Federazione Clarisse – Commento al Vangelo del 13 Marzo 2022

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Circa otto giorni dopo aver annunciato la sua passione e le esigenze per seguirlo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. La preghiera era il respiro della vita di Gesù. In tutto il suo Vangelo, Luca pone l’accento sulla preghiera contemplativa di Gesù, sul gusto per la solitudine e sulla intimità col Padre.

Luca evita accuratamente il termine “trasfigurazione” e fa dipendere questa illuminazione dalla preghiera di Gesù. Si limita a descrivere l’aspetto mutato del volto e la veste candida e sfolgorante: colori apocalittici che simbolizzano la condizione celeste, riflesso dell’alterità divina, della gloria, della vittoria. La realtà gloriosa, raggiunta attraverso la passione e la risurrezione, viene anticipata nella trasfigurazione e traspare nell’umiltà di un uomo in preghiera: la divinità non si sostituisce all’umanità di Gesù.

Ed ecco due uomini conversavano con lui. Mosè ed Elia cioè la Torah e i profeti, tutta la tradizione del dono di Dio e dell’accompagnamento che Dio ha fatto al suo popolo. In maniera iconica nel nostro brano si parla di Gesù come adempimento della Legge (Mosè) e dei profeti (Elia): Legge e profeti portano alla centralità di Gesù, alla rivelazione del Figlio.

Luca specifica la materia della conversazione di Gesù con Mosè ed Elia: parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme, luogo dove il piano di Dio viene portato a termine, centro della storia della salvezza. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno ma quando si svegliarono videro la gloria di Gesù e i due uomini che stavano con lui. Vedono ma non essendo stati testimoni della conversazione non colgono il legame con la passione. I discepoli che ora vedono la “gloria” di Gesù saranno gli stessi chiamati a essere testimoni della sua agonia nel Getsemani: in ambedue i casi il sonno li appesantisce. Pietro prende la parola: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne…” (tende) Pietro vuole prolungare l’esperienza divina alla quale i tre discepoli hanno assistito.

Con “mentre parlava così” l’evangelista introduce il tema della nube che adombra come risposta alla proposta di Pietro. Non tocca agli uomini costruire una tenda per ospitare Dio (At 7,48 -17,24). Dio stesso li avvolge nella nube della sua presenza, come Maria al momento dell’annunciazione (Lc1,35). A quel punto sono presi da paura. In Luca il timore coincide con l’accesso alla presenza di Dio. Una “voce” si fa sentire dalla nube “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” La voce divina fa spontaneamente pensare alla voce della teofania battesimale Lc 3,22 ma ora in forma dichiarativa essa si rivolge non più a Gesù ma ai discepoli.

Viene riaffermata la filiazione divina di Gesù (Figlio mio) e viene dichiarata la sua elezione a servo che deve, mediante la sofferenza e la morte, conoscere l’esaltazione. La dichiarazione si conclude con l’appello preso da Dt 18,15 riguardante il profeta come Mosè: “costui ascoltatelo!”. Dio stesso di conseguenza conferma le esigenze di Gesù rivolte ai discepoli chiamandoli a portare la croce, a incamminarsi sulla sua via. Quando termina la voce celeste, Gesù è trovato “solo”. I due profeti con la nube celeste sono spariti. Solo Gesù è rimasto.

Luca non riferisce l’ordine di tacere dato da Gesù ai discepoli (Mc 9,9) ma constata il fatto che non hanno parlato: un silenzio dinanzi a un evento soprannaturale che non riescono a capire, anche se ne sono i beneficiari. Essi conservano il silenzio sull’evento “in quei giorni”, cioè per il tempo che Gesù è con loro. Dopo la risurrezione, il Risorto stesso aprirà la loro intelligenza.

Sr Maria Letizia

Monastero S. Chiara – Milano FONTE

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