Federazione Clarisse – Commento al Vangelo del 30 Aprile 2023

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Nel Vangelo di oggi incontriamo il pastore che entra nell’ovile per far uscire le sue pecore e per guidarle verso nuovi pascoli. Possiamo osservare che l’immagine del pastore e delle pecore che l’evangelista Giovanni ci presenta è come “capovolta” rispetto a quella che conosciamo dagli evangelisti Matteo (18,12) e Luca (15,4).

I sinottici ci presentano un pastore che esce alla ricerca della pecora smarrita per riportarla all’ovile. Qui il pastore entra nel recinto delle pecore per chiamarle fuori e condurle verso grandi pascoli. Là vediamo un’opera di riconciliazione e di ritorno a casa, qui un’opera di liberazione e un cammino verso la pienezza della vita. È un esodo che ha il sapore della libertà e della Pasqua. Le azioni del pastore esprimono intimità e appartenenza, iniziativa, integralità e guida sicura.

In primo luogo, il pastore manifesta nei confronti delle pecore una profonda intimità: egli le conosce per nome, quindi sono sue, gli appartengono non per una coincidenza fortunata, ma sono state da lui “comprate a caro prezzo” (cfr. 1Cor 6,20) ed esse sono chiamate a glorificare Dio per questo dono. Egli agisce con l’energia dello Spirito, infatti, le spinge fuori da un recinto diventato troppo stretto per esprimere la libertà e la bellezza della sua Pasqua che ha fatto nuove tutte le cose.

Poi, il pastore opera con integralità: non trascura nessuna pecora, non lascia indietro un agnello o una pecora azzoppata, tutti devono camminare sulle sue orme seguendo la sua voce dolce e misteriosa. Infine, egli è una guida sicura e affidabile: nessuno vorrà cercare un altro pastore o un maestro diverso. Pensando a questa figura san Francesco scrive nelle sue ammonizioni: “Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce.

Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell’ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle!” (FF 155). Con questa esortazione il Santo di Assisi ci esorta a imitare il Signore, a varcare la porta del suo amore per divenire suoi testimoni limpidi e audaci.

Con la similitudine del recinto e della porta, l’evangelista Giovanni ci regala una ulteriore immagine collettiva della salvezza: la porta è Gesù, una porta di liberazione e di speranza, una soglia che bisogna calpestare per trovare pascolo, per gustare una vita finalmente risvegliata e consapevole. Dobbiamo entrare in lui, per uscire con lui e dietro a lui poiché il Signore è una porta aperta su uno spazio senza limiti. “Cristo è la porta del Padre, attraverso la quale sono entrati Abramo, Isacco, Giacobbe, i profeti, gli apostoli e la chiesa” (sant’Ignazio di Antiochia).

Anche santa Chiara ci soccorre con la sua sapienza: “Stretta è la via e il sentiero, ed angusta la porta per la quale ci si incammina e si entra nella vita, pochi sono quelli che la percorrono e vi entrano; e se pure vi sono di quelli che per un poco di tempo vi camminano, pochissimi perseverano in essa. Beati però quelli cui è concesso di camminare per questa via e di perseverarvi fino alla fine!” (FF 2850). Chiediamo per noi la grazia di questa perseveranza capace di superare i labirinti delle nostre contraddizioni.

Nadiamaria, sorella povera del monastero di LovereFonte

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