ANDARE FINO IN FONDO
Dopo i tanti drammatici fuochi dell’estate appena trascorsa, in questa domenica di inizio settembre è la liturgia a donarci un “fuoco” buono, quello di una Parola ardente, che ci riporta alle esigenze forti del Vangelo e alla serietà della sequela, impedendoci di accomodare il cammino su logiche che nulla hanno a che vedere con la strada di Gesù. La Parola ci restituisce appunto la bellezza di essere discepoli veri che, tra slanci e cadute, sono chiamati a imparare il pensiero di Cristo, i suoi criteri, il suo modo di vivere e di amare.
È proprio dentro questo percorso verso un discepolato sempre più autentico e maturo che la liturgia ci ripropone oggi la figura di Pietro: domenica scorsa lo avevamo visto istituito come Roccia della chiesa, proclamato da Gesù “beato” per aver accolto la rivelazione del Padre (cf Mt 16,17-19); oggi lo ritroviamo veemente oppositore di quanto Gesù sta annunciando, fino al punto di correggerlo, fino al punto di essere lui, un discepolo!, ad indicare al Maestro quale sia modo giusto di essere Messia.
L’obiezione di Pietro dinanzi allo scenario cupo della sofferenza e della morte che Gesù sta prospettando è più che comprensibile, non ce ne stupiamo; del resto, Gesù stesso nel Getsemani proverà rifiuto e ripugnanza per ciò che lo attendeva e pregherà il Padre affinché allontani da lui il calice di quella drammatica fine (cf. Mt 26,36-46). Il patire, però, non è il contenuto principale delle parole di Gesù! Nonostante quanto una distorta catechesi ha trasmesso, Gesù non è venuto nel mondo per soffrire, né per proclamare un Dio che ama la croce e la manda ai suoi figli; tantomeno i discepoli devono cercare una croce da portare a tutti i costi.
La sofferenza è da evitare, se possibile, ma l’amore e il dono di sé sono invece da vivere fino in fondo, fino alla fine. È questa la “necessità” che Gesù afferma (“cominciò a spiegare che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto…” Mt 16,21), come un’obbedienza filiale alla volontà salvifica del Padre. Ed è proprio questa la missione a cui Gesù non può rinunciare: andare fino in fondo nel manifestare il vero volto di un Dio che è amore, di un Dio disarmato e mite, di un Dio che accetta di essere colpito piuttosto che colpire, e che non usa il potere per affermarsi. Per annunciare questo volto di Dio, Gesù non indietreggerà dinanzi all’opposizione di anziani, capi dei sacerdoti e scribi, disposto a esporsi, a prendere la croce, a perdere la vita.
Quello che Gesù chiede ai suoi discepoli non è altro che mantenere la posizione giusta, dietro lui e non davanti! Gesù chiede di camminare, condividendo la sua stessa passione e fermezza “nell’andare fino in fondo”, coinvolgendosi nel suo movimento di dono, pronti, come lui, a perdere la vita. Questo significa rinnegare se stessi, cioè smettere di pensare solo a se stessi, preoccupati di sé e del proprio benessere, senza (o addirittura contro) gli altri. “Perdere” così la vita porterà, come è stato per Gesù, a ritrovarla, a riceverla, gloriosa e indistruttibile, dalle mani del Padre.
Sr Enrica Serena – Monastero santa Chiara – Milano
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