Rimanere.
E’ il verbo che connota le letture di questa Vª Domenica di Pasqua.
Lo rinveniamo nella prima lettera di Giovanni ( 1 Gv 3, 18-24 ), in cui leggesi: “ Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato “, e, piu’ volte, nel Vangelo: “ Rimanete in me ed io in voi “, “ chi rimane in me….”, “ se rimanete in me…”.
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Oggi la liturgia ci invita quindi a “ rimanere in Lui “.
Rimanere è un verbo complesso nella società di oggi, la cd. “ società liquida “, ove ogni giorno tutto deve cambiare vertiginosamente, ove sembra possibile sperimentare tante cose in cosi’ poco tempo.
Eppure il “ cambio continuo “ porta a non definirsi.
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Se io voglio essere sempre qualcosa di diverso finisce che non faccio mai scelte e resto in una dimensione di “ eterna superficialità “ che mi impedisce di creare legami e relazioni solide.
Rimanere invece è il verbo della costruzione, è il verbo che porta a conoscere veramente una persona, una realtà.
E’ difficile rimanere.
Spesso si avrebbe voglia di fuggire: scappar via da un matrimonio che sembra imprigionarci, da un lavoro che non soddisfa, da familiari con cui proprio non abbiamo affinità.
Eppure solo rimanendo si crea relazione, che è linfa vitale per l’essere umano.
E tra le tante “ relazioni “ che vengono trascurate quella principale è quella con Gesu’.
C’è chi “ non rimane “ in Cristo perché non è mai stato con Lui, c’è chi “ non rimane “ perché pensa che sia troppo difficile stare alla sequela del Maestro, c’è chi “ non rimane “ perché si sente tradito, abbandonato da Dio nel momento del dolore, nel momento della sofferenza.
Eppure “ non rimanere “ porta al nulla.
La frase chiave del testo evangelico che abbiamo letto per me è: “ Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla “.
NULLA.
Questa è la realtà, che va ricordata a coloro i quali hanno la tentazione di abbandonare Dio o a coloro i quali non lo hanno mai frequentato.
Senza di Lui non si va da nessuna parte e non si fa nulla.
Il dolore, la sofferenza, ci sono per tutti.
La grande diversità è viverli nel Signore o senza il Signore.
Chi è radicato in Lui sa che Cristo non lo abbandona in quei momenti ma gli è vicino, soffre con lui perché ha sofferto prima di lui e piu’ di lui, arrivando a donare la propria vita.
Chi resta in Dio sa che il dolore non è l’ultima parola, cosi’ come non la è neppure la morte.
Gesu’, risorgendo, ha dato la prova che dolore e sofferenza sono “ passaggi “ ma non sono la fine, perché, dietro di essi, dopo di essi, c’è la Salvezza.
Solo chi è radicato in Dio non si smarrisce dinanzi al dolore.
Chi invece “ non resta in Lui “ perché non sa o non fa memoria di cosa Dio ha fatto per ciascun uomo, si smarrisce inesorabilmente perché diviene preda del “ non senso “, finendo per abbandonarsi alla disperazione, alla rabbia.
Rimanere o non rimanere.
E’ la scelta fondamentale per una vita piena in Cristo.
Buona Domenica e buona riflessione a tutti.