Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 25 Luglio 2021

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Partiamo decisamente senza girarci troppo intorno, o per usare un gergo aulico e dotto, iniziamo ex abrupto: ma chi è il vero protagonista del Vangelo odierno, Gesù o il ragazzo? -Per chi legge consuetudinariamente la nostra rubrica settimanale, sa come non riportiamo mai l’intero passo evangelico sottoposto al nostro commento, ovvero quello che la Liturgia ci offre alla Messa domenicale, ma ci limitiamo solamente a citarlo nella testata. E questo lo facciamo per evitare inutili ridondanze e appesantimenti, dato che il Vangelo lo si può leggere in ogni momento anche dai telefonini (auspichiamo, tuttavia, che nelle case una Bibbia sia sempre presente). Il passo evangelico odierno, in sintesi, racconta la cosiddetta “moltiplicazione dei pani e dei pesci” narrata secondo Giovanni. Sappiamo chiaramente cosa abbia compiuto Gesù in tale occasione. Il ragazzo a cui facciamo riferimento, invece, è colui che aveva «cinque pani d’orzo e due pesci» (cf. Gv 6, 9)
Ebbene, perché ci facciamo questa domanda, apparentemente strana, quasi senza senso?
Perché molte volte capita di ascoltare, in alcune omelie e catechesi, come il miracolo in questione non sia tanto della moltiplicazione dei pani e dei pesci quanto quello della condivisione.
Certo, in parte può essere anche vero, in parte è anche vera questa allusione alla generosa condivisione, nondimeno diverse volte, tanto dalle stanze del catechismo quanto dai pulpiti o dagli scranni, si insiste troppo sul fatto di come questo evento sia una specie di pic-nic, una scampagnata in cui ognuno ha messo del suo, e così, come si suol dire comunemente, la provvidenza ha fatto il miracolo, dove per “provvidenza” generalmente si allude al fatto di come ciascuno abbia messo altruisticamente del suo, ovvero abbia contribuito generosamente con quello che aveva, insomma si è verificata quella magnanima e disinteressata condivisione, cosicché tutti hanno potuto mangiare.
Talvolta alcuni esegeti liberali arrivano addirittura a negare il miracolo, ovvero il segno, della moltiplicazione dei pani e dei pesci, affermando come l’episodio, tra l’altro narrato da tutti e quattro i Vangeli -quasi come a darne granitica certezza (cf. il concetto ebraico di chok ovvero «scolpito sulla pietra»), sia stato, nella realtà dei fatti –come se il Vangelo non fosse storia: ma quante volte si dovrà ripetere che la Parola di Dio è storia e kérygma?, un mero contributo o tributo, poi egualmente ed equamente distribuito, di tutti coloro che erano presenti, e così ecco che è successo questo episodio, che è divenuto miracolo, o segno, solo per la “romanzata” evangelica, solo per l’idilliaco racconto evangelico.
Ebbene, tanto la rimodulazione del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci in quello della generosa condivisione, quanto la negazione di questo segno (che ribadiamo è tanto teologico quanto storico) relegato ad un mero con-tributo ridistribuito, non solo riducono la portata di questo poderoso evento, ma ancor più eliminano il senso profondo dell’episodio in questione, che non è (solo) sprone a condividere, ovvero a contribuire, ma è in primo luogo la rivelazione di Gesù come il Messia.

Ebbene, torniamo alla domanda di partenza.
Chi è, quindi, il vero protagonista del Vangelo odierno, Gesù o il ragazzo?
Se la domanda era retorica già in apertura, adesso, immaginiamo, lo sarà ancora di più.
Nondimeno, così come ci appartiene, cerchiamo di lasciare la parola, ovvero le risposte, alla Scrittura.

Detto ciò, riferiamo al lettore come l’episodio della “moltiplicazione dei pani e dei pesci” secondo Giovanni (Gv 6, 1-15) potrebbe accendersi ed illuminarsi se lo si mettesse in raffronto con il capitolo 21 secondo Giovanni (lo stesso valga viceversa: il capitolo 21 si illuminerebbe, se lo si raffrontasse con Gv 6, 1-15).
Non avendo il modo di esaminare ogni dettaglio, riferiamo solo due tracce di come Gv 6, 1-15 e Gv 21 possano essere accostati in sinossi -Gv 21, ultimo capitolo del Vangelo secondo Giovanni, in sostanza narra dell’ultima apparizione di Gesù Risorto ai discepoli, e racconta della triplice domanda che il Cristo rivolge a Pietro, ovvero ribadisce il primato di Pietro:
1-Entrambi i passi si svolgono sulle sponde del Lago di Tiberìade (la Tradizione, addirittura, li colloca, possiamo dire, proprio nello stesso punto. I pellegrini in Terra Santa, infatti, possono verificare come il luogo della “moltiplicazione dei pani e dei pesci” sia quasi attaccato a quello del “primato di Pietro”: siamo nei pressi di Cafarnao)
2-In entrambi i passi siamo al cospetto di una miracolosa moltiplicazione: in Gv 21, infatti Gesù concede ai discepoli una pesca eccezionale e strabordante, dopo una notte trascorsa senza prendere alcun pesce -Potremmo continuare ma ci basti così

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Nel merito, però, a noi, come manifestato, interessa la relazione “Gesù-ragazzo”.
In entrambi i capitoli, ovvero Gv 6 e Gv 21, e nello specifico Gv 6, 9 («C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?») e Gv 21, 5 («Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”»), pur se la traduzione italiana li rende con due diversi sostantivi, il termine greco è lo stesso: paīs (nelle forme diminutive paidárion [il «ragazzo» di Gv 6, 9] e paidía [il «Figlioli» di Gv 21, 5]) -Tre minime note a margine.
La prima circa Gv 6. Curioso notare come chi introduca il paidárion (letteralmente «ragazzino/fanciullino/bambino») al cospetto di Gesù sia Andrea («Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: “C’è qui un ragazzo…» -cf. Gv 6, 8-9), nome che in greco significa esattamente «vero uomo/uomo fatto/maschio» o per rendere l’idea, per capirci, varrebbe simpaticamente anche con la sfumatura di senso: «macho», dato che «Andrea» viene dal greco anér, il cui corrispettivo latino è vir, da cui il nostro «virile».
La seconda nota è circa Gv 21. Curioso poter notare come la “minima” dotazione alimentare del «ragazzo» di Gv 6 («C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci» -cf. Gv 6, 9) si possa ritrovare propriamente in Gesù stesso: «Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso ora”» (Gv 21, 9-10).
La terza nota è circa il fatto che il termine greco paīs nei Vangeli è fortemente un calco dell’aramaico talià, nome molto significativo, in quanto talià poteva significare tanto «fanciullo» quanto «servo» quanto anche «agnello»

Ebbene, dato tutto quanto, la somiglianza, o meglio il richiamo ovvero l’eco di Gv 6, 9 è fortissimo in Gv 21, 5, e questo è anche grazie al fatto che troviamo in ambo gli episodi questo termine paīs.
Ed è proprio questo che ci consente di fare un raffronto e di trarre una riflessione.
Difatti:
«“C’è qui un ragazzo (paidárion, letteralmente «ragazzino») che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?”» (Gv 6, 9)
rimanda decisamente, tanto nel senso profondo quanto nel costrutto lessicale e semantico a:
«Gesù disse loro: “Figlioli (paidía, letteralmente «ragazzini»), non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”» (Gv 21, 5).

Torniamo, quindi, ancora una volta alla domanda che caratterizza il nostro commento: chi è il vero protagonista del Vangelo (Gv 6, 1-15) odierno, Gesù o il ragazzo?
Già sappiamo come la risposta sia: Gesù.
Nondimeno essa scaturisce non solo dalla retoricità o dall’ovvietà (se non si vuol sbagliare, la risposta esatta è sempre: Gesù), ma come abbiamo sopra detto, riusciamo a trarla direttamente dal testo evangelico, ovvero dal raffronto con Gv 21, 5.
Vediamo.

Leggendo in maniera puntigliosa, o meglio superficiale o maliziosa, il Vangelo di oggi, si potrebbe correre il rischio di “scivolare” sul protagonista, ovvero di decentrare il protagonista, in virtù del fatto che, dinanzi ad una lettura puntigliosa, o meglio superficiale o maliziosa, potrebbe sembrare che il miracolo della moltiplicazione operato da Gesù, si sia potuto realizzare solo grazie al fatto che dinanzi al Maestro furono posti i cinque pani d’orzo e i due pesci del ragazzo.
Ecco qui, allora, come il vero protagonista del miracolo sarebbe propriamente il ragazzo, senza il quale nessun potere avrebbe potuto far niente, fosse anche quello del Rabbi di Narzaret.
Difatti, come si può moltiplicare qualcosa che non c’è?
Ecco, quindi, che se non si fossero portati i cinque pani d’orzo e i due pesci dinanzi a Gesù, quest’ultimo non avrebbe potuto fare alcunché, nessun miracolo, avesse avuto anche i più indescrivibili poteri, avesse avuto anche poteri divini.

Ma ecco che, a questo punto, possiamo far intervenire Gv 21, 5, versetto nel quale Gesù usa il medesimo nome del «ragazzo» di Gv 6, 9, ovvero paīs, consentendoci quindi il parallelo ed il raffronto –ricalcando la tecnica esegetica ebraica detta ghezèra shavà (un passo è in connessione con un altro perché ci sono termini uguali), già menzionata in altri nostri commenti -cf. CUSCINO
E con tale nome, chiama i discepoli: «Figlioli (ovvero letteralmente «Ragazzini»), non avete nulla da mangiare?» (cf. Gv 21, 5),
quasi a dire, o a metterli alla prova:
«Cari ragazzini, se non portate alcunché, così come fece il ragazzino sulle rive del lago, che facciamo? Che posso fare? Non ci salva neanche un miracolo, non si può fare neanche un miracolo»
E la risposta dei «Ragazzini» di Gv 21, 5 non è positiva (al contrario di quella del «ragazzo» di Gv 6, 9, che invece aveva cinque pani d’orzo e due pesci), ma negativa, infatti:
«Gli risposero: “No”» (cf. Gv 21, 5),
quasi a dire:
«Non abbiamo neanche un pesce: adesso neanche un miracolo si può fare, neanche un miracolo può salvarci».
Invece Gesù cosa fa:
«Allora egli disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci» (Gv 21, 6).

Ebbene, anche se non c’era nulla da moltiplicare nelle mani (o nella rete) dei «Ragazzini-Discepoli», Gesù può: può moltiplicare, può fare miracoli, anche dal nulla, perché Egli è il Tutto, è il Messia, è il Signore.
E Gesù, il Signore, pur se il nostro contributo è sempre auspicabile e rilevante, non ha necessità delle nostre collaborazioni per essere Dio -Un simil discorso si può applicare anche alla preghiera: non è che il Signore ha necessità delle nostre preghiere, ovvero non è che noi dobbiamo pregare per fare un piacere, un favore, al Signore, poiché la preghiera, casomai, è fare un favore a noi; con la preghiera, casomai, chiediamo che il Signore renda a noi un piacere, conceda a noi piacere. Lo stesso dicasi per la preghiera di lode: non occorre che siamo noi a riconoscere la divinità di Dio tramite le nostre lodi, poiché il Signore è in se stesso e per se stesso degno di lode. Ci basti, poiché Gesù, il Signore, è Dio a prescindere da noi, dalle nostre partecipazioni e dal nostro consenso.

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/