Anche quest’oggi, come accaduto la volta precedente, ci troviamo dinanzi all’immediato prosieguo del Vangelo scorso (Mt 25, 14-30).
Per farla breve, in queste ultime tre domeniche stiamo leggendo, in sequenza, il capitolo 25 secondo Matteo, il quale è stato ripartito dalla Liturgia in tre vicende: domenica 08 novembre 2020 “Parabola delle dieci vergini” (Mt 25, 1-13) – cf. Presero anche l’OLIO; domenica 15 novembre 2020 “Parabola dei talenti” (Mt 25, 14-30) – cf. TALENTI); oggi “Il giudizio finale” (Mt 25, 31-46).
Commentare accuratamente il passo evangelico odierno richiede enorme impegno (come, tuttavia, ogni iota della Scrittura), e da un tale approccio, da una tale acribia, scaturirebbe, certamente, un prolisso ed articolato saggio.
Non avendo l’intenzione di proporre ciò, poiché ci accontenteremo di offrire il consueto scarno trattatello, ci limiteremo a sottolineare solo alcuni aspetti, che rappresentano la punta dell’ “iceberg esegetico” che sottende e fermenta all’interno, ovvero al di là, delle righe del racconto tratto dal Vangelo di oggi.
1 – La narrazione evangelica può essere un forte rimando al Golgota.
Notiamo alcuni termini che supportano tale intuizione:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria» (Mt 25, 31);
«e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra» (Mt 25, 33).
-Il nome «trono».
Il greco usato è thrónos.
Tale sostantivo è certamente un poderoso richiamo alla Croce del Calvario, tanto patibolo quanto, esegeticamente, seggio di trionfo (soprattutto dalla descrizione del Vangelo secondo Giovanni, nel quale il Crocifisso è pienamente il Glorioso).
Nondimeno la parola stessa thrónos contiene in sé un importante senso. Essa, che vale precisamente «seggio elevato/sedile nobile» viene da una radice (la stessa del termine thrãnos) che esprime esattamente il significato del «sopportare/caricare/caricarsi» (thrãnos, che tra i suoi significati intende propriamente «trave», evoca semanticamente il cosiddetto patibulum, ovvero la trave orizzontale che i cruciari [condannati alla crocifissione] erano costretti a caricarsi sulle spalle fino al luogo del supplizio. Cf. ECCO).
-Il verbo «porrà».
Il greco usato è ístemi («stare dritto/innalzare»), la cui radice è la medesima di staurós ovvero «croce» (da notare come ístemi sia rimando immediato alla Pasqua di Gesù anche per il fatto che esso è uno devi verbi [assieme ad egeíro] adoperati per la Risurrezione del Signore, in quanto si traduce anche con «risorgere» – cf. FISSARONO).
-Gli aggettivi «destra/sinistra».
Il greco usato è dexiós («destra») e euónumos («sinistra»): approfondiremo di più nel prosieguo del nostro commento.
Per ora notiamo celermente come nei Vangeli «destra/sinistra» non sia mai al singolare, bensì sempre al plurale. La traduzione letterale del versetto di Mt 25, 33, ad esempio, sarebbe da rendere nel seguente modo:
«e porrà le pecore alle sue destre e le capre alle sinistre» (come ad esempio anche: «Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno alle destre e uno alle sinistre» – Mt 27, 38).
Come mai?
Chiaramente v’è un aspetto di costruzione grammaticale; tuttavia da tale uso plurale si potrebbero ricavare anche significati teologici. Difatti, non potrebbe essere interpretabile come una allusione alla Trinità?
Ci basti, su tale punto, questo insufficiente, ma, presumiamo, stimolante impulso.
-Il rimando al Golgota, tuttavia, lo possiamo ritrovare, oltre ai due versetti sopra citati, anche in un’altra riga:
«Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre» (Mt 25, 32).
Il verbo evidenziato, ovvero «separerà», in greco è aforízo, che letteralmente intende «distinguere con un limite», ma ancor più precisamente allude all’ «arare» (infatti il nome óros, da cui viene af-orízo, che si traduce con «confine/termine che individua una proprietà», ha la stessa radice del latino urvo, ovvero «tracciare con un solco», e di urvum, ovvero «manico dell’aratro», nonché di urbs ovvero «città» [i limiti di una città, infatti, erano tracciati con un aratro che segnava un solco, proprio così come fece Romolo]).
Ebbene, sappiamo dai Vangeli secondo Matteo (Mt 27, 46) e Marco (Mc 15, 34), che Gesù, col suo «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», fa richiamo chiaramente e direttamente all’intero Salmo 22 (citare la prima riga di un salmo, infatti, equivaleva a citarlo tutto per intero).
Se andiamo a rileggere con attenzione questo salmo, notiamo come al versetto 17 ci sia scritto: «[…] hanno scavato le mie mani e i miei piedi».
Il verbo che viene adoperato nella traduzione greca di tale salmo è orússo, il quale significa propriamente «scavare» (da orússo viene il nostro «ruga»), ma ha esattamente la stessa radice dei summenzionati óros/af-orízo (non è forse vero che una ruga è una “aratura sul corpo”?).
Ecco, allora, come l’odierno «separerà [“arerà”]» (aforízo – Mt 25, 32) solleciti un profondo richiamo proprio al Crocifisso orante sul Golgota, a cui «hanno scavato [“hanno arato”]» mani e piedi (orússo – Sal 22, 17).
2 – Detto fugacemente ed insufficientemente tutto ciò, torniamo alle nostre “destre/sinistre”.
Poco sopra abbiamo notato il fatto che tali aggettivi sono espressi al plurale.
Orbene, continuiamo a notare, ora, altri dettagli.
L’aggettivo «destro» in greco è, come già detto, dexiós.
Esso, in realtà, non ci crea particolari problemi, in quanto significa «la parte destra», ma anche, come pure intende il nostro gergo, «la parte favorevole/capace/abile».
Da porre in particolare evidenza, invece, è proprio l’aggettivo dirimpettaio, ovvero «sinistra».
Secondo il nostro vedere, il termine «sinistra/sinistro» veicola manifestamente un’accezione negativa, nefasta (cf. anche «mancino», dal latino mancus, ovvero «difettoso/imperfetto/storpio»).
Il greco usato nel Vangelo, invece, e precisiamo nel Vangelo di oggi (vedremo come mai questa precisazione), è, come già visto, l’aggettivo euónumos.
Tecnicamente tale termine non solo non intende «sinistra/sinistro», ma non esprime per nulla un senso negativo.
Infatti, euónumos significa propriamente «di buon nome (eu-ónoma)», ovvero «onorato/illustre».
Per giunta euónumos arriva ad intendere addirittura «di buon augurio/fausto».
A seguito di ciò rileviamo come in greco (così come nei Vangeli) l’aggettivo «sinistra» sia espresso anche con un’altra parola, ovvero aristerós (es. in Mc 10 37.40 viene usato sia aristerós [«Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”»] sia euónumos [«Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato»]. In Lc 23, 33 viene usato aristerós [Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra]).
Ma anche aristerós, pur se intende esplicitamente «la parte sinistra» ed anche «sinistro/di cattivo augurio», nel suo suono sembrerebbe recare un senso altamente positivo.
Difatti, nella parola aristerós si può ascoltare curiosamente l’eco del prefisso arí (che indica «forza/superiorità» – cf. «aristocratico»), nonché dell’aggettivo steĩra, ovvero «duro/solido» (anche se poi steíra assume pure l’accezione negativa di «sterile». Infatti, non è forse vero che una terra «dura» è «sterile»?).
Stimolante, quindi, la destinazione a cui questo “gioco ermeneutico” può condurci: destinazione in cui “positivo” e “negativo” possono arrivare a con-fondersi, ovvero ad essere separati solamente da un sottilissimo solco, ad evidenziare come basti appena poco per rendere la “durezza” una “sterilità”; ma come possa bastare appena poco affinché «sinistro» sia un «buon presagio».
Tutto questo, quindi, risulta assai interessante.
Proviamo ad offrire alcune deduzioni.
La logica consuetudinaria (la quale segue alla lettera la parola di Gesù), dinanzi al Vangelo odierno, pone chiaramente la «destra» come buona e la «sinistra» come cattiva (nel nostro scritto non v’è alcuna allusione politica sia ben chiaro). Ovvero, nelle righe evangeliche di oggi, sembra che il Figlio di Dio intervenga come rigido e duro giudice, a sanzionare da un lato e a premiare dall’altro (assolutamente corretto “alla lettera”, ma, come sappiamo, “la lettera” non è sufficiente).
Tuttavia, se ponessimo maggior attenzione, o maggior riflessione, alla pronunzia di Gesù, abbiamo già fatto notare come il suo «separerà (“pecore-destra” dalle “capre-sinistra”)» non stia solamente a rappresentare il frutto di una sentenza, di un verdetto, così come noi lo intendiamo (ovvero premiare chi ha meritato e punire chi ha mancato: anche questo, ma non solo questo), ovvero non debba esser letto solo alla lettera, poiché il «separerà (af-orízo)» richiama il sacrificio, l’accettazione della prova, l’accoglienza del peso, della fatica, del dolore: della croce.
E tale atto di “separazione” è inserito tra “destra” e “sinistra”, quindi guarda, o ri-guarda, tanto la “destra” quanto la “sinistra”, ovvero: la Salvezza non ha limiti distintivi; non è privilegio di alcuni («Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli» – Mt 25, 32), o meglio, non dipende dall’arbitrio e dal discernimento di un giudice (fosse anche giudice supremo). La Salvezza dipende dall’accogliere, dall’accettare la croce, il Crocifisso, che si pone in mezzo tanto da rivolgersi a “destra” quanto a “sinistra”; dal vivere la croce con letizia, così come il Figlio di Dio, il Crocifisso, ha fatto (notiamo come nelle due domeniche precedenti, ovvero le parabole delle dieci vergini e dei talenti, abbiamo esattamente individuato questo medesimo messaggio).
Ed ancora: la “differenza” non è sinonimo di migliore (un versante) e peggiore (l’altro versante), poiché il buono, il positivo, il “favorevole” e il “fausto” (che è tanto in dexiós [«destra»] quanto in euónumos/ aristerós [«sinistra]) è dappertutto, in ogni cosa e, nello specifico, in ogni persona. Ed ogni particolarità è via alla Salvezza, poiché ciascuno di noi è chiamato alla Salvezza, a seconda delle proprie e personali capacità, ovvero ciascuno secondo le proprie differenza; poiché il Signore non ha creato alcuni esseri destinati alla Salvezza, ed altri esseri impossibilitati alla Salvezza, in quanto Egli si è fatto crocifiggere “in mezzo”, ma non per separare, bensì per accumunare “destra” e “sinistra” in un’unica Salvezza; Egli ha “separato” destra e sinistra proprio per rendere quell’aratura nel mezzo non solco di divisione, ma luogo in cui piantarsi. -Sottolineiamo, teologicamente, come Dio non abbia “predestinato” alcuno di noi, poiché Egli non viola mai la nostra libertà (il nostro destino, tanto terreno come eterno, è nelle nostre libere scelte). Tuttavia evidenziamo come effettivamente vi sia una “predestinazione”, poiché il Signore ha predestinato tutti noi alla Vita Eterna (ha apparecchiato per tutti noi un seggio al banchetto della Salvezza)
La questione è: adoperiamo le nostre peculiarità per scegliere la Salvezza, oppure la rovina? Adoperiamo la nostra “forza” per diventare “duri” (tenaci nel cercare la Salvezza) oppure “sterili”?
Invero, le “pecore di destra” otterranno la «vita eterna» (Mt 25, 46) perché hanno scelto loro, con la propria libertà, di salvarsi («ho avuto fame e [VOI, LIBERAMENTE] mi avete dato da mangiare» – Mt 25, 35).
Ma questa facoltà/libertà di scegliere la salvezza non è assolutamente mai stata preclusa alle “capre di sinistra”, le quali subiranno il «supplizio eterno» (Mt 25, 46) in virtù di una loro libera scelta («ho avuto fame e [VOI, LIBERAMENTE] non mi avete dato da mangiare» – Mt 25, 42).
Il Figlio di Dio, invero, se proprio volessimo usare un gergo giuridico, non è un giudice ma un “certificatore” della libertà dell’uomo, della libera scelta dell’uomo. E ciò è esattamente in virtù del suo viscerale amore per l’uomo: viscerale amore che si concreta nel lasciare l’uomo libero di scegliere; viscerale amore che si concreta nel rispettare fino in fondo la libera scelta dell’uomo, foss’anche quella che lo destina a scegliere, da sé e per sé, la dannazione eterna.
Rifletta il lettore.
Nel Vangelo non risulta che il cosiddetto “buon ladrone” sia a destra o a sinistra, poiché Gesù era Yeshúa («Il Signore è Salvezza») tanto per il ladrone di destra quanto per quello di sinistra:
«Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. […] Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava […] L’altro invece […] disse: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”» (cf. Lc 23, 33-43). -Anche in Matteo (Mt 27, 38) e in Marco (Mc 15, 27), poi, si indica solo narrativamente, e senza alcuna accezione positiva/negativa, il fatto della “destra/sinistra” dei ladroni. Anzi, in Matteo si dice addirittura: «Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo» (Mt 27, 44). Notiamo, invece, come in Giovanni, non si parli per nulla di “destra/sinistra”, ma si dica: «[…] lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo». Non conta, ergo, essere a “destra” o a “sinistra” per salvarsi: ciò che conta e riconoscere che in mezzo a ciascuno, e per ciascuno, c’è Yeshúa
Rifletta il lettore anche su quest’altro passo:
«Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: […] “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. […] E Gesù disse loro: “[…] sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”» (cf. Mc 10, 35-40).
Ecco come “destra” e “sinistra” non valgano rispettivamente “bene” e “male”, ma siano entrambi “troni di gloria”: a noi la libertà di accoglierli in questa pienezza (il “trono” è pieno quando non è solo “seggio”, ma è anche “peso/trave”, come detto sopra), o scegliere la ricerca non della “letizia” (che non “separa” fatica/peso dalla gloria – cf. l’ebraico Khavód in POVERI in spirito), ma del supplizio della vacua “felicità” (“sedile di mera frivolezza” – cf. Presero anche l’OLIO).
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.