Se la settimana scorsa ci siamo trovati dinanzi ad una parola dalla radice incerta («zizzania»), anche quest’oggi, nel brano matteano che prosegue gli estratti delle due domeniche precedenti, siamo al cospetto di un termine dall’etimo «misterioso»: TESORO.
È molto probabile che la strada etimologica più lineare sia quella corretta: questa, infatti, fa risalire il sostantivo greco thesaurós al verbo títhemi («porre/collocare»).
A tale verbo, poi, si può aggregare, in combinazione, anche il nome aũron (in latino aurum) ovvero «oro».
Tuttavia, la lettura e la contemplazione del Vangelo odierno ci può sussurrare un’altra via.
Il «tesoro», recita la Parola di Dio, è «nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde» e poi «compra quel campo» (Cf. Mt 13, 44).
I termini «nascosto/nasconde», «campo» e «trova», ci indicano la strada.
Invero, che c’è nascosto nel campo? Ovvero: qual è quella cosa che in un campo va trovata?
Se la risposta ancora non è giunta, leggiamo l’ultimo versetto della pericope odierna, ovvero Mt 13, 52, nel quale si torna a parlare proprio di «tesoro»; e su questo «tesoro» agisce un verbo, ovvero «estrae» («Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”»).
Il greco del Vangelo adopera per «estrae» il verbo ek-bállei, il quale letteralmente vale «scagliare/gettare» (bállo) «fuori» (la preposizione ek esprime moto da luogo), ma può rendersi in traduzione anche con «estirpare».
Orbene, cos’è quella cosa che si trova nascosta in un campo, su cui agisce l’azione dell’’estirpare?
La radice.
In greco il nome «radice» è ríza, e il suo verbo associato è rizóo («mettere radici»).
Di ciò dato atto, è possibile ritrovare ríza in thesaurós, e ciò è ancor più manifesto e forte nel momento in cui abbiniamo i loro verbi di riferimento, ovvero rizóo e thesau-rízo («accumulare/deporre nel tesoro»).
In merito a ciò, è decisivo riportare il passo di Mt 6, 19-21: «Non accumulate (tesaurízete) per voi tesori (tesauroùs) sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate (tesaurízete) invece per voi tesori (tesauroùs) in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro (tesaurós), là sarà anche il tuo cuore».
Ebbene, non è forse vero che la «radice» è il «cuore» della pianta?
E se a questo brano appena citato inseriamo i concetti di «radice/radicare» ogni qual volta troviamo tesaurízete/ tesauroùs/ tesaurós, il senso di queste righe assume una decisiva pienezza.
Ecco, allora, che quest’oggi il brano evangelico ci ispira ad interrogarci in cosa e dove siamo radicati; ci invita a ricercare quale sia la radice da cui traiamo linfa.
È grano o zizzania il frutto dei nostri germogli? Le nostre opere riempiono il granaio del Signore, oppure alimentano la carestia che viene dal maligno?
Insomma, qual è il nostro «tesoro»?
Ovvero: qual è la nostra «radice»?
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.