Ancora oggi, in questa calda domenica estiva, la Liturgia rimane, per quel che concerne il Vangelo, nel capitolo 6 secondo Giovanni.
Vari spunti, riferimenti e collegamenti abbiamo proposto in merito a Gv 6 nelle due domeniche precedenti a questa (cf. RAGAZZO e AVRÀ SETE).
Quest’oggi ci è gradito soffermarci su un verbo particolare, circa il quale sarebbe consona un’ampia discussione esegetica: MORMORARE, verbo presente, in due coniugazioni diverse, sia in Gv 6, 41 («Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”») sia due versetti dopo in Gv 6, 43 («Gesù rispose loro: “Non mormorate tra voi»).
Ebbene tale verbo, a livello esegetico, è di notevole portata, poiché veicola aspetti e richiami di largo valore storico e teologico.
In questo nostro commento, nel merito, ci limiteremo a brevissimi cenni.
In primo luogo il verbo «mormorare» rimanda decisamente all’Antico Testamento, e in special modo ci descrive una caratteristica propria che il popolo ebraico manifestava, quale segno di disapprovazione nei confronti di Adonài («Il Signore»), per le diverse vicende spiacevoli che su di questo piombavano: una su tutte la carenza di cibo (se il lettore ben ricorda, lo stralcio che or ora citeremo lo abbiamo ascoltato domenica scorsa quale I Lettura):
«Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. […] Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”» (Es 16, 2.12).
Ebbene, è notevolmente interessante notare come il capitolo 6 secondo Giovanni si possa fortemente porre in relazione con questi versetti dell’Esodo (cf. per intero Es 16, 1-12, in cui il «mormorare» è presente 9 volte). E tale raffronto è duplice.
Da un lato, infatti, sia in Gv 6 41-51 (il Vangelo di oggi) che in Es 16, 1-12 i protagonisti del «mormorare» sono gli Israeliti-Giudei; dall’altro, perché il tema dominante, in entrambi i passi citati, è esattamente quello del «pane».
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Ma che cos’è il «mormorare».
Il verbo greco adoperato in Gv 6, 41.43 è goggúzo.
Molto interessante è la sua radice √gueu (ovvero √jo-guve).
E l’interesse sta nel fatto che da questa stessa radice viene il verbo greco boáo, che significa paradossalmente l’opposto, ovvero «gridare» (la radice √gueu, infatti, esprime proprio l’atto del grido).
Ma che relazione può esserci, invero, tra il «mormorare» e il «gridare»?
Apparentemente nulla.
Eppure, a ben rifletterci…non è forse vero che al primo mormorio di un piccino che dorme nel lettino, il padre si alza di scatto allarmato per correre da lui, come se il neonato avesse gridato?
Ma scendiamo maggiormente in profondità.
Non è forse vero che il mormorare è esattamente un qualcosa che si vorrebbe gridare, ma la malizia o la subdola ipocrisia suggeriscono che sia meglio non farlo?
E non è forse vero che se il destinatario di questa mormorazione riuscisse ad ascoltarla, o ne dovesse venire a conoscenza, ne resterebbe lacerato come se quella mormorazione fosse stata gridata ai quattro venti? -Certo, la mormorazione ha anche carattere di delicatezza, ovvero può avere senza dubbio pure accezione “positiva”: invero si può mormorare per vergogna, o per buon costume; pensiamo anche al dolce e imbarazzato mormorare che due amanti si scambiano. Nondimeno è assodato come il mormorare venga usualmente adoperato per descrivere un “viscido brontolio” piuttosto che un “soave sussurrio”
Ecco, quindi, come il mormorare faccia incredibilmente male: esso sembra atto innocuo, a motivo della sua silenziosa forma, mentre in realtà è sostanzialmente un grido, un grido vigliacco, che lacera tanto il destinatario quant’anche colui che mormora. Chi mormora, infatti, è colui che non ha il coraggio di gridare e il suo mormorare altro non è se non rendere manifesta una profonda vigliaccheria: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità» (Mt 23, 27-28)
Circa il «mormorare», poi, di notevole ispirazione sono varie catechesi di papa Francesco, nelle quali il mormorio, ovvero il pettegolezzo, è legato indissolubilmente al male, al maligno, al demonio (cf. La minaccia del pettegolezzo, 2 settembre 2013; Angelus, 6 settembre 2020; Udienza Generale, 20 gennaio 2021).
Un invito che possiamo ricavare, quindi, dal Vangelo di questa domenica è quello che ci sollecita ad evitare il mormorio, ovvero è quello che ci sollecita ad essere palesi nel parlare, ci sollecita non a mormorare (atto proprio del demonio) ma a gridare, così come fece Giovanni Battista (cf. Gv 1, 23) e soprattutto così come fece Gesù (cf. Gv 7, 37; 11, 43), anche dalla croce (cf. Mt 27, 46.50; Mc 15, 34.37).
Ci sollecita a non fare pettegolezzo, ma a far si che il nostro parlare sia «”Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (cf. Mt 5, 37).
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.