Fra’ Massimo Corallo
Parrocchia Santa Maria di Gesù – Catania
Al centro della liturgia di oggi sta la rivelazione del mistero tenuto nascosto per secoli: la manifestazione del piano salvifico che Dio ha preparato ed attuato per nostro amore.
1° Lettura (Is 7, 10-14)
Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio
Dopo il 740 a.C. Acaz, re di Giuda, tenta di sfuggire alla minaccia creata da una coalizione di stati vicini. La dinastia di Davide, alla quale sono legate le promesse delle Scritture, è in pericolo. Acaz non crede nell’aiuto divino, non dimostra fede in Dio nemmeno quando la minaccia politica e militare diventa schiacciante; non sa che farsene di un segno del cielo.
Isaia allora si irrita e in nome di Dio annuncia una promessa solenne: una vergine darà alla luce un figlio. Malgrado l’infedeltà degli uomini la promessa fatta a Davide vale sempre, il Signore è fedele: attuerà ugualmente il suo disegno di salvezza. Provvidenzialmente nascerà un figlio, ci sarà un erede per Davide: il suo nome Emmanuele che vuol dire: “Dio con noi” porterà la salvezza.
Acaz è falso e ipocrita, rinunzia, infatti, a chiedere un “segno” a Yahveh per dare a intendere che non dubita di Yahveh. “Non voglio tentare il Signore”, ma è un paravento per celare un vuoto di fede. Il segno miracoloso, infatti, lo vincolerebbe e lo comprometterebbe. Opta allora per un pretesto evasivo. Allora Isaia non si contiene più, sa che il re teme di vedere realizzato il segno e di dover cambiare atteggiamento. Ebbene, lo chieda o non lo chieda, il segno gli sarà dato sotto forma di un oracolo-annuncio per la nascita di un eroe-salvatore.
Il segno non potrebbe essere più sconcertante ed esso non ha più lo scopo di dare saldezza alla fede del re, ma di confermare la fedeltà del Signore che supera anche le incredulità umane. La tradizione cristiana ha sempre visto in questo segno una genuina profezia messianica. L’Emmanuele è Cristo, il Messia promesso.
Quando all’inizio della nostra era una giovane chiamata Maria resterà incinta senza concorso di uomo e darà alla luce un figlio, sintesi dell’umano e del divino e nella cui vita, morte e risurrezione si compiranno tutti gli annunzi di Isaia contenuti in questi capitoli (noti come il: “Libro dell’Emmanuele”), più nessuno potrà negare la proiezione messianica e salvifica di quell’Emmanuele in fasce di Isaia, la cui maturità ci è stata rivelata in Cristo.
Ecco, quindi, ancora una volta, la dimostrazione di come il Nuovo Testamento rappresenti il compimento delle promesse contenute nell’Antico Testamento.
A differenza di Acaz, che ha rifiutato il segno di Dio, Giuseppe accoglie il sorprendente annunzio dell’angelo con obbedienza e diventa così intimo collaboratore di Dio nel grande progetto dell’incarnazione. Per questo suo atteggiamento, che in ogni circostanza cerca il compimento della volontà di Dio, Giuseppe viene definito “giusto”.
Giustizia è l’essere in buona relazione con Dio.
2° Lettura (Rm 1, 1-7)
Gesù Cristo costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito
La seconda lettura di oggi è il prologo della lettera di Paolo ai Romani.
L’apostolo si presenta: non ha titoli personali da enumerare. Egli non esiste che all’interno del disegno di Dio che lo ha scelto.
Il Cristo, nato dalla stirpe di Davide, è il segno tangibile della fedeltà di Dio e questo ci ricollega subito alla prima lettura di oggi.
Paolo in poche frasi abbastanza concise, forse un po’ ermetiche, presenta il “mistero” del Cristo in due tempi successivi. Prima, l’uomo Gesù, figlio di Davide, povero, umile, con alle spalle gli antenati come ogni altro uomo.
Poi, il Risorto, figlio di Dio, la cui vita è ormai sovrumana, potenza stessa di Dio. Tutti noi, e ciascuno di noi, rientriamo nel progetto del Padre che si chiama Gesù
Cristo, per essere santi ed annunciare al mondo la nostra fede.
Carne e Spirito
L’antitesi “carne- spirito” non si riferisce, come nell’antropologia greca, a due parti dell’uomo, corpo e anima, ma a due situazioni di tutto l’uomo pur considerato nella sua inscindibile unità: “carne” è l’esistenza frustrata da uno sbocco totale nella morte, e “spirito” è l’esistenza umana riabilitata o in via di riabilitazione dalla morte. Cristo adottò la situazione-carne per terminare, con la risurrezione, nella situazione – spirito.
Per l’Antico Testamento “carne” è l’uomo intero, colto però nella sua fragilità e debolezza, nei suoi innumerevoli condizionamenti e, soprattutto, nella sua radicale insufficienza. “spirito” è sempre tutto l’uomo, ma non più considerato in se stesso, bensì nel suo legame con Dio: è l’uomo sostenuto e fortificato dalla forza di Dio.
Pur inserendosi profondamente nella concezione antropologica della Bibbia, il pensiero di Paolo si distingue per una più marcata sottolineatura del peccato: “carne” è l’uomo senza Cristo, chiuso in se stesso, irrimediabilmente prigioniero del proprio egoismo; “spirito” è invece l’uomo rinnovato e dilatato dalla Grazia.
L’uomo quindi è una realtà “unitaria”. L’opposizione biblica tra spirito e carne indica solo l’opposizione tra due logiche, tra due tendenze dell’uomo, l’una rivolta verso Dio e l’altra verso l’uomo, il mondo, la materialità.
Vangelo (Mt 1, 18-24)
Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe
Il vangelo di oggi ci annuncia che Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide e riprende il testo di Isaia della prima lettura di oggi.
Attraverso Giuseppe le promesse divine si realizzano. Dio chiama anche Giuseppe a collaborare nell’incarnazione del Figlio, con il compito di inserire legalmente Gesù nella famiglia di Davide. Gesù, quindi, solo attraverso Giuseppe, che fisicamente non è suo padre, è giuridicamente figlio di Davide.
Giuseppe, legato irrevocabilmente a Maria perché il fidanzamento in quel tempo era definitivo, è testimone dell’incomprensibile; ha troppa fiducia nella sua sposa per abbandonarla alla condanna imposta della legge se avesse dovuto reputarla adultera. Una risposta in questa impossibile situazione gli verrà dal cielo che direttamente gli fa intravedere la sua missione.
Giuseppe si sottomette. E’ un uomo “giusto” perché cerca in ogni cosa il compimento della volontà di Dio. Riconosce Gesù come suo figlio e gli trasmette, imponendogli il nome, tutti i diritti di un discendente di Davide.
L’azione della salvezza di Dio quindi non si concretizza sulla terra senza la cooperazione dell’uomo che resta sempre una collaborazione volontaria, libera.
Dio infatti non salva l’uomo senza la sua libera cooperazione e volontà.
Matteo nel vangelo ci descrive la figura di Giuseppe proprio come colui che, accettando lo sconvolgente intervento di Dio che irrompe nella sua vita, prende parte al disegno di salvezza che Dio sta operando. E’ proprio per questo egli è giusto; si ritira davanti alla grandezza del divino, ritenendosi solo “povero”.
La giustizia di Dio, o giustificazione, è infatti la comunione piena con Dio, la buona relazione con Dio.
Ma Dio è proprio con i “poveri” che costruisce la sua storia di salvezza e Giuseppe è così destinato ad assumere la paternità legale di Gesù.
Tutto il vangelo di Matteo è racchiuso in due annunzi di vicinanza e presenza di Dio nella nostra storia: “Sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi” e “ ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” ( Mt 28,20 ), ultime parole di Cristo risorto in Galilea e ultime parole del vangelo di Matteo.
Il cristianesimo è perciò il canto di una presenza divina, anzi di una fraternità totale tra Dio e l’uomo e il Natale ne è la grande celebrazione.
La massima sventura è la solitudine tant’è vero che il supremo conforto, la religione, consiste nel trovare una compagnia che non inganna: Dio.
L’oracolo dell’Emmanuele è un testo molto importante nella storia della interpretazione delle Scritture perché questo versetto è citato da Matteo a proposito del concepimento verginale di Gesù (Mt 1,23). Leggendo il brano nel suo contesto pare chiaro quello che intendeva dire il profeta Isaia: egli sta parlando, cioè, della nascita di un figlio del re e il segno che egli annunzia sta nell’imminenza della fine della guerra; il segno consiste nel fatto che prima che questo bambino raggiunga l’età di ragione, quei due re che adesso fanno tanta paura, non ci saranno più. Inoltre, nel momento di panico per un temuto colpo di stato, nell’assenza di un erede, il profeta annuncia la nascita di un figlio come erede.
Il problema, però, è quel termine “vergine”; che cosa vuol dire “la vergine concepirà”? Il segno è il fatto del concepimento verginale?
Per capire correttamente non dobbiamo semplicemente ragionare con la teologia attuale, ma dobbiamo avere l’umiltà di studiare il testo in se stesso, senza avere paura che la fede vacilli. Se il testo è interpretato bene arriveremo alle conclusioni buone e porteremo sempre un fondamento alla nostra fede. Mai avere paura della ricerca seria, in qualunque campo.
In ebraico, in questo versetto, viene adoperato il termine “halmà”. Questa parola indica una ragazza, una fanciulla; è il nome comune per indicare una giovane donna, una ragazza; la connotazione della verginità non è presente, non ha nella lingua ebraica la valenza forte che ha nell’italiano il termine “vergine”.
Dunque, la formula adoperata dal profeta è un formula poetica di letteratura di corte, abituale per annunciare la nascita di un erede, il termine “halmà” indica la giovane sposa del re; quindi la valenza forte non sta nella verginità, ma nell’annuncio di un figlio.
Quindi Isaia, al suo tempo, quando nel 735 pronuncia questo oracolo, pensa semplicemente di garantire la nascita di un figlio al re e lo invita a dargli un nome simbolico, a chiamarlo “himmanu el”, “Dio è con noi” perché quel bambino diventi il segno della presenza di Dio: il re Acaz vedrà se il profeta ha ragione o no.
Quando la Bibbia ebraica viene tradotta in greco, dai LXX ad Alessandria d’Egitto, intorno al 3°- 2° secolo a.C., i traduttori greci traducono in questo passo la parola “halmà” con il termine greco “parthenos” che in greco vuol dire “vergine”. Questo vuol dire che i traduttori ebrei nel 200 a.C. leggono già questo testo in un’altra ottica e lo attendono come compimento futuro.
Ma, come abbiamo visto, nella tradizione ebraica, questo versetto non è inteso in senso messianico. Cioè nel primo secolo, al tempo di Gesù, non esisteva l’idea che il messia sarebbe nato da una vergine perché lo dice Isaia; non abbiamo nessuna documentazione di questo genere. E allora come sono andati i fatti? Non è stata la profezia di Isaia a far scrivere a Matteo quel testo sulla nascita di Gesù e sul suo concepimento verginale, ma è il fatto storico del concepimento verginale di Gesù ad aver prodotto una comprensione piena di Isaia.
Isaia sta parlando a nome di Dio per offrire al re una prova sicura dell’intervento di Dio. Isaia non sa che peso ha quello che dice, ma Dio che lo ispira lo sa e il testo è più ricco di quello che ha in testo l’autore che lo scrive. Ecco dove sta la meraviglia, il testo biblico è portatore di una verità che va al di là della testa del profeta. Allora noi dobbiamo dire che questo brano biblico non è messianico diretto, Isaia non si è messo lì un giorno a dire, verrà fra 700 anni una cosa del genere, non lo ha mai fatto, d’altra parte sarebbe inutile. È come se venisse oggi un profeta e ci dicesse: non preoccupatevi, fra 700 anni le cose cambieranno. Dietro alla persona storica di Isaia c’era la presenza eterna di Dio che aveva il suo progetto chiarissimo e quel testo nel tempo è diventato chiaro. La persona di Gesù permette di capire la Bibbia, l’Antico Testamento e l’Antico Testamento a sua volta permette di capire Gesù. Ecco che anche in questo caso la traduzione greca dei LXX, pur interpretando non correttamente il testo ebraico, è stata guidata nella sua attività dallo Spirito di Dio che ha ancora una volta agito su quel gruppo di uomini ispirandoli in una concreta realizzazione della Parola di Dio. Lo Spirito di Dio non agisce quindi solo all’inizio, alla prima stesura del testo sacro, ma in tutta la sua progressione e traduzione fino ad arrivare a noi ai testi attuali e oltre a ciò ci illumina ancora personalmente perché ognuno di noi possa comprendere correttamente il suo messaggio. Per questo la lettura delle Sacre Scritture deve essere fatta in umiltà e disponibilità assoluta all’azione dello Spirito.