Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 2 Maggio 2021

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Come può il sangue rendere candidi (cf. Ap 7, 14)?
Proprio dell’acqua, infatti, è il pulire.
Come può il vino rendere puri?
Proprio dell’acqua, infatti, è il depurare.

Il Vangelo di oggi ci invita, tra le molteplici accezioni esegetiche che se ne possono trarre, a riflettere anche sull’argomento proposto dalle domande di cui sopra.

Già sappiamo, dalla scorsa settimana (cf. BUON), come per la concezione ebraica sangue e vino siano equiparabili, in quanto il vino era propriamente considerato il sangue della vite.
Ed oggi ci troviamo dinanzi esattamente a Gesù «vite vera» (Gv 15, 1).

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Dalla lettura, o dall’ascolto dell’estratto evangelico odierno, non riusciamo a notare una sottigliezza che solo l’analisi del greco originario ci consente di osservare: il verbo «potare» («[…] ogni tralcio che porta frutto, lo pota (kathaírei) perché porti più frutto» – Gv 15, 3) e l’aggettivo «puro» («Voi siete già puri (katharoí), a causa della parola che vi ho annunciato» – Gv 15, 3) sono la stessa cosa, ovvero la stessa parola.

L’aggettivo «puro», infatti, è espresso col termine greco katharós, il quale termine deriva direttamente dal verbo greco kathaíro, che nel Vangelo odierno viene tradotto con «potare», ma che intende esattamente «purificare».
Da ciò, provando a fare un “gioco esegetico”, possiamo infatti notare come il senso dei due versetti citati rimanga lo stesso:
«[…] ogni tralcio che porta frutto, lo purifica perché porti più frutto. […] Voi siete già potati, a causa della parola che vi ho annunciato».

Invero “purezza” e “potatura”, effettivamente, non sono concetti così distanti, a ben pensarci.
Non è forse vero, infatti, che l’atto del potare (e chi vive in campagna può ben affermarlo) è in buona sostanza un processo di purificazione della pianta, affinché quest’ultima, a cui vengono tagliate le fronde sterili o tarlate, si rafforzi e si consolidi nei suoi rami sani e fecondi, al fine di crescere, fiorire e fruttificare?

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La scorsa settimana, nel nostro commento, abbiamo fatto riferimento all’episodio di Cana di Galilea.
Ebbene, anche quest’oggi vorremmo tornarci:
«Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione (katharismòn) rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri» (Gv 2, 6).

L’episodio che avvenne a Cana è noto a tutti: Gesù dice di riempire d’acqua queste anfore, ma poi questa stessa acqua diventa vino.
Ecco, allora, come non più l’acqua, ma il vino sia a riempire quella particolari anfore destinate a contenere l’acqua per la purificazione; ed ecco, allora, come la purificazione piena e compiuta avvenga non più con l’acqua, ma col vino (ovvero col sangue), scaturito dall’intervento di Gesù, dall’invito di Gesù ad intervenire.

Ma Cana, a sua volta, ci rimanda fortemente ad un altro momento del Vangelo secondo Giovanni:
«ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19, 34).

Notiamo, innanzitutto come a Cana le anfore fossero 6, ma è da sapere come il numero 6, per la concezione ebraica, indicasse l’imperfezione (cf. Ap 13, 18; «Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei»), ovvero l’uomo, creato proprio il sesto giorno (cf. Gn 1, 26-31).
Ecco che Gesù, sul Golgota, inchiodato sulla croce, diviene la “settima anfora” (il 7 era il numero della pienezza – cf. Gn 2, 2-3), l’anfora che dà compimento, da cui sgorga non solo l’acqua, ma anche e primariamente il sangue (ovvero il vino) definitivi; ecco come il Golgota diventi proprio il compimento di quello che iniziò a Cana.
Da ciò ecco, quindi, come l’acqua e, prima di essa, il sangue scaturiti dal costato di Gesù, possano assumere a livello teologico, pure il significato, e la funzione, di purificazione: «[…] hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (Ap 7, 14). -Oggi ci capita molto spesso di fare riferimento ad Apocalisse, ma è pur vero che la Tradizione riconosce come l’autore del quarto Vangelo e dell’Apocalisse siano proprio la stessa persona (o stessa scuola)

Come diciamo ripetutamente, nelle Sacre Scritture storia e kérygma (teologia) sono sempre da considerare assieme.
E detto ciò, tutte le accezioni teologiche, ad esempio sul sangue e acqua scaturiti dal costato di Cristo sono acquisibili (rappresentano l’Eucaristia e il Battesimo ecc.), ma è bene ricordare come veramente, concretamente, storicamente, nell’episodio specifico, il corpo di Gesù fu forato da una lancia, e ciò è supportato (e a noi è gradito dire senza timore “testimoniato” e “documentato”) dalla Sindone, sulla quale è manifesto come il corpo di quel Crocifisso fosse esattamente perforato tra il quinto e il sesto spazio intercostale destro, da cui ne uscirono propriamente sangue (parte solida-corpuscolata del sangue) e acqua (siero-parte liquida del sangue).

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Ma riguardo al tema odierno, ovvero al Vangelo odierno, è possibile richiamare la Sindone anche per altri due aspetti.
Primo.
Nel Vangelo secondo Matteo (cf. Mt 27, 59: «Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito [sindóni katharã]») troviamo un aggettivo specifico proprio riferito alla sindone che involse la salma di Gesù: essa era esattamente katharã che sappiamo intendere non tanto «pulita (tersa)» quanto propriamente «(ritualmente) pura». -Ovvero fatta solo di lino, quindi “purificata/potata” dal miscuglio con la lana (sha’atnetz)
Ma su di essa rimase, ed è ancora rimasto, il sangue di Gesù, ovvero il frutto della sua “potatura”, poiché il Signore, sulla croce, da vite che è, si è fatto tralcio, offrendo al Padre il calice contenente il vino della sua Passione per ciascuno di noi, facendosi “potare” per fare puri tutti noi, per far si che la nostra vita «porti più frutto» (il vino del banchetto di nozze della vita eterna), rendendola potata dalla morte. -È inoltre curioso come la Sindone possa non solo esegeticamente ma anche tecnicamente definirsi “potata”, in quanto dalle analisi scientifiche su di questa effettuate, risulta come essa fu propriamente tagliata da un rotolo – cf. LA SINDONE-VIDEOLEZIONE 2)

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Secondo.
Dalla Sacro Telo risulta chiaro come l’Uomo della Sindone fosse stato caricato del cosiddetto patibulum, ovvero la trave orizzontale della croce.
Ebbene, dobbiamo sapere come il patibulum, per i Romani, prima di indicare questa specifica trave, con questa specifica funzione, indicava espressamente quel palo che doveva sorreggere la vite (cf. SI PENTÌ).
Ma non è forse vero che proprio nel Vangelo di oggi Gesù si definisce: «Io sono la vite vera»? Quindi il suo sangue è vera bevanda (cf. Gv 6, 55), il suo sangue è vino, il Vino?

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Ecco come anche la Sindone, che è un vero e proprio lenzuolo di lino (storia) è da analizzare anche esegeticamente, in quanto è valida ed attendibile pure alla luce dei significati teologici che ritroviamo proprio in bocca a Gesù, ribadendo ancora una volta come la nostra fede esprima certamente valori kerigmatici, ma sia pure concreta, tangibile, certamente storia: sia sangue e vino insieme.

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/