“ Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini? “.
Pure noi, probabilmente, come “ i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo “ a cui parla Gesu’, se ci facessero questa domanda, risponderemmo, con molta ipocrisia: “ con delle persone che si comportano cosi’, che gli ammazzano dapprima i servi e, poi, addirittura il Figlio, per impossessarsi di tutti i frutti, è giusto che il Padrone sia rigido, è corretto che li faccia morire miseramente “.
Fingeremmo anche noi di non comprendere che…i contadini della parabola SIAMO NOI.
Abbiamo infatti “ completamente travisato “ l’operato del Signore il quale ci ha dato “ in affitto “ e non “ in proprietà “ la sua vigna.
E’ noto che, in diritto, l’ “ affitto “ è un contratto con il quale un soggetto, che si chiama “ proprietario “, CONCEDE IN GODIMENTO, dietro pagamento di una somma di denaro o di una parte dei frutti che si ricaveranno, un terreno ad un’altra persona, che si chiama “ affittuario “.
L’affittuario, pertanto, non è il proprietario, che fa cio’ che vuole con il bene, ma solo colui il quale ha, temporaneamente, in godimento un bene al fine di farlo fruttare nell’interesse suo e del padrone.
E’ pertanto “ onere “ dell’affittuario dare parte dei beni al padrone.
Il grande problema, dai tempi di Gesu’ ad oggi, è che gli “ affittuari “ si ergono a “ proprietari “, e, pertanto, violando l’intesa con il “ padrone “, non si accontentano di “ godere “ del bene e di una “ parte dei frutti “ che da esso si ricavano ma, per ingordigia e superbia, vogliono impossessarsi del bene senza rendere nulla al padrone e sono disposti a tutto, anche ad uccidere i dipendenti del padrone ( “ i servi “ ) o, addirittura, il suo stesso Figlio, pur di accaparrarsi anche quello che non è loro.
Non è la stessa logica con cui ci muoviamo oggi?
Il Signore ci ha messo a disposizione questo pianeta e ci ha detto di goderne, di utilizzarne i frutti ma non solo per noi.
L’ingordigia, la brama del potere terreno, porta però a volere tutto per sé.
E’ pericolosa questa attitudine, perché acceca e spinge addirittura ad ammazzare tutti coloro i quali “ si permettono “ soltanto di ricordare che non è questo il compito che ci è stato affidato, che qui siamo di passaggio e che un giorno ci troveremo faccia a faccia con chi ci aveva chiesto di “ amministrare “ e non di “ depredare “.
Quel giorno non avremo più le armi per “ ammazzare il Signore “ perché il tempo della nostra conversione, che è quello della vita terrena, sarà terminato.
Saremo noi a “ morire miseramente “, cioè “ in miseria “, soli, dannati, senza beneficiare della gioia eterna.
Chiudo con una domanda che possa guidare la riflessione odierna: “ Vale veramente la pena di spendere la nostra breve vita terrena per accaparrarsi, a danno degli altri, tante ricchezze materiali che non danno felicità e che, comunque, dovremo lasciare su questo pianeta al momento della morte corporale, condannandoci, in tal modo, a perdere la vita eterna? “
Buona giornata e buona riflessione a tutti.
A cura di Fabrizio Morello
Foto: mia.