Se due settimane or sono abbiamo osservato, tramite il Vangelo allora proposto (Lc 1, 26-38), l’Annunciazione alla Vergine da parte di Gabriele, quest’oggi siamo al cospetto dell’ “Annunciazione” da parte dell’angelo a Giuseppe.
Al di là del parallelismo spirituale, infatti, la sinossi tra il brano di Luca e quello odierno di Matteo è esplicita.
Per rendere un misero esempio, limitandoci alle sole parole pronunziate dal messaggero celeste nella pericope matteana (se analizzassimo in tal senso l’intero brano proposto, scoveremmo certamente altri parallelismi, come ad esempio ancora l’avverbio “ecco” [vv. 20 e 23]), troviamo precisamente lo stesso identico messaggio (potremmo dire le stesse identiche parole) trasmesso all’Immacolata Concezione: “Giuseppe, figlio di Davide (cfr. Lc 1, 27), non temere (cfr. Lc 1, 30) di prendere con te Maria, tua sposa (cfr, Lc 1, 27). Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo (cfr. Lc 1, 35); ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù (cfr. Lc 1, 31): egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1, 20-21).
Preso atto dell’eguaglianza palese, formale e sostanziale, sulla quale abbiamo appena posato gli occhi, l’esperienza particolare che ha travolto Giuseppe è degna di essere approfondita, tanto quanto quella che ha investito Maria.
Tra le due Annunciazioni, comunque, è bene non parlare di “differenze” in senso stretto, poiché in entrambi i genitori di Gesù c’è stata una chiamata a partecipare alla stessa esperienza divina (l’Incarnazione); è però vero che la Vergine doveva essere coinvolta da particolari aspetti del Progetto, mentre al suo sposo concerneva una vocazione adeguata al proprio ruolo.
Ebbene, come abbiamo già tentato di avvicinarci all’animo della Giovanetta, visitata da “La Potenza di Dio” (Gabriele), azzardiamo ad approssimarci, in questa occasione, anche a quello di Giuseppe, destato in sogno, nel sonno, dall’angelo del Signore.
Possa lo Spirito Santo soffiare la sua Fortezza sullo scrivente e sul lettore.
La parola che ci farà da guida, durante il nostro commento, sarà: CONSIDERANDO (v. 20).
Primo passaggio
Il verbo greco che esprime questo gerundio è “enthumethèntos”.
In esso è presente la preposizione “en” che vale “dentro” e il sostantivo “thumòs” che significa “animo”. Ecco, allora, che “enthumethèntos” intende letteralmente “avere_in_animo”.
Cosa aveva, dunque, Giuseppe nell’animo?
Come oramai ci è solito, andiamo a scovare la pienezza di senso, cercando di carpire la radice del vocabolo proposto.
Secondo passaggio
La radice di “thumòs” è “dhu”, da cui sorge anche il verbo “thùo”.
Quest’ultimo significa “agitarsi/sbuffare/smaniare” (che tra l’altro sono caratteristiche che appartengono anche al sonno e al sognare).
Ma ancor più forte è un altro significato che “thùo” veicola, ovvero “infuriare” (si confronti anche il sostantivo “thùella”, sempre dalla stessa radice, il quale significa “tempesta/bufera”).
Certamente, come ci è stato sempre insegnato, ed è corretto, Giuseppe “uomo giusto” (v. 19) è stato il più docile e straordinario sposo possibile per Maria; ma se più e più volte poniamo l’enfasi sul fatto che lo stesso Gesù sia non solo Dio, ma anche uomo, quindi con le pulsioni e le sensazioni proprie di un essere umano, come escludere che Giuseppe sia stato stravolto dalla notizia della gravidanza di Maria?
Lo stesso brano evangelico odierno, allude al faticoso rimestare e rimuginare della mente di Giuseppe, al cospetto della vicenda che gli si è scaraventata dinanzi.
Tuttavia la magnificenza di Giuseppe era nota al Signore, ancor prima che inviasse il suo angelo: quell’avverbio “in_segreto” (“pensò di ripudiarla in segreto“ v. 19) era già metallo pronto per essere forgiato dalla mano di Dio.
La grandezza (“uomo giusto”) di Giuseppe, ergo, così come dovrebbe essere quella di ognuno di noi, non stava nel “non_sentire” (una passione, una pulsione), ma nel “non_acconsentire” (a quella passione, a quella pulsione).
Su questa meraviglia, che era già presente nell’animo “giusto” di Giuseppe, è intervenuto poi, in sogno, l’angelo celeste.
In merito a questo primo punto, da notare sono una curiosità e una specificazione.
Quest’ultima ci porta alla lingua latina: la radice “dhu”, da cui il verbo “thùo” appena analizzato, genera, tra altri molteplici termini, i vocaboli “fumus” e “suffio” (un soggetto “fumantino” non è forse vero che “soffia”?).
Ma particolare è la curiosità.
Quel “in_segreto” di Giuseppe in greco è “làthra” (non è forse vero che i “ladri” operano “in_segreto”?): interessante è come in latino ci sia il sostantivo “furor” (che non occorre tradurre, e che viene sempre dalla radice “dhu”, come “fumus” e “suffio”), ed anche il verbo “furor”, che significa “rubare”, ma anche “nascondere/coprire”.
Se abbiamo accettato che l’animo di Giuseppe potesse essere certamente “infuriato_ma_domato” (in fondo il “domare” non è un “nascondere/coprire”?), possiamo anche ammettere che egli era effettivamente “uomo giusto” proprio perché si stava comportando da “furioso_ladro”, il quale, già prima che intervenisse l’angelo, era in procinto di far sfociare la sua “agitata_reazione” in un “rubare” la vergogna a Maria, ovvero in un “nascondere/coprire” la Giovanetta dalla punizione che la legge le avrebbe “giustamente” inflitto.
Terzo passaggio
Dalla radice “dhu” viene anche il sostantivo “thùos”.
Esso ha due accezioni: la prima intende “aroma/profumo”; la seconda “offerta/sacrificio”.
Pensiamo bene al collegamento che sussiste col precedente passaggio: l’ “aroma” ovvero il “profumo” non sono in buona sostanza un vapore, una esalazione, uno sbuffo (“suffio”)? E le “offerte” ovvero i “sacrifici” non erano forse un bruciare animali sopra gli altari, dai quali saliva una colonna di fumo (“fumus”)?
Ecco, allora, un’altra caratteristica dell’animo di Giuseppe.
Prima che l’angelo intervenisse in sogno, egli aveva già deciso di offrire un sacrificio: perdere per sempre Maria per salvarla, allontanandola da lui e da una situazione “in apparenza” ignominiosa (scriviamo “in apparenza” perché il “fumus” di un qualcosa di particolare emanava da quella strana gravidanza, altrimenti un “uomo giusto” non avrebbe di certo esitato a far valere la legge).
Tuttavia, dopo il risveglio, Giuseppe si è fatto egli stesso sacrificio e offerta a Dio, accettando e accogliendo subito la chiamata ad una “sconvolgente paternità di servizio”.
E se Giuseppe “profumava di giustizia” anche prima del sogno (“ripudiarla -in segreto-“ altro non significava se non l’aver preso atto che sussisteva qualche cosa di incomprensibile, e che certamente non era da punire), dopo il risveglio quell’ “uomo giusto si è fatto egli stesso incenso”, che pur bruciato ed annullato nel turibolo della Volontà Celeste, è divenuto effusione di Dio e aroma della sua Presenza.
Se al lettore sembrasse tutto ciò troppo spirituale, ovvero “poetico”, sappia che il sostantivo “thùos” significa anche “incenso”.
Quarto passaggio
Accanto al nome “thumòs”, che abbiamo detto significare “animo” (cfr, Primo passaggio), sussiste un altro sostantivo molto simile, ovvero “thùmon”.
Questo secondo vocabolo significa “timo”, ed è quindi facilmente collegabile al concetto di “aroma/profumo” appena riferito nel Terzo passaggio.
Tuttavia, con il termine “thùmon” si indica anche “miscela a base di aceto”: tale cosa non fa spuntare nella memoria del lettore un chiaro collegamento con quell’altro concetto, ovvero “offerta/sacrificio”?
Come Maria, anche Giuseppe avrà certamente compartecipato, nel suo animo, al sacrificio di quel Figlio che gli veniva annunciato; anche egli avrà compartecipato all’offerta che quel Bambino, generato in Maria per opera dello Spirito Santo, avrebbe reso sulla Croce.
Come al Cristo inchiodato fu dato da bere aceto (cfr. Mt 27, 48), così anche suo padre, nel suo animo, avrà aderito a quell’amarezza, avrà assaporato quell’acidità verso cui avrebbe camminato Colui a al quale avrebbe messo nome Gesù.
(Interessante una piccolissima nota a margine, che ci richiama un altro parallelismo tra Giuseppe e Gesù: nel commento che abbiamo fatto in occasione della I domenica di Avvento, avevamo definito Cristo come il “Ladro”. Da come abbiamo evidenziato sopra [cfr. Secondo passaggio], anche Giuseppe è stato “ladro”. E come al “Ladro crocifisso” è stato dato aceto, così anche il “ladro giusto” avrà partecipato, nel suo animo, di quell’asprezza)
Quinto passaggio
Rimanendo ancora sul nome “thumòs”, esso non solo significa “animo”, come più volte oramai ripetuto, ma significa anche “spirito” (da notare come lo “Spirito_di_Dio” in ebraico sia la “Ruah”, parola onomatopeica che indica il “soffiare del vento”: stiamo girando sempre attorno allo stesso concetto).
Possiamo allora ipotizzare (ovvero ne siamo assolutamente certi) che come in Maria, anche in Giuseppe sia sceso lo Spirito Santo; che come Maria, anche Giuseppe sia stato coperto dal Paraclito (cfr. Lc 1, 35).
Ma se l’ “Ecco” della Vergine è stato acconsentire ad un “servizio di nascita”, ovvero di vita, il “Si_silenzioso” di Giuseppe è stato accettare un “servizio di morte” (“silenzioso” perché Giuseppe annuisce con le opere, non con la pronunzia di parole; “silenzioso” perché già nel sonno, ancor prima di svegliarsi, Giuseppe ha accettato la chiamata, tanto è vero che non appena si desta, esegue subito quanto “gli aveva ordinato l’angelo del Signore”).
Vediamo di capirci un po’ di più, in merito a questo “servizio di morte”.
In primo luogo si può fare una osservazione alquanto ordinaria, ma pur sempre logica.
Nei Vangeli nulla è scritto in merito, ma la Tradizione accoglie la morte di Giuseppe ancor prima dell’inizio della vita pubblica di Gesù. Giuseppe, infatti, dopo i racconti dell’Infanzia, non compare mai più in altri episodi della vita del Figlio, se non come citazione (cfr. Mt 13, 55; Lc 4, 22; Gv 1, 45. 6, 42), al contrario di Maria: è come se le narrazioni evangeliche abbiano riportato la morte di Giuseppe in modo “implicito” (uomo “silenzioso” nella vita e nella morte), ovvero non menzionandolo mai più “agente” in alcuna vicenda, fuorché quelle della Nascita.
Per proseguire, però, e per approfondire la “differenza” (meglio sarebbe dire “specificità”) dei due servizi (di vita [Maria]; di morte [Giuseppe]), dobbiamo soffermarci su alcune particolari sottigliezze nascoste.
Il termine “ripudiarla” (v. 19), che troviamo nel passo evangelico odierno, in greco è “apolùsai”. Letteralmente significa “sciogliere”, ma questo verbo viene usato anche per indicare “far_venire_alla_luce/nascere”.
Ebbene, mentre Giuseppe considerava “queste cose”, ovvero il “ripudio” in merito a Maria (che possiamo dunque intendere “nascita”: già prima del sogno, quindi, come già detto, Giuseppe aveva manifestato una prima volontà di accoglienza del “servizio di vita di Maria”), si addormenta.
Nel Vangelo non è scritto che Giuseppe si addormenti, ma lo si deduce, e questo momento dovrebbe oggettivamente incastonarsi tra il “mentre stava considerando” e il “gli apparve in sogno un angelo del Signore”. Ma se è vero che logicamente l’atto di “addormentarsi” debba essere prodromico al “sognare”, è altrettanto vero che tra l’addormentarsi e il “vagolare delle nostre cogitazioni” non c’è separazione netta: spesso infatti, per non dire sempre, il riflettere (considerare) si fonde in un tutt’uno con l’addormentarsi (ci si addormenta riflettendo; si riflette dormendo). Ecco, allora che quel “mentre stava considerando” può valere tanto “animo_che_riflette”, quanto “spirito_che_si addormenta”, ovvero “Spirito_che_addormenta”.
(Interessante sarebbe analizzare il parallelo, che lasciamo alla meditazione del lettore, tra Giuseppe di Nazaret e Giuseppe figlio di Giacobbe, anche quest’ultimo legato ai sogni [cfr. Gn 37-50])
Chiarito come anche su Giuseppe sia sceso lo Spirito Santo, ecco, però, che il Paraclito lo ha coperto facendolo addormentare: ma “addormentarsi”, nelle Scritture, è lo stesso che dire “morire”.
Possiamo, dunque, affermare che la discesa dello Spirito Santo, se su Maria era stata foriera di vita, su Giuseppe era stata cagione di morte (“considerare” la vicenda che aveva coinvolto Maria, era stata per Giuseppe una morte in tutti i sensi: “riflettere” su quella gravidanza scandalosa, infatti, rappresentava già un “morire”, ma “addormentarsi”, avendo nell’animo quella gravidanza scandalosa, abbiamo appena detto è sinonimo di morire).
(Interessante notare come sia Maria che Giuseppe abbiano accolto l’annuncio dell’angelo con un duplice “Si”. Maria ha proclamato il primo “Si” nel momento in cui ha detto: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” [Lc 1, 34], mentre il suo secondo “Si” è stato quando ha detto “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” [Lc 1, 38]. Giuseppe ha proclamato il suo primo “Si” quando “pensò di ripudiarla [cfr. -nascere- come detto sopra] in segreto” [v. 19], mentre il suo secondo “Si” è stato “silenzioso” nel sonno, quindi “operoso” non appena desto [v. 24])
Se al lettore serve, giustamente, un ragionamento più concreto che assimili “morte” a “addormentarsi”, lo scrivente non si tra indietro. Ebbene:
1-il luogo dove si seppelliscono i morti si chiama “cimitero”. Esso deriva dal sostantivo greco “kòimesis”, ovvero dal verbo “koimào” che significa propriamente “addormentare/assopire”
2- al di là delle fandonie (ognuno, comunque, è libero di pensarla come vuole!) Gesù in Croce è morto (non è stato né sostituito, né tantomeno è stato messo dormiente nel sepolcro)
3-se andiamo alla Risurrezione e, precisamente, al versetto 6 del capitolo 28 secondo Matteo, l’angelo (guarda caso eccolo ancora) dice: “Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto”. Quel “deposto”, riferito a Gesù morto, in greco è “èkeito”, ovvero dalla stessa radice di “koimào”.
Ma cosa accade a chi muore (si addormenta) con lo Spirito?
Rimaniamo a Gesù.
1-in Croce il Cristo “emise lo spirito” (Mt 27, 50).
2-ma dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Egli Risuscitò. Riprendendo le parole dette appena sopra dall’angelo in Mt 28, 6 (“Non è qui. È risorto”), quel “risorto” in greco è “ègèrthe”, che vale tanto “destarsi_dal_sonno”, quanto appunto “risorgere_dai_morti”
3-ora, tornando a Giuseppe, il quale si è addormentato per opera dello Spirito, al versetto 24 della pericope odierna è scritto: “Quando si destò dal sonno”. Quel “destò” in greco è “egerthèis”, ovvero lo stesso di “ègèrthe”, quindi “risorgere” o “svegliarsi“.
Come, allora, Gesù, morto con lo Spirito, è Risorto; anche Giuseppe, “addormentato” per opera dello Spirito, si è “destato”.
Ecco allora, sintetizzando al massimo tutta la fatica fatta fin ora, cosa Giuseppe “considerava” (“enthumethèntos”) nel suo animo (“thumòs”):
1-furia e nascondimento (“thùo” e “furor”)
2-profumo e sacrificio (“thùos” e “thùmon”)
3-morte e risurrezione (“thumòs”)
Immenso è stato l’ “Ecco” di Maria; ma è doveroso “considerare” altrettanto smisurato l’assenso silenzioso, ubbidiente ed operoso di Giuseppe.
Lo sposo della Vergine compare di sfuggita nei Vangeli, per di più senza proferire alcuna parola, ma anch’egli ha serbato tutto nel suo cuore (cfr. Lc 2, 19.51); anch’egli è stato trafitto da spade (cfr. Lc 2, 35); anch’egli ha partecipato dell’intera vicenda del Figlio; ed anch’egli, col suo “Si_silenzioso”, ha vissuto e permesso, assieme alla sua sposa, la Risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo.
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.