Film per la Quaresima: “I giardini dell’Eden”

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I_GIARDINI_DELL_EDEN_LOCANDINAI giardini dell’Eden (1998) di Alessandro D’Alatri per la quarta settimana di Quaresima: rappresentazioni della vita di Gesù tra cinema e fiction negli anni ’90 
 
«Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo» (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2014). Quarta proposta per la Quaresima 2014 dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e della Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI è I giardini dell’Eden (1998) di Alessandro D’Alatri. 
 
Gesù torna protagonista al cinema e nella fiction negli anni ’90 
Se negli anni ’60 e ’70 molte sono le rappresentazioni della figura di Cristo nell’industria cinematografica hollywoodiana e europea, principalmente con uno stile povero e non convenzionale (Il Vangelo secondo Matteo, Jesus Christ Superstar, ecc.), negli anni ’80 sembra invece ridursi la varietà della proposta cinematografica su Gesù. Certo, non vanno dimenticati film come L’inchiesta (1986) di Damiano Damiani oppure il più problematico L’ultima tentazione di Cristo (The Last Temptation of Christ, 1988) di Martin Scorsese tratto dall’omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis. Minore è, inoltre, la riflessione nel piccolo schermo; in Italia, dopo Gesù di Nazareth (1977) di Franco Zeffirelli, opera apice e insieme epilogo della produzione religiosa Rai tra gli anni ’60-’70, si hanno poche proposte significative. Da rilevare soprattutto Un bambino di nome Gesù (1987-89) di Franco Rossi per il neonato gruppo Fininvest. 
Panorama ben diverso è, invece, quello che si presenta in Italia all’inizio degli anni ’90. Al cinema si avvicendano suggestioni originali, raccomandabili oppure disturbanti: dal convincente approccio di Alessandro D’Alatri nel film I giardini dell’Eden (1998) al problematico e fortemente provocatorio Totò che visse due volte (1998) di Daniele Ciprì e Franco Maresco, che incorre anche nel divieto ai minori di 18 anni, aprendo un dibattitto sulla censura. Dato decisamente positivo si registra, però, nella fiction italiana, settore in piena ripresa, e con un (ri)fiorire in particolare del genere religioso: la Rai e la Lux Vide varano il Progetto Bibbia, imponente operazione in coproduzione con media partner internazionali, che si apre con il primo capitolo del Testo Sacro diretto da Ermanno Olmi, Genesi. La creazione e il diluvio (1994). Tra gli episodi della Progetto Bibbia il successo maggiore (in termini di ascolti) lo raggiunge la miniserie Jesus (1999) di Roger Young, che punta su una decisa umanizzazione della figura di Gesù.
 
Lo sguardo di D’Alatri sugli anni della formazione di Gesù
Sceneggiato dal regista D’Alatri insieme allo scrittore ebreo Miro Silvera, facendo tesoro anche delle indicazioni del priore della Comunità di Bose Enzo Bianchi, il film I giardini dell’Eden ha la peculiarità di voler approfondire gli anni della formazione di Gesù, gli anni “bui” su cui non si ha documentazione chiara da parte dei Vangeli; l’opera di D’Alatri tratteggia l’ambiente culturale in cui presumibilmente Gesù è vissuto, è cresciuto. Il film presenta, infatti, la storia del giovane Jeoshua (Kim Rossi Stuart) nel passaggio dall’adolescenza, dal momento del Bar Mitzvah, all’età adulta, sino all’episodio dell’arresto di Giovanni Battista e all’incontro con i primi discepoli. I giardini dell’Eden viene presentato alla 55a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove non è però pienamente compreso dalla critica. «Il povero Gesù di D’Alatri lo hanno sforacchiato, senza pensarci su due volte. Il quarantenne regista romano, ai loro occhi, aveva commesso un gravissimo errore. Non aveva cercato di scandalizzare con la sua opera. Non aveva seguito l’insegnamento del parente nobile Scorsese, o dei parenti poveri Ciprì e Maresco. Il Cristo di D’Alatri è troppo corretto. In questo film sin troppo serio non c’è nessuna tensione autoriale, nessun rimando o riferimento pasoliniano. I giardini dell’Eden è un film che cerca di coniugare la serietà della riflessione spirituale, ancorata al cristianesimo, con la semplicità della divulgazione del linguaggio cinematografico. Se invece fosse stato un film dove sincreticamente si cercava di mescolare Cristo con Buddha, o con i mille idoli della New Age dilagante, allora sarebbe andato bene e le lodi si sarebbero sprecate» (Il Gesù di D’Alatri, inRivista del Cinematografo, n. 10, ottobre 1998, pp. 10-11). 
 
La valutazione 
La scheda della Commissione Nazionale Valutazione Film, redatta nel 1998, riporta la seguente valutazione pastorale: «il film racconta una verità essenziale per la fede cristiana: l’umanità di Gesù, che non è affatto scontata. Il regista D’Alatri racconta un Gesù che, accanto al padre e alla madre, impara a pregare, apprende la storia del suo popolo, forma a poco a poco le proprie capacità di giudizio sulle vicende alle quali partecipa. Portando sullo schermo un periodo non raccontato dai Vangeli, D’Alatri cerca di capire che cosa è successo negli anni della formazione di Gesù, quelli nei quali anche per lui c’è stata la fatica del discernimento. Avviandosi verso l’età adulta, Gesù è un uomo, per il quale la vita non è una sorta di libretto delle istruzioni da realizzare ma una faticosa raccolta di frammenti che alla fine sfoceranno nella scelta della predicazione alle genti. È la verità della coscienza umana Gesù che il regista ha incontrato e da cui è rimasto affascinato. Va ricordato che il film non si ispira ad alcun testo biblico, è una sceneggiatura originale che D’Alatri ha scritto con la collaborazione dello scrittore Miro Silvera e che parte dalla comprensione personale del mistero del Dio incarnato all’interno di un pregevole lavoro di ricostruzione del contesto storico-culturale. Una voglia sincera di ricostruire un’immagine di Gesù non diversa o stravolta ma in grado di parlare all’uomo distratto e spesso confuso di fine Millennio. Per tutti questo motivi il film, di taglio problematico, è da valutare come raccomandabile e da consigliare per dibattiti» (Segnalazioni cinematografiche, 1998, n. 126, pp. 117-119).