ebreo, il sufi dell’Islam, il guru indiano, il bodhisattva buddista, e così via[2].

Un celebre pensiero di Blaise Pascal ci può aiutare a capire la differenza tra il santo e il genio religioso. Pascal ha formulato il celebre principio dei tre ordini, o piani della realtà: l’ordine dei corpi o della materia, l’ordine dello spirito o dell’intelligenza e l’ordine della santità. Una distanza infinita, qualitativa, separa, dice, l’ordine dell’intelligenza da quello della materia, cioè lo scien­ziato o l’artista, dalla persona ricca, bella o forte; ma una distanza «infinitamente più infinita» separa l’ordine della santità da quello dell’intelligenza, perché esso è al di sopra della natura. I geni, che appartengono all’ordine dell’intelligenza, non hanno bisogno delle grandezze carnali e materiali; queste non aggiungono nulla ad essi. (A Socrate non toglie nulla il fatto che, secondo alcune fonti, fosse deforme; la sua grandezza è di un altro ordine). Così i santi, che appartengono all’ordine della carità, «non hanno bisogno delle grandezze carnali e di quelle intellettuali che non aggiungono né tolgono loro nulla. Sono veduti da Dio e dagli angeli, non dai corpi né dalle menti curiose: a loro basta Dio»4.

Il genio, come si vede, rappresenta, in questa visione, il secondo livello di grandezza, inferiore a quello della santità. Al musicista Gounod è attribuita l’affermazione secondo cui «una goccia di santità vale più di un oceano di genio». Questa valutazione si spie­ga con il fatto che Pascal considera il genio come esso si esprime nell’ambito del pensiero umano, della filosofia, della scienza e dell’arte; non esisteva ancora, a suo tempo, o non era utilizzata, la categoria di genio religioso. il genio religioso, quando è accompa­gnato da perfezione morale, può essere visto come una particolare forma di santità; si tratta di un tipo di santità «geniale» che ha, cioè, alcuni dei caratteri propri del genio: la novità, l’originalità, l’irradiazione, l’universalità.

Due osservazioni sono sufficienti, credo, a illustrare la differen­za tra santo e genio religioso. il santo può vivere e morire senza lasciare traccia di sé nella storia, e la maggioranza dei santi appar­tiene, di fatto, a questa categoria; il genio religioso no. La santità non è compatibile con difetti morali seri e persistenti anche dopo la conversione; lo stesso non si può dire del genio religioso, e la storia ne fornisce riprove ben note, senza bisogno di fare dei nomi. Nella prassi della chiesa cattolica, la mancanza o le lacune in una sola delle virtù cardinali (prudenza, fortezza, giustizia e temperanza) escludono automaticamente una persona dall’essere candidata alla canonizzazione. In altre parole, non ogni santo è un genio religioso e non ogni genio religioso è un santo.

Un secondo titolo che potrebbe sembrare sinonimo di genio religioso è quello di «dottore» che la Chiesa cattolica ha attribuito ad alcuni santi che si sono distinti nell’ambito della dottrina, come sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino, o che hanno esercitato un magistero e un influsso spirituale di ampio respiro, come san­ta Caterina da Siena, santa Teresa d’Avila, santa Teresa di Gesù Bambino. Le due categorie hanno diversi tratti in comune, ma non si identificano, anche se molto spesso esse si trovano riunite nella stessa persona. Quello che distingue il genio religioso dal dottore della Chiesa è la sua universalità, cioè la capacità di parlare anche al di fuori della cerchia che professa un certo credo religioso. Fran­cesco d’Assisi è stato un genio religioso, ma non un dottore della Chiesa. Lui stesso si considerava, ed era di fatto, uomo «semplice e illetterato»[3].

La stessa mancanza di universalità distingue il genio religio­so dal martire. Il martire muore per rimanere fedele al proprio particolare credo religioso, diverso da quello di altre religioni, e non poche volte muore proprio per mano di appartenenti ad altre religioni. Esso potrà essere ammirato fuori della propria religione, ma difficilmente preso a modello.
[1] Cf A. Goshen-Gottstein, Religious Genius: Àppreeiating ìnspiring Individuals Aeross Traditions, Palgrave Macmillan, Basingstock 2017.
[2] A. Goshen-Gottstein, Religious Genius…, cit., Part I, nn. 3.1. – 3.5.
[3] Francesco d’Assisi, Testamento (Fonti Francescane, Assisi 1986 [in seguito ab­breviato con FF], 118); Lettera a tutto l’Ordine, 38 (FF 226).

Testo prelevato dal file pdf promo

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