Ma perché è stata scartata l’effettiva conclusione della pericope evangelica odierna?
Il Vangelo di questa domenica termina così:
«Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21, 43).
Orbene, la lettura matteana che oggi abbiamo in esame si inquadra esattamente al termine del capitolo 21, il quale consta di 46 versetti. –La suddivisione in capitoli e versetti non è stata posta dall’Autore Sacro, bensì è una schematizzazione successiva alla redazione dei Vangeli, i quali vennero scritti privi di ogni ripartizione di stesura. Nondimeno codeste sezioni non sono state poste a caso, in quanto tengono ben presente determinati ed esaustivi blocchi narrativi o aree di senso
Perché non far coincidere il brano evangelico di questa occasione con il naturale compimento del capitolo 21?
Proviamo a darci una risposta.
Spesso alcune righe o versetti non vengono riportati nelle pericopi liturgiche per svariati motivi: uno di questi è non voler rendere esageratamente lunga la lettura del Testo Sacro, oppure voler concentrare il contenuto di questa su una ben determinata e puntuale situazione, tanto in senso denotativo/narrativo quanto in senso connotativo/contenutistico.
Per questo è importante che il sacerdote, quando si accinge a rivolgersi ai fedeli nell’omelia, si adoperi a fornire sempre una panoramica circa «il dove» un dato e specifico estratto sia collocato all’interno del Vangelo (o di altro Testo Sacro) di riferimento.
Difatti il concetto del «contestualizzare» non dovrebbe essere invocato solo per le emarginate affermazioni (o intercettazioni) dei politici o dei vari personaggi che assumono valenza pubblica (personalità religiose comprese), che quotidianamente vengono diffuse e distribuite, come da costume attuale, a mo’ di tweet (emarginate affermazioni che spesso, tra l’altro, rimangono «strampalate» pur se contestualizzate), ma deve valere in primo luogo, e a maggior ragione, per la voce di Gesù Cristo, la cui Parola è l’unica ad avere senso per l’uomo.
Il rischio del «de-contestualizzare» un messaggio, infatti, è quello di fuorviarlo, di «tirarlo per la giacchetta» da una parte o da un’altra, di manovrarlo a seconda di ciò che il manovratore vuol lasciar trapelare. Insomma: il «de-contestualizzare» può (o vuole) mettere in bocca al soggetto parlante quel che il «de-contestualizzatore» vorrebbe che costui dicesse, rischiando di (o mirando a) mandar perduto quello che questi avrebbe effettivamente detto ovvero inteso.
E tale rischio può coinvolgere anche la Parola di Dio, a cagione della superficialità o della malizia, dell’insufficienza o dell’imperizia, tanto di un teologo quanto di un omileta; tanto di un esegeta quanto di un ordinario commentatore.
Ecco perché, come spesso diciamo, l’iniziazione alla fede è importante nonché necessaria: aiuta il fedele non solo ad assaporare più compiutamente il messaggio del Signore, ma anche a renderlo accorto a quelle «spie rosse» che si accendono e lampeggiano dinanzi al proclama di qualche «stonatura».
Data questa premessa, andiamo alle righe che sono state oggi omesse dalla pericope, ovvero Mt 21, 44-46:
«44 Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato“. 45 Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. 46 Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta».
Diciamo che i versetti 45-46, così com’è stato fatto nella Liturgia, potrebbero pacificamente «farsi da parte», essere scartati, per il loro carattere manifestamente narrativo e di collegamento (tuttavia non è solo così, poiché, come non manchiamo mai di ricordarlo, ogni iota della Parola di Dio ha valore immenso).
Ma perché, però, non includere nella pericope odierna il versetto 44?
Perché scartare tale riga (versetto 44), la quale chiude puntualmente le virgolette (“) aperte da Gesù a partire dal versetto 42?
Perché si è lasciato che la pericope, ovvero la Parola di Gesù, rimanesse tronca al versetto 43:
«42 E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? 43 Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti»?
Lo scrivente certamente non è in possesso della risposta.
Al massimo è possibile sollevare qualche ipotesi.
Il Gesù di Mt 21, 44 è forse troppo distante dal cliché che la maggior parte dei fedeli ha del Figlio di Dio?
Oppure:
è bene che la figura di Gesù mantenga un certo e determinato qual stereotipo?
La risposta non è data.
Interessante notare, però, come il verbo greco pípto («cadere»), presente nell’«incriminato» versetto di Mt 21, 44, sia collegato, nella sua radice, a svariati significati ulteriori.
Dalla stessa matrice di pípto, invero, viene il verbo ptúo («sputare»), ma anche il verbo baptízo («immergere» ovvero «battezzare»).
Da rilevare, poi, come la «pietra», presente tanto in Mt 21, 42 quanto in Mt 21, 44, possa rappresentare tanto «gli scartati» (pubblicani, prostitute, pagani etc.), quanto fortemente «lo Scartato» per antonomasia, ovvero il Signore Gesù Cristo.
Ecco che allora questo «temibile» versetto di Mt 21, 44 potrebbe non far poi così tanta paura, qualora fosse attentamente e adeguatamente scrutato.
Esso, invero, pur nella sua evidente ed innegabile brutalità, riesce a recare in sé notevoli profondità di senso:
Mt 21, 44a – «Chi farà cadere lo sputo sopra questo Scartato si sfracellerà;
(lo «Scartato», sappiamo però, è «pietra d’angolo» [Cf. Mt 21, 42], quindi lo «sfracellarsi» non è la punizione del Signore, bensì la conseguenza della libera scelta del «costruttore» [dell’uomo], il quale ha considerato di rigettare ciò che sarebbe risultata essere la «testata portante» della costruzione [della vita])
Mt 21, 44b – e colui sul quale lo Scartato sputerà, verrà stritolato”».
(non è forse vero che lo «sputo del Signore» è atto di guarigione, ovvero è «battesimo di salvezza» [Cf. Gv 9, 6-7]? Da precisare, poi, come quel «verrà stritolato», che in greco è espresso dal verbo likmáo, esprima, nel sul senso radicale, ovvero prima di veicolare quella crudezza che appare esternamente [e che ha pieno senso ugualmente, sia ben chiaro], il concetto rigoroso [proprio dell’amore di un Dio-Padre], e non brutale [proprio di un dio-nemico], del «vagliare/ripulire»: ecco, allora, che trasportando letteralmente il verbo likmáo, esso sarebbe da rendere con «verrà vagliato/ripulito»)
Orbene, sin qui non abbiamo per nulla sfiorato, nel nostro commento, il passo evangelico odierno, ma ci siamo dedicati ad un versetto «scartato» dalla Liturgia.
Vediamo, però, se implicitamente, o in via subliminale, lo abbiamo comunque toccato.
Andiamo a porre attenzione al versetto di Mt 21, 38:
«Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”».
Il nome greco per «erede» è kleronómos, ed è composto dal sostantivo klẽros («sorte/beni») e dal verbo némo («distribuire/spartire»).
Da approfondire è, tuttavia, il termine klẽros.
Da codesto klẽros deriva chiaramente, aiutati anche dalla palese assonanza, la parola italiana «clero», ovvero il «corpo sacerdotale».
Al di là delle facili, futili e stupide ironie a cui spesso ci si lascia andare, relazionando in modo sprezzante, e unicamente arrogante, «beni (klẽros)-Chiesa (klẽros)», mirando solo al disprezzo distruttivo e non ad una sana disapprovazione che sia ausilio costruttivo, il «corpo sacerdotale» viene chiamato «clero» (ovvero «erede») in virtù del fatto che «ha in sorte la parte /l’eredità del Signore», tecnicamente concretata negli «uffici sacerdotali».
Rilevante notare come questo passaggio semantico sia letto sulla scia di quanto valeva propriamente per il corpo sacerdotale ebraico, ovvero i «Leviti», i quali furono esclusi dall’esser parte, come tribù, per quel che concerneva la spartizione dei territori della Terra Promessa (Canaan), ma ebbero tuttavia in dote la «porzione per eccellenza dell’eredità di Adonái», ovvero «l’esercizio del servizio sacerdotale a YHWH».
Preso atto di quanto, ecco che risulta molto interessante come proprio nel Vangelo odierno, l’Erede per antonomasia, ovvero Gesù Cristo, sia esattamente in disputa proprio con il «clero di Israele», con gli eredi della miglior porzione dell’eredità di Dio, precisamente «i capi dei sacerdoti» (Cf. Mt 21, 45).
E codesta disputa verte precisamente sul tema dello «scartare».
«Scelti» dal Signore per ricevere, quindi rappresentare, la parte eccellente della sua eredità, si sono fatti essi stessi «signori»: «cernitori» a regolare la disciplina dei fedeli; «cernitori» a modulare il volere del Signore; «cernitori», finanche, a scartare il Signore.
Ebbene, dato tutto questo svolgimento ci si aspetterebbe, in conclusione, un’aspra critica alla casta sacerdotale, oppure una tirata d’orecchie al liturgista.
Se qualche d’uno si aspettasse tutto questo, rimarrebbe aspramente deluso.
Se è vero che «clero», in senso stretto, vale «apparato sacerdotale», è innegabile che «eredi» di Adonái erano tutte le tribù di Israele, non solo i Leviti; ed è altrettanto certo che «eredi» del Signore siamo tutti noi, non solo, per dirla in gergo colloquiale, i preti.
Ciascuno di noi è kleronómos («erede»); ciascuno di noi è «clero».
E ciascuno di noi è chiamato, ognuno nel proprio «ordine» (che è «sacro» per i preti, ma che è altrettanto sacro per ogni vocazione), a «con-testualizzare» il Kleronómos per antonomasia; ciascuno di noi è chiamato non a «scartare», ma ad accogliere in tutta la sua pienezza l’Erede per eccellenza.
E questo vale, certamente, per i preti e per la liturgia, ma vale a maggior forza, nella «testimonianza di fede», ovvero in quella che, così «diluitamente», chiamiamo «vita» -vita: termine così sacro che bisognerebbe centellinarlo sulle nostre bocche; ma proprio per questo, termine di cui nessuno spot (televisivo, elettorale, finanche religioso) può farne a meno, tanto che lo scopo è stato raggiunto, ovvero rendere la «vita» un comune «prodotto», che si può scegliere, ed anche «scartare»
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.