Siamo giunti alla terza domenica di quaresima, e quest’anno purtroppo, il nostro cammino quaresimale è accompagnato da notizie di guerra e sofferenza che ci arrivano da una terra vicina, che ci toccano il cuore e che ci lasciano con una domanda a cui non riusciamo a rispondere: perché tante persone soffrono così tanto in questa vita?
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Se avete ascoltato bene il Vangelo di oggi, vi sarete accorti che più che una buona notizia, anche il brano dell’evangelista Luca sembra un elenco di disgrazie e invece no, perché il Vangelo, come dice la parola stessa che deriva dal greco è una Buona Notizia ma a volte, proprio come nel periodo in cui stiamo vivendo, occorre ragionarci un po’ insieme per capirlo bene.
Andiamo a rivederlo insieme. All’inizio del Vangelo si parla di Pilato, il governatore che i romani avevano messo a capo della regione della Giudea dove si trova Gerusalemme, e che ritroveremo fra qualche settimana turbato dal silenzio e dal carisma di Gesù, tanto che non riuscirà a condannarlo, ma che lascerà che sia il popolo stesso a farlo.
Pilato aveva il compito di mantenere il popolo sottomesso e a volte lo faceva con la violenza, per incutere timore, come nell’evento a cui si riferiscono queste persone che parlano con Gesù: Pilato aveva ucciso alcuni della Galilea e lo aveva fatto in un modo violento, senza pietà. Ecco, Gesù è messo di fronte ad un fatto di cattiveria, di violenza proprio come quelli che sentiamo anche oggi nei telegiornali.
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Gesù non risponde direttamente ma accosta questo fatto di violenza gratuita di Pilato ad un altro fatto, una disgrazia accaduta casualmente dove 18 persone sono morte a seguito del crollo della torre di Siloe e pone a sua volta una domanda per farci ragionare, per aprirci la mente e il cuore: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte?»
Ecco il primo messaggio che Gesù vuole darci con il Vangelo di oggi: quello che è successo ai galilei a causa della cattiveria di Pilato o alle 18 persone di Siloe, come tante altre disgrazie o violenze che accadono in questi giorni, non sono punizioni.
Voi sapete che per gli ebrei ogni cosa negativa, come ad esempio una disgrazia, una malattia, una morte accidentale, erano considerate come punizione di Dio. E invece non è così, le disgrazie non sono una punizione di Dio per i nostri peccati. Dio non conosce vendetta, Dio non è uno che se sbagli se la lega al dito. Dio è proprio il contrario, Dio è amore, Dio è misericordia, Dio è tenerezza.
Gesù ci dice che il Padre non punisce il peccato, lo perdona. E questa è la seconda buona notizia che le letture di oggi ci svelano.
Avete ascoltato il bellissimo racconto della prima lettura? Nel presentarsi a Mosè dal roveto ardente, Dio ancora prima di dire il proprio nome dice: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele”
Tre verbi bellissimi: ho osservato, ho ascoltato, sono sceso. Tre verbi che dicono tutta la premura di Dio verso il suo popolo e verso ciascuno di noi! E già, perché quello che il Signore dice per il popolo di Israele, vale per ognuno di noi!
Vede e ascolta quello che vive ogni sua figlia e ogni suo figlio. Vede e ascolta tutto: la gioia e il dolore di ogni persona al mondo. Conosce quello che viviamo e non se ne sta lontano e distante, ma si china con amore e continua a intervenire, a rendersi presente per condurci alla felicità.
Questa è la tenerezza di Dio, un Dio che in tutta la sua grandezza e la sua potenza si intenerisce per il suo popolo, che si prende cura di ognuno.
Pensate un attimo alla parabola con cui Gesù conclude il brano di oggi. Ci parla di un fico che cresce, riceve sole, pioggia, nutrimento dalla terra ma non dà frutto.
Dio attende frutti anche da noi. Amore per i propri fratelli, amore per l’orfano, per la vedova, per lo straniero. Amore che è perdono, pace, accoglienza, misericordia. E questo è bello, perché ci ritiene preziosi e sa che possiamo fare e dare cose buone.
E di nuovo qui si manifesta la tenerezza di Dio.
L’Impegno
Dio ci aspetta, ci riserva cure speciali, come zappare il terreno intorno perché il nostro cuore non sia duro, ci dà’ extra nutrimento e aspetta, con la tenerezza di un Padre che sa che ce la possiamo fare, che possiamo e dobbiamo dare frutto, per essere felici.
Ma che cosa vuol dire per noi, qui, oggi, dare frutto?
Possiamo perdonare, possiamo aiutare chi ci sta accanto, possiamo rinunciare a qualcosa per darlo a chi ne ha bisogno, possiamo portare gioia a chi è triste, possiamo giocare con chi rimane sempre solo, possiamo telefonare ad un compagno che è malato.
All’inizio di questa riflessione ci siamo chiesti perché tante persone soffrono così tanto in questa vita. Non lo sappiamo, ma sappiamo che nei momenti di sofferenza, Dio ci è ancora più vicino, sappiamo che tutto concorre al bene e al progetto d’amore che il Padre ci offre attraverso Gesù. E da oggi sappiamo anche che ognuno di noi può prestare le sue mani, la sua voce, il suo amore a Dio per aiutare chi soffre, per dare una parola di conforto, per portare amore dove ce n’è più bisogno, perché per cambiare il mondo, per costruire la pace, per portare amore, Dio ha bisogno anche di te.
Coraggio, cominciamo da oggi!
Fonte: Famiglia, Sogno di Dio il blog di Paolo e Diane