Le ragioni della speranza
Lettura delle lettere scritte dal Santo alle comunità cristiane di Tessalonica (l’attuale Salonicco).
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La risposta christiana alla morte
V
Nel libro della Genesi si legge che dopo il peccato Dio disse all’uomo:
"Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla
terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere
ritornerai" (Gen 3, 19). Ogni anno, nel mercoledì della ceneri, la
liturgia ci ripete questo severo ammonimento: "Ricordati che sei
polvere e in polvere ritornerai". Se dipendesse da me, io farei sparire
immediatamente questa formula dalla liturgia. Giustamente ora la Chiesa
permette di sostituirla con l’altra: "Convertitevi e credete al
vangelo". Prese alla lettera, senza le dovute spiegazioni, quelle
parole sono infatti l’espressione perfetta dell’ateismo scientifico
moderno: l’uomo non è che una polvere di atomi che si risolverà, alla
fine, in una polvere di atomi.
Il Qoelet, un libro della Bibbia scritto in un’epoca di crisi delle
certezze religiose in Israele, sembra confermare questa interpretazione
atea quando scrive: "Tutti sono diretti verso la medesima dimora; tutto
è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere. Chi sa se il
soffio vitale dell’uomo salga in alto e se quello della bestia scenda
in basso nella terra?" (Qo 3, 20-21). Alla fine del libro, quest’ultimo
terribile dubbio (chissà se c’è una differenza tra la sorte finale
dell’uomo e quella dell’animale) sembra risolto positivamente, perché
l’autore dice che "il corpo ritorna alla polvere, ma lo spirito torna a
Dio che lo ha dato" (cf. Qo 12,7). Negli ultimi scritti dell’Antico
Testamento comincia, è vero a farsi strada, l’idea di una ricompensa
dei giusti dopo morte e perfino quella di una risurrezione dei corpi,
ma è una credenza ancora assai vaga nel contenuto e non condivisa da
tutti, per esempio dai Sadducei.
Su questo sfondo, possiamo valutare la novità delle parole con cui
inizia il vangelo di questa domenica: "Non sia turbato il vostro cuore.
Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre
mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi
un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e
vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io". Esse
contengono la risposta cristiana alla più inquietante delle domande
umane. Morire non è – come era agli inizi della Bibbia e presso il
mondo pagano – uno scendere nello Sheol o nell’Ade per condurvi una
vita da larve o di ombre; non è – come per certi biologi atei – un
restituire alla natura il proprio materiale organico per un ulteriore
uso da parte di altri viventi; non è neppure – come in certe forme di
religiosità attuali che si ispirano a dottrine orientali (spesso mal
comprese) – un dissolversi come persona nel gran mare della coscienza
universale, nel Tutto o, a seconda dei casi, nel Nulla…È invece un
andare a stare con Cristo nel seno del Padre, un essere dove lui è.
Il velo del mistero non è tolto perché non può essere tolto. Come non
si può descrivere cos’è il colore a un cieco dalla nascita o il suono a
un sordo, così non si può spiegare cos’è una vita fuori del tempo e
dello spazio a chi è ancora nel tempo e nello spazio. Non è Dio che ha
voluto tenerci all’oscuro…Ci è detto però l’essenziale: la vita
eterna sarà una comunione piena, anima e corpo, con Cristo risorto, un
condividere la sua gloria e la sua gioia.
Papa Benedetto XVI, nella sua recente enciclica sulla Speranza (Spe
salvi) riflette sulla natura della vita eterna da un punto di vista
anche esistenziale. Comincia con il prendere atto che ci sono persone
che non desiderano affatto una vita eterna, ne hanno anzi paura. A che
scopo, si chiedono, prolungare una esistenza che si è rivelata piena di
problemi e di sofferenze?
La ragione di questa paura, spiega il Papa, è che non si riesce a
pensare alla vita se non nei modi che conosciamo quaggiù; mentre si
tratta sì di vita, ma senza tutte quelle limitazioni che sperimentiamo
al presente. "La vita eterna, dice l’enciclica, sarà un immergerci
nell’oceano dell’infinito amore nel quale il tempo – il prima e il dopo
– non esiste più. Non sarà un continuo susseguirsi di giorni del
calendario, ma il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci
abbraccia e noi abbracciamo la totalità".
Con queste parole il Papa allude forse, tacitamente, all’opera di un
suo famoso conterraneo. L’ideale del Faust di Goethe è infatti proprio
quello di raggiungere una tale pienezza di vita e un tale appagamento
da fargli esclamare: "Férmati, istante: sei troppo bello!". Credo che
questa sia l’idea meno inadeguata che possiamo farci della vita eterna:
un istante che vorremmo non finisse mai e che -a differenza di tutti
gli istanti di felicità di quaggiù – non finirà mai! Mi tornano in
mente le parole di uno dei canti più amati dai cristiani di lingua
inglese: "Amazing grace". Dice: "E quando saremo stati lì diecimila
anni – splendenti più del sole -, il tempo che ci resta per lodare Dio
– non sarà diminuito di un minuto – rispetto a quando il tutto
cominciò" (When we’ve been there ten thousand years, / Bright shining
as the sun, / We’ve no less days to sing God’s praise / Than when we’ve
first begun.)
Fonte:
http://www.cantalamessa.org/it/omelieView.php?id=290
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