Fabrizio Morello – Commento al Vangelo del giorno, 17 Novembre 2021

1366

Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi “.

Il versetto mi fa subito porre una domanda forte: e noi, vogliamo che costui, cioe’ Cristo, regni su di noi?

O anche noi, come i suoi concittadini, lo “ odiamo “?

E’ questo l’interrogativo che dobbiamo porci.

Proviamo pero’ a vedere perché i “ concittadini “ di allora e, forse, “ tanti “ al tempo di oggi, lo odiano.

La risposta sta nelle parole del terzo servo della parabola: “ Avevo paura di te, che sei un uomo severo “.

L’errore sta nel percepire Cristo come un giudice inflessibile.

Per andare d’accordo con Lui bisogna allora essere “ ubbidienti “, rispettare tutte le norme rituali religiose, non esprimere mai la propria opinione per “ paura “ di contraddirlo.

E’ meglio tenere “ nascosti “ i nostri talenti perché, facendoli fruttare, potremmo suscitare la sua rabbia.

Fedeltà equivale quindi ad obbedienza cieca, a non far nulla di testa nostra, a non rischiare niente.

E’ ovvio che se questa è l’immagine di Dio che ci siamo fatti…è meglio abbandonare subito il cristianesimo.

Questa parabola ci dimostra che il vero Cristo è…. esattamente l’opposto.

Fedeltà, come si legge nel testo, non è sinonimo di obbedienza cieca che paralizza, come pensa il terzo servo, ma di “ frutto “.

E’ fedele, quindi, per Gesu’, chi fa fruttare i doni ricevuti.

E allora l’ottica cambia completamente.

Si coglie il vero volto di Cristo, che non ci vuole fermi, non vuole che sotterriamo i nostri talenti, ma vuole che li facciamo “ fruttare “, cioè li moltiplichiamo, li mettiamo a disposizione di tutti per la costruzione del Regno.

Non importa quindi, agli occhi di Gesu’, se sbagliamo, se cadiamo.

Cio’ fa parte del percorso, fa parte del rischio, fa parte della vita.

La caduta è un esperienza fondamentale per comprendere come meglio mettere a disposizione il talento.

Non si verrà giudicati se si è caduti, se si sono fatti degli errori, ma se si è stati fermi, se non si è fatto neppure il tentativo di “ far fruttare “ le nostre peculiarità.

Attenzione: far fruttare espone anche a dei rischi, porta verso “ Gerusalemme “, cioè verso la morte, intesa anche figuratamente come incomprensioni, derisioni, allontanamenti da parte degli altri, ma è l’unico modo di vivere veramente una degna di questo nome.

Il nascondersi, il seppellire se stessi, è condurre un’esistenza da “ morti viventi “.

Animo allora, mettiamo a disposizione cio’ che abbiamo.

La nostra prospettiva cambierà e diremo a “ Costui “: “ vogliamo che regni su di noi “.

Buona giornata e buona riflessione a tutti.


A cura di Fabrizio Morello

Foto: mia.