Nel corso del periodo estivo la liturgia ci ha presentato il viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Con i capitoli 15 e 16 raggiungiamo il cuore del Vangelo lucano, dove al centro troviamo la rivelazione della tenerezza e della misericordia di un Dio che è Padre e che ha a cuore la giustizia e la sorte di tutti gli oppressi.
Oggi la liturgia ci propone la parabola del povero Lazzaro. Il testo evangelico sembra presentarsi come un manifesto contro l’indifferenza. Papa Francesco, tempo fa, rivolse un appello contro quella che lui definisce la globalizzazione dell’indifferenza; la presentava come una grande tentazione per i cristiani stessi. Pensiamo a quante persone, di cui magari non ricordiamo neanche il nome, sono lasciate sole, ai margini della società ed escluse dalle nostre priorità. Questa domenica il Vangelo propone un capovolgimento di tale struttura. Lo notiamo già dall’inizio della parabola: ‹‹c’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe›› (Lc 16, 19-21).
Nella parabola riportata da Luca notiamo con evidenza che l’uomo ricco non ha nome, mentre del povero viene specificato che si chiama Lazzaro. Il Vangelo sembra porre l’attenzione in primo luogo sull’identità del povero. Il nome, nella cultura biblica, ha una grande importanza. Evidentemente, ancor prima di un aspetto etico, emerge l’identità della persona. Infatti il nome, nella cultura biblica, sta ad indicare l’identità stessa della persona. Il nome Lazzaro significa propriamente “Dio ha aiutato”. Alla radice dell’identità di quest’uomo c’è Dio stesso. Entrare in questa dinamica, ovvero sperimentare che alla radice della nostra identità vi è la relazione con Dio, cambia fortemente la prospettiva. Prendere coscienza di questa intima relazione con Dio, che ha creato ognuno di noi a sua immagine e somiglianza, ci permette di conoscere la nostra vera identità. La buona notizia di questa domenica è che Dio vuole chiamarci per nome. Solo la scoperta della nostra identità in relazione a Dio può essere la base di una vita nuova.
Il secondo passaggio, allora, consiste nel rendersi conto che anche la persona che è accanto a me ha un nome ed è pensata da Dio. Il Dio che ci chiama per nome vuole arricchire la nostra umanità. Dio è il ricco che ha scelto di abbassarsi per sfamare ed arricchire quell’umanità esausta che sedeva alla sua porta. L’incarnazione vuole mettere in evidenza proprio questo: ‹‹Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà›› (2Cor 8,9). Grazie a questo movimento divino, l’umanità ha scoperto la sua identità, il suo nome: Dio ha aiutato. Ecco allora che c’è cultura dell’indifferenza, se non si conosce la propria vera identità, se non si conosce il proprio nome, quello con cui Dio ci chiama. La parabola inoltre mette in luce l’importanza delle nostre scelte nella vita presente: ‹‹figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali›› (Lc 16, 25). Dio ci chiama per nome adesso; la scoperta della nostra vera identità e del nostro nome avviene nella relazione con il Maestro. Con l’incarnazione è lui il Lazzaro che siede alle nostre porte. Lui è il Lazzaro che, attraverso la sua povertà, può renderci veramente ricchi, che può farci scoprire il nostro vero nome. In questa linea leggiamo anche l’ammonimento del profeta Amos nella prima lettura: ‹‹guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria!››.
Alla base di quella che il Papa definisce la globalizzazione dell’indifferenza vi è quel sentimento che ci fa “sentire sicuri”, senza preoccuparci di chi abbiamo accanto. Ecco allora che l’anziano lasciato solo, il senzatetto che non è un professionista nelle relazioni, l’emigrato lasciato morire in mare, il vicino di casa che per il suo carattere non riceve visite, sono tutti poveri che hanno un nome e che possono a loro volta aiutarci a conoscere il nostro. Qualsiasi forma di povertà può diventare origine di ricchezza: la ricchezza del cuore, quella inserita nel movimento dell’incarnazione. Il centro del messaggio evangelico di questa domenica è in Gesù che da ricco che era si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà. Solo passando per la povertà di Gesù possiamo guadagnare la vera ricchezza, che è quella di ricevere un nome, di sentirci chiamati per nome dal Signore. Si tratta di un movimento che il Vangelo di oggi ci invita a non arrestare.
Giovanni Crisostomo esprime in maniera molto chiara l’esigenza di amare Gesù lasciando da parte l’ipocrisia e l’indifferenza: ‹‹vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre il freddo e la nudità›› (Omelia 50). Aderiamo dunque con forza alla Parola di quel Dio che si è fatto povero per arricchire noi e per darci un nome, cosicché anche noi, abbassandoci verso il povero che è alla porta della nostra esistenza, possiamo chiamarlo per nome e non arrestare, così, quel movimento, all’interno del quale ci ha inserito il Signore Gesù con il suo Vangelo. ‹‹Come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto›› (2Cor 6, 10).