“Capaci” di felicità
Gesù è seguito da una folla che desidera ascoltarlo, ma il suo discorso sulle Beatitudini appare strano e difficile da comprendere. Egli proclama beati coloro che soffrono, chi è povero, chi ha fame e chi è perseguitato, perché dietro queste fatiche si cela una speranza e una ricompensa.
Per spiegare meglio, si fa un paragone con due gruppi di giovani: quelli che si divertono senza impegnarsi e quelli che studiano e lavorano con fatica. I secondi sono beati non per la fatica in sé, ma perché il loro impegno porterà frutto. Allo stesso modo, la felicità evangelica non si trova nel possedere beni materiali, ma nel vivere le fatiche con un senso: cercare la giustizia, la pace e la verità, amare e aiutare il prossimo. La vera beatitudine sta nella certezza della promessa di Dio e nella vita spesa per ciò che davvero conta.
Trascrizione generata automaticamente da Youtube e rivista tramite IA.
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Gesù è circondato dalla folla, da tanta gente. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono ascoltare. Ma Gesù fa un discorso molto strano, difficile da capire, ma molto importante: un discorso che può cambiare il nostro modo di pensare, di credere e, quindi, anche il nostro modo di vivere.
Gesù ci dice che è felice chi piange, chi ha fame, chi è povero. Ma cosa sono le Beatitudini? Che significato hanno nella nostra vita? Lo vediamo in questo video.
Gesù ribalta il sistema di valori sul quale progettiamo la nostra vita, le nostre relazioni, le nostre azioni, il nostro giudizio. La parola “beato” è molto bella: vuol dire “felice”. Beato è colui che è capace di felicità. Dio ci vuole felici, però c’è qualcosa di strano: vediamo che questa parola è associata a condizioni che non sembrano fonte di felicità, come essere poveri, essere nel pianto, avere fame, essere perseguitati a causa della giustizia, essere insultati.
Perché Gesù dice: “Beati voi” quando si vivono queste fatiche? Perché dietro queste sofferenze c’è una ricompensa, dietro queste fatiche c’è una speranza che non andrà delusa.
Provo a fare un paragone molto semplice. Immaginiamo dei ragazzi, dei giovani, che non studiano: vanno a scuola, ma non studiano, e non hanno neanche voglia di lavorare. Pensano solo a giocare, a divertirsi. Sono nella gioia, si divertono. Sì, d’accordo. Ma possiamo dire che sono beati? Direi di no. Piuttosto, siamo preoccupati per loro: che futuro avranno questi ragazzi?
Pensiamo invece a dei giovani che si impegnano, studiano tanto e lavorano anche nel tempo libero. Sicuramente, questi ragazzi, che studiano e lavorano facendo tanta fatica, meritano di sentirsi dire: “Beati voi!” Il motivo della beatitudine non sta nella fatica in sé, ma nel fatto che queste fatiche daranno frutto. “Beati voi perché siete giovani maturi, perché avrete un futuro. Beati voi perché sarete persone serie e responsabili.”
Noi non diciamo “beati” perché fanno fatica, ma perché queste fatiche hanno un senso.
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Il Vangelo non è per chi si lascia solo divertire, per chi è sbadato, per chi ha la pancia sempre piena. Il ricco, il sazio, chi è sempre svagato, sono persone soddisfatte di ciò che possiedono, ma non intraprendono il viaggio verso la profondità del loro essere.
Il Signore Gesù entra nella nostra vita e ci rivela che la felicità si trova nel vivere quelle fatiche evangeliche che hanno un senso e porteranno frutto: cercare la pace, la giustizia, la verità; imparare ad amare e soccorrere chi è povero; aiutare gli altri.
La gioia sta nella certezza della promessa sicura. Ecco le fatiche che vale la pena affrontare nella vita. La gioia sta nell’aver capito che tutte le nostre fatiche fatte per amore saranno ricompensate.
Sono beati coloro che hanno compreso per che cosa vale la pena spendere la propria vita: cercare nella misericordia di Dio la vera ricchezza, perdonare il prossimo rispondendo con il bene al male ricevuto, avere nel cuore il desiderio di compiere sempre la volontà di Dio, in ogni istante, in ogni momento.
Gesù proclama beati coloro che l’hanno capito, lo credono e lo vivono. Perché queste sante fatiche profumano di eterna felicità.
Commento di Fra Attilio Gueli, frate minore cappuccino. Segretario “fraternità e missione” di Lombardia OFMCap. Convento di Varese, centro di evangelizzazione.