Continua oggi la cd. “ preghiera sacerdotale “ che Gesu’ fa dopo l’Ultima Cena.
Ieri abbiamo letto la prima parte, oggi ci viene proposta la seconda e domani ci approcceremo alla terza.
Trattasi del “ testamento spirituale “ di Cristo, con il quale Gesu’ affida al Padre i suoi discepoli di allora e di oggi.
Unità e Pienezza.
Sono le due cose che il Figlio chiede al Padre.
Piu’ precisamente chiede l’Unità da cui deriva, poi, la “ pienezza della gioia “.
Cristo ci vuole UNITI.
Sa che, quando andrà via Lui, se i discepoli si disperderanno, il demonio, lo spirito del mondo, avrà vita facile.
Diavolo deriva dal verbo greco “ Diaballo “, che si significa disgregare, dividere.
E’ il suo “ mestiere “!!!!
Proprio per questo l’unità , che deriva dal verbo greco “ Simballo “, che significa mettere insieme, unire, è importantissima.
Senza di essa le comunità cristiane e, quindi, piu’ in generale, la Chiesa, non puo’ proseguire la sua missione e finisce per cedere al principe del mondo.
Questo invito all’unità deve risuonare ancora più forte oggi, in una società “ scristianizzata “, in cui sembra che ormai il diavolo abbia vinto, abbia sedotto la quasi totalità degli uomini.
Solo l’unità dei cristiani puo’ consentire loro di restare “ fiamma accesa “ nella notte, di restare baluardo contro la vittoria del peccato.
Il mondo odia i cristiani.
Mettiamocelo in testa.
Solo uniti possiamo resistere e portare avanti la nostra opera di evangelizzazione, quella a cui siamo chiamati.
Gesu’ chiede quindi al Padre di “ custodire dal maligno “ tutti quegli uomini coraggiosi che, non facendosi vincere dal mondo, sono perseveranti nella loro missione evangelizzatrice che ha, come scopo, quella di “ consacrare nella Verità “ i nostri fratelli.
Per comprendere cosa significhi questa espressione riporto, a conclusione di questa breve riflessione, uno stralcio dell’omelia pronunciata da papa Benedetto XVI della messa crismale del 09/04/09: “ Consacrare qualcosa o qualcuno significa quindi dare la cosa o la persona in proprietà a Dio, toglierla dall’ambito di ciò che è nostro e immetterla nell’atmosfera sua, così che non appartenga più alle cose nostre, ma sia totalmente di Dio. Un tale privarsi di una cosa per consegnarla a Dio, lo chiamiamo poi anche sacrificio: questo non sarà più proprietà mia, ma proprietà di Lui “.
Buona giornata e buona riflessione a tutti.
A cura di Fabrizio Morello
Foto: mia.