I discepoli, da bravi pescatori, diventano teologi e fanno una domanda lecita: “Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” Tutti aspettavano Elia perché era colui che doveva preparare la via per il Messia, colui che avrebbe ristabilito ogni cosa. Il nostro sguardo è sempre rivolto nel futuro, senza accorgerci del presente, della realtà che viviamo. Abbiamo sempre dentro di noi un futuro, una progettualità.
Gesù risponde: “Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto”. Elia è come tutti gli altri profeti che sono finiti male. Anche il Figlio dell’uomo finirà male. Il problema è capire questo, il senso della croce, di cui tutti i profeti hanno parlato. Infatti le loro profezie contraddicono i nostri ragionamenti, le nostre immagini di Dio e per questo non li ascoltiamo. Rifiutiamo il loro annuncio perché non corrispondono alla nostra logica.
Quindi se non ipotizziamo un mondo diverso, migliore, allora capiremo. Proprio questo mondo con le sue croci è la profezia della gloria del Figlio dell’uomo, che proprio qui ha vissuto l’amore del Padre per i fratelli, dove anche noi siamo chiamati a viverlo. Il male c’è, anche la morte è inevitabile, eppure proprio nel male e nella morte non cessa il disegno di Dio, anzi proprio lì cresce e si rafforza la capacità di amare, la sua solidarietà divina con noi, la sua gloria e noi partecipiamo di questa gloria.
Forse non dobbiamo diventare “teologi”, cioè coloro che parlano di Dio, ma coloro che parlano a Dio, a colui che ama e ascolta le nostre voci.
Fra Marin Berišić
Commento a cura di fra Mario e fra Marin Berišić OFMCap
Elìa è già venuto, e non l’hanno riconosciuto.