Fabrizio Morello – Commento al Vangelo del giorno, 26 Aprile 2020

La liturgia propone oggi una delle pagine, a mio giudizio, più dense di “ messaggi spirituali “ per noi cercatori di Dio.

E’ un testo di una attualità incredibile in quanto il “ percorso “ dei discepoli di Emmaus è il nostro.

Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo “.

I due discepoli sono in un momento di delusione fortissima.

Avevano creduto in Gesu’, lo avevano seguito, ma lui è miseramente morto, mettendo fine alla loro speranza, che era quella che lui fosse colui che “ avrebbe liberato Israele “.

La loro speranza non viene riaccesa neppure da quanto riferito loro dalle donne ( “ affermano che egli è vivo “ ) in quanto ritengono falso questo dato ( “ Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto ).

Nel loro sconforto quel Gesu’ che non avevano riconosciuto inizia a parlare, fa un tratto di strada con loro e poi fa “ come se dovesse andare “ da un’altra parte.

Resta con noi “, gli dicono i due discepoli.

E’ l’inizio della loro rinascita.

Il Signore resta con loro e gli “ si aprirono gli occhi “, partirono “ senza indugio “ per far ritorno a Gerusalemme per raccontare agli altri cosa fosse accaduto.

La loro storia, come dicevo sopra, è la nostra.

Quando siamo tristi, abbiamo subito una delusione fortissima, siamo stati scossi da un evento ( la malattia, la morte, il dolore, la perdita del lavoro ), non capiamo più nulla, i nostri occhi si appannano e, anche se abbiamo seguito per anni il nazareno, non lo riconosciamo più, non vediamo che è vicino a noi, soffre con noi perché, prima di noi, ha sofferto per noi.

In questi momenti è, invece, indispensabile, non andar via da Gesu’ perché, altrimenti, il dolore, la disperazione, vincono due volte e si declinerà, per sempre, il verbo “ sperare “ al passato ( “ Speravamo che fosse colui che avrebbe liberato Israele “ ).

Dobbiamo invece “ restare “, avere certezza che lui c’è.

E’ questo il fondamento della nostra fede.

Il cristiano non deve “ sentire “ Gesu’ vicino, questo è sentimentalismo religioso; il cristiano, per verità di fede, sa che Dio c’è, lo ama e non lo abbandona.

E, allora, nei momenti difficili, dobbiamo “ rimanere in lui “, continuare e, addirittura, rafforzare la nostra relazione con lui attraverso la preghiera.

Cosi’ facendo, a mano a mano, i nostri occhi si apriranno e scopriremo che è sempre stato con noi.

E allora, solo allora, torneremo a coniugare il verbo sperare al presente e, cosi’ come i discepoli di Emmaus, “ senza indugio “, grideremo a tutti l’unica grande verità della storia: “ E’ risorto, è veramente risorto “.

Solo chi vive da risorto può annunciare la resurrezione.

Buona giornata e buona meditazione a tutti.


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