Nel deserto, mentre il popolo di Israele era messo a dura prova dalla fame e dalla sete, come se non bastasse arrivarono anche dei serpenti velenosi che fecero morire molte persone del popolo. Mosè, per fermare questa piaga prese una decisione incredibile.
Costruì un idolo, e non un idolo qualsiasi, ma un serpente di bronzo, ovvero un idolo che rappresentava il serpente, l’idolo della morte. Gesù non accusa Mosè per questa scelta, anzi, dice che qualcosa di simile capiterà anche a lui, anche Gesù, infatti, verrà crocifisso, e la croce simbolo di morte diventerà per noi la via della salvezza.
Come ha detto giustamente un tale: tutti vogliono andare in paradiso, ma nessuno vuole morire, ed è vero. Noi vorremmo una salvezza che non passasse per la via della sofferenza e della morte, perché noi tutti abbiamo una avversione naturale verso la morte.
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Non è una cosa che abbiamo scelto, ma è semplicemente qualcosa di più profondo della nostra stessa volontà: noi siamo fatti per vivere, noi siamo fatti per la luce. Oggi Gesù ci invita a non distogliere lo sguardo dalla croce, da una croce che nessuno di noi cerca, ma che c’è nel nostro cammino.
Guardiamo allora a questa croce e impariamo a lasciarci guarire dalla luce che scaturisce da questo strumento di morte. Non vado avanti con i discorsi, perché sarebbero contraddittori. Ma quello che a volte appare contraddittorio a livello dei discorsi, non è affatto contraddittorio nell’esperienza della vita.
La croce, strumento di morte, può diventare per noi una fonte di vita e di luce. Per questo impariamo a contemplare la croce di Gesù, e anche le nostre croci.