Fabrizio De André, la metafisica e il cristianesimo

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Fabrizio De André ha sempre dichiarato di non avere una fede religiosa e di avere espresso nelle sue opere un punto di vista puramente umano e ateo sul cristianesimo.

Tuttavia è difficile trovare una simile ricchezza e una continuità di riflessioni su Dio, su Gesù e su Maria in qualunque altro grande autore di canzoni. È anche difficile sfuggire al fascino di una coincidenza che fa dell’ateo De André colui che apre il suo primo 33 giri con una preghiera (in gennaio) e che chiude il suo ultimo album con un’altra preghiera (smisurata); né può essere certo una casualità il fatto che il cantautore genovese abbia inserito nella sua produzione due Ave Maria, uno Spiritual, un testo intitolato Si chiamava Gesù e un intero album intitolato La buona novella.

Le opere e le riflessioni di De André sul tema della metafisica e del cristianesimo sono varie e a volte contraddittorie, ma tutte riflettono comunque una ricerca e una profondità di pensiero che ne suggeriscono l’utilizzo in ambito scolastico. Di seguito abbiamo provato a classificarle sulla base degli stimoli didattici che possono fornire, limitandoci per questioni di spazio a un paio di spunti e invitando come sempre a considerare le nostre idee non più che una traccia iniziale perché gli insegnanti possano proseguire autonomamente le loro ricerche e riflessioni.

Il primo spunto didattico è fornito dall’intero album La buona novella. Il fulcro del lavoro è l’umanizzazione delle figure evangeliche attraverso un lavoro di ricerca storica condotto sui vangeli apocrifi. Senza tornare alle analisi dell’album e dei singoli testi che lo compongono (già affrontate nella prima parte di questo volume) ci pare utile sottolineare come il disco deandreiano possa essere la base di un lavoro di ricerca sulla figura storica di Gesù che un’insegnante di religione, di filosofia e anche di storia potrebbe proporre ai suoi studenti traendo spunto dal cantautore genovese.

Un secondo stimolo didattico, molto più aperto, può nascere dalle riflessioni di De André sul rapporto tra etica e religione. La sua non religiosità non gli impedisce certo di cogliere la grandezza etica del messaggio di Gesù Cristo («il più grande rivoluzionario della storia», come amava ripetere) e almeno due testi possono servire da spunto per un lavoro di approfondimento sulle relazioni fra religione, etica e ateismo: il primo è Si chiamava Gesù un piccolo manifesto dell’ammirazione di un non credente per i principi di amore verso il prossimo predicati e applicati dal Nazareno:

Non intendo cantare la gloria/ né invocare la grazia o il perdono/ di chi penso non fu altri che un uomo/ come Dio passato alla storia/ Ma inumano è pur sempre l’amore/ di chi rantola senza rancore/ perdonando con l’ultima voce/ chi l’uccide fra le braccia di una croce.

Il secondo testo degno di nota è uno dei più celebri della produzione deandreiana: Il testamento di Tito. La canzone è costruita sulla contrapposizione tra una prima lunga parte di denuncia e contestazione e la strofa liberatoria finale; l’inizio è una continua demolizione dell’etica del Dio biblico, accusato da Tito, il «buon ladrone», di aver proposto regole di comportamento lontanissime dalla vita reale degli ultimi, dei poveri e degli emarginati:

Non desiderare la roba degli altri/ non desiderarne la sposa/ Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi/ che hanno una donna e qualcosa (…)

Il finale è invece un’adesione etica intensa e drammatica di Tito al messaggio d’amore di quel Gesù Cristo che gli sta morendo al fianco:

Io nel vedere quest’uomo che muore/ madre io provo dolore/ nella pietà che non cede al rancore/ madre ho imparato l’amore.

Estratto dal libro De André in classe di Massimiliano Lepratti (diplomato in violino e laureato in scienze politiche a indirizzo internazionale-storico, collabora con il mondo delle ong di cooperazione allo sviluppo; si occupa di progettazione e ricerca pedagogico-didattica nei campi dell’educazione allo sviluppo e delle relazioni Nord/Sud.)

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