Dopo il «sale» e la «luce» di domenica scorsa (Mt 5, 13-16), la Liturgia ci invita a proseguire immediatamente coi versetti seguenti.
L’estratto evangelico proposto quest’oggi è assai lungo, e apparentemente facile da commentare, data la risonanza che il catechismo pone a tali righe.
Più e più volte abbiamo richiamato al lettore il duplice rischio che si può correre, quando ci si trova al cospetto di un brano noto del Vangelo: esagerare nel cercare una interpretazione eclatante (abbiamo imparato a conoscere il termine «eisegesi»), oppure l’approccio più comune e più desolante (almeno chi sfora nelle «eisegesi», certamente si è seduto dinanzi al Testo Sacro), ossia ripetere a pappagallo la solita melina omiletica, la solita lagna insipida (sarà anche per questo che le chiese sono vuote?).
Ebbene, anche in merito a questo secondo aspetto, la lettura odierna può offrirci qualche spunto.
Che lo Spirito Santo ci conduca ad una attenta, e sempre rispettosa, «scrutatio» della Parola di Dio.
Certamente il lettore, di fronte al Vangelo di oggi, sente chiaramente come il discorso di Gesù non sia elaborato in una complessa ed articolata sintassi, ma sia seccamente esposto in una serie di moniti e di indicazioni.
Molti esegeti ritengono che la composizione di tale brano, come avviene anche in altri passi, sia un’opera di elencazione sequenziale, che raccoglie cumulativamente alcuni detti che Gesù continuamente, e in più occasioni, andava ripetendo durante le sue predicazioni: lo stesso Vangelo secondo Matteo è redatto su uno schema che si articola in cinque «macro-discorsi» (sequenze raggruppate di pronunzie di Gesù), racchiusi tra il racconto dell’Infanzia e quello della Passione.
Di ciò dato atto, sarebbe opera corretta prendere ogni singolo periodo ed analizzarlo, poiché ciascuna frase contiene i propri tesori lessicali e semantici.
Tuttavia il Signore Gesù, pur se organizzato secondo una partizione di tipo elencativo, non è mai disorganico e sconnesso: la pienezza che connota il suo messaggio è sempre coordinata ed armonica.
Cerchiamo, allora, di dare anche noi organicità al nostro commento, cercando di acquisire, dalla pericope in questione, alcuni momenti emblematici.
A farci da guida sarà il sostantivo «MALIGNO» (v. 37).
Primo punto
Prima di arrivare alla parola scelta, è interessante procedere da un verbo, che si trova al versetto 19: «Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli».
Certamente la traduzione «trasgredirà» è perfetta e corretta, ma il verbo greco adoperato è «lúse» che vale precisamente «sciogliere».
È affermazione corrente, nella nostra attualità, parlare di «società liquida», ovvero sperimentare come il nostro contesto sociale sia privo di qualsivoglia riferimento «solido», e, ancor peggio, non desideri cercare alcun riferimento «solido».
Ebbene, è interessante come circa duemila anni fa, la vicenda umana non fosse poi così distante dalla nostra; ed è altrettanto interessante come anche duemila anni fa c’era il frequente rischio di scivolare in quello che, ad inizio commento, abbiamo chiamato «solita melina omiletica […] solita lagna insipida».
Anche la religione è parte della struttura sociale ed antropologica; e come l’ambito «civile» («laico», per intenderci) non sfugge alla «liquidità», tale approccio «fluido» travolge anche la partecipazione alla fede, sia dal versante dei soggetti «passivi» (per intenderci «i fedeli»), sia dal versante dei soggetti «attivi» (per intenderci «i sacerdoti»: sappiamo che tale classificazione non è impeccabile, dato il fatto che ogni «fedele» è assieme «attivo» e «passivo»; tuttavia, cerchiamo di capire il discorso).
Ecco, allora, che pure nel vivere la fede, si sperimenta un approccio «liquido», e nella nostra attualità coinvolge strettamente la Parola di Dio e la figura stessa del Signore nostro Gesù Cristo: ad esempio il termine «amore», anche tra i cattolici che si definiscono «praticanti», sostituisce (spesso? sempre?) il nome «Gesù».
Ma è forse una bestemmia pronunziare il nome «Gesù»?
In realtà sarebbe propriamente una preghiera, la massima e la più alta tra le preghiere, in quanto «Gesù» significa «il Signore Salva». Sarebbe sufficiente che al catechismo si insegnasse solo il nome di «Gesù», per compiere la buona missione: ma questo è approccio troppo «solido»; meglio le «liquide» teatralità!
Orbene, tornando al Vangelo odierno, tutta la sequenza delle pronunzie di Gesù ha propriamente questo «filo rosso», ovvero quello di attenersi al senso pieno della legge, non a viverla in maniera «diluita», come se l’omicidio sia solo quello fisico e non morale (Cf. vv. 21-22); come se gli approcci esteriori valgano sostanza, invece che forma (Cf. vv. 23-24).
Ci basti.
Secondo punto
Veniamo alla parola che abbiamo scelto quest’oggi, ovvero «MALIGNO».
Siamo nell’ultimo versetto della pericope (v. 37), il quale recita: «Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno».
Tentiamo di capirlo, focalizzando alcuni punti.
Innanzitutto tale riga, in greco, precisamente varrebbe: «Sia invece il lógos di voi “Si, si”, “No, no”; il superfluo viene dal sofferente».
1-Chi sia il «lógos», oramai non abbiamo più dubbi (Cf. PAROLA; cf. LÒGOS). Andiamo diretti, dunque, alla parola chiave.
2-La traduzione rende, come abbiamo sentito, «Maligno», ma il termine greco adoperato è «ponerós», che vale puntualmente «sofferente».
Ma non basta: dalla stessa radice («pen»), a darci maggior meraviglia, deriva il sostantivo «pónos», che significa «fatica/lavoro».
Ma non basta ancora: sempre dalla stessa radice deriva il verbo «pénomai» che significa «lavoro_per_guadagnare_da_vivere».
Ma non basta ancora: sempre dalla stessa radice deriva il sostantivo «pénes» che significa «povero/che_lavora_per_vivere».
Com’è possibile che il «Maligno» sia «il sofferente», «chi fatica e lavora per vivere», o ancor più «il povero» (termine così caro entro le mura ecclesiastiche)?
Forse la risposta potremmo riceverla dal summenzionato concetto di «liquidità» sommariamente accennato sopra: così come «l’omicidio» viene «diluito» al mero «uccidere fisicamente» (v. 21), anche il «povero» viene «liquefatto» solamente a «colui che non ha da mangiare» o che «sbarca da una nave».
Ecco dove si insinua il «Maligno»: esso non è un pupazzo, con la tuta rossa, la coda lunga e le corna. Il «Maligno» si insinua, subdolo, nelle pieghe del bene, nelle amabili emotività, nei termini più persuasivi, persino nelle tenere interpretazioni della Parola di Dio.
Dato che oggi siamo a tirare in ballo espressioni correnti, che appartengono ad una gergalità diffusa, non è forse vero che il «teologo dei teologi» è proprio il «Maligno»? Non è forse vero, infatti, che il diavolo, nel deserto, ha tentato Gesù, citando proprio la Scrittura (Cf. Mt 4 1-11)?
Infatti, parlando solo di «poveri», e purtroppo solo di «certi poveri» (anche un nababbo può essere «povero»!), non si menziona più il nome del Signore nostro Gesù Cristo: «Sia lodato il povero!», viene ripetuto sempre da certi ambienti; e Gesù Cristo?
Ma non basta: non è forse vero che la prima beatitudine che proclama Gesù è: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5, 1. Guarda caso siamo sempre nello stesso capitolo 5: sembra una conferma a ciò che stiamo dicendo oggi)? E se ci guardiamo attorno, sono più coloro che muoiono di fame, o quelli che gridano aiuto per il proprio spirito (anche implicitamente; anche inconsapevolmente; anche se nell’apparenza non lo danno a vedere; anche se neanche essi lo riconoscono)?
Poco prima dei versetti di oggi (Cf. Mt 5, 13), non è forse vero che la preoccupazione di Gesù è rivolta al «sale che potrebbe diventare insipido» (Cf. SIETE)? Non è forse vero che Gesù ci chiama ad essere «salatori di uomini» per dare sapore alla «malakía (mollezza)» (Cf. Mt 4, 19.23. Cf. MARE)? E non è forse vero che prima di guarire nel corpo, Gesù rimette i peccati (Cf. Mt 9, 2; Mc 2, 5)? E non è forse vero che, dopo aver sanato il paralitico, Gesù gli comanda di tornare a casa dicendo: «prendi il tuo letto» (Cf. Mt 9, 6; Mc 2, 11; Gv 5, 8. Che significa «prendi il tuo letto»? Ci rifletta un pochino il lettore…)? E non è forse vero che, dinanzi alla supplica del ladrone, Gesù concede il Paradiso e non la schiodatura dalla croce (Cf. Lc 23, 43)?
Ci basti.
Ma la gli equivoci non sono terminati. Aumentano.
3-Se abbiamo detto che «Maligno (ponerós)» intende «sofferente/povero», com’è possibile che da questi venga «il di più»?
Il termine greco adoperato per «di più» è «perissón», che vale precisamente «che_passa_la_misura», ovvero «superfluo».
Può forse un «povero» che «lavora_per_vivere», avere il superfluo?
La risposta è: «Si»!
Quando la materialità rappresenta l’unico motivo di vita, non è più bene primario, ma «superfluo»!
Quando la materialità diviene sfoggio ed ostentazione del proprio valore, non è più una necessità, ma «il di più»!
Quando la materialità fagocita l’ «essere» nell’ «avere», non è più un valore, ma «il Maligno»!
Quando la fede ha come priorità «il povero» e non «il Lógos», in essa è penetrato da qualche fessura il fumo di satana! E quando si chiama la Chiesa a fare la «Onlus», la voce è quella del «Maligno»!
4-Da qui possiamo ora giungere alla prima parte del versetto in questione: «Sia invece il lógos di voi “Si, si”, “No, no”».
Nostro Signore Gesù Cristo ci invita, nell’esercizio della nostra libertà, a fare una scelta, decisa, determinata, definita e definitiva: scegliamo Lui (il Lógos) o «il Maligno»? (Guarda caso, fra alcune righe nel Vangelo c’è scritto: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» [Mt 6, 24s]. Si noti che i capitoli 5 e 6 sono sempre all’interno dello stesso «Discorso della Montagna»…: alla faccia dell’assenza di organicità!)
Terzo punto
È bene, ora, chiarire subito una cosa: cos’è il «superfluo»?
Altro non è se non ciò che è «sovrabbondante».
Ma il «sovrabbondante» non è forse attributo proprio del Signore?
Facciamo, infatti, un salto al Vangelo secondo Giovanni: «Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza («perissón», uguale identico a quello odierno del versetto 37)».
(Cf. Sal 23, 5: «Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici. Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca»;
cf. Mt 14, 20: «Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene»;
cf. Mc 6, 42-43: «Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci»;
cf. Lc 9, 17: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste»;
cf. Gv 6, 12-13: «E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato»)
Ebbene, ma se il versetto in questione (v. 37) recita che il «superfluo/sovrabbondante» viene dal «Maligno», c’è dunque «sovrabbondanza» sia nel «Maligno» sia nel Signore? Il Signore e «il Maligno» sono quindi sullo stesso piano? Ovvero: perché «il Maligno» è «superfluo», mentre il Signore è «sovrabbondante»? Ci giriamo i significati come vogliamo e come ci fanno comodo?
Allora, la questione non si gioca sulla «sovrabbondanza» in sé (che non è «spreco» sia chiaro), poiché essa è chiaramente un bene, ed è da Dio; è sempre segno della benedizione di Dio: il problema è (dato che abbiamo citato il Vangelo secondo Giovanni, mutuiamo da questo la sua domanda fondamentale) «da dove» questa sovrabbondanza? Inteso: ne cerco una alternativa a quella del Signore? Ovvero: come uso la sovrabbondanza dal Signore?
Per capirci: la tecnologia, ad esempio, è un immenso bene, ma dall’uso che se ne fa, essa può divenire tanto un «buono sovrabbondante», quanto un «male sovrabbondante» (cioè «sovrabbondanza di non_bene»). Precisiamo con un altro caso: se sovrabbondiamo di salute, si dice che siamo in un uno stato di «grazia»; ma se sovrabbondiamo di sofferenze, è «altra_grazia» o «dis_grazia»? Eppure stiamo sempre in un regime di «sovrabbondanza».
È faticoso capire: è tutta una sottigliezza.
Ma la Salvezza si gioca tutta sulle sottigliezze, e il «Maligno» è il «sottile» per antonomasia.
Sia ben chiaro, Dio, il Signore, è Uno: non esiste il «dio del bene» con la sua sovrabbondanza, e il «dio del male» con la sua sovrabbondanza. Assieme al Signore, tuttavia, c’è la nostra libertà, la quale può scegliere Dio, oppure «scelgo_io» (cioè «non_Dio»; «altro_da_Dio»).
La «sovrabbondanza» è del Signore e dal Signore, ed è una «grazia»; ciò che sovrabbonda dal «Maligno», invece, è «dis_grazia», che significa appunto «non_grazia», così come «il Maligno» non è «il dio del male», ma è «assenza_di_Dio». Tuttavia, come diciamo sempre, il demonio scimmiotta il Signore, e la sua abilità di giocare con i concetti, con le definizioni, con le confusioni, è fortissima: nostro compito è quello di essere «solidi nel Lógos», stare sempre accorti e pronti a discernere in ogni occasione.
Liquefare la nostra fede nell’emotività, nel politicamente corretto, nel melenso, è fare il gioco del demonio!
(Ad argomentare ciò, è interessante un piccolo riferimento economico. La differenza tra entrate e uscite è detta saldo: se tale saldo è positivo, si parla di avanzo; se è negativo, si parla di dis_avanzo. Sono entrambi «superfluo/sovrabbondanza», ma il primo è una «grazia», il secondo una «dis_grazia», cioè una «assenza_di_grazia», non un’ «altra_grazia»)
A corroborare ulteriormente il discorso, torniamo al Vangelo di oggi, precisamente al versetto 20: «Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli»?
Questo «supererà» è sempre lo stesso termine («perisseúse»).
E qui ancora la stessa questione: ma se al versetto 37 la «sovrabbondanza» era da «Maligno», in questo versetto, e nei seguenti (Cf. vv. 22, 28, 32, 34; e fuori pericope, ma nello stesso capitolo: vv. 39, 44), non è proprio il Signore («Io vi dico») ad invitarci alla «sovrabbondanza»?
Ebbene, ecco, quindi, la nostra scelta, la nostra libertà, sollecitata e interrogata dal Lógos (v. 37): a chi vogliamo dire «”Sì, sì”, “No, no”»?
Vogliamo che la «giustizia» sovrabbondi dagli «scribi» e dai «farisei», oppure da «Io vi dico» (Cf. v 20)?
Vogliamo che la fede si liquefaccia nella mera materialità, nel formalismo, nell’emozionale, oppure sia piena e solida del nome del Signore nostro Gesù Cristo (che poi, poi, poi, si declina e coniuga, certamente, nel concreto)?
Quarto punto
Il lettore attento, ovvero il fedele dei nostri commenti, nonostante si sia lasciato (forse) trasportare da tutto il discorso, certamente si starà domandando «da dove» la parola scritta nel titolo?
Ebbene, chiudiamo proprio con il termine in questione, il quale non è stato volutamente tradotto, ma è precisamente così com’è nell’originale greco del Vangelo: «rakà».
Tale esclamazione, aggettivo o sostantivo che sia, la troviamo al versetto 22: «Chi poi dice al fratello: “rakà (Stupido)“, dovrà essere sottoposto al sinedrio».
Che c’entra col discorso finora articolato?
1-In primo luogo una nota molto interessante.
La parola «rakà» non è greca: è la traslitterazione dell’ebraico «rakhà», e significa «stupido/abominevole».
Dove sta la particolarità?
La particolarità sta nel fatto che sarebbe opportuno non tradurla, alla stessa stregua di «Abbà» (Mc 14, 36), «Talità kum» (Mc 5, 41), «Osanna» (Mt 21, 9), «Effatà» (Mc 7, 34), «Elì, Elì, lemà sabactàni» (Mt 27, 46; Mc 15, 34): non traducendola, infatti, possiamo ascoltare la «viva voce» del Signore; possiamo sentire il suo «Ipsissimum Verbum».
2-In secondo luogo (oramai prossimi all’inizio della Quaresima) sappiamo che Gesù, prima di essere condannato alla Croce, è stato «sottoposto al sinedrio»: chissà quante volte, con quali toni, durante i processi e in tutta la vicenda pasquale, sarà stata sputata questa parola di disprezzo al Signore («rakà/stupido_abominevole»).
Ma la Passione di indica che anche Pietro e Giuda, pure se in altro modo e maniera, hanno esibito al loro Maestro l’epiteto «rakà»: il primo liquefacendosi in un semplice «No (Non lo conosco)» (Cf. Mt 26, 69-74); il secondo sciogliendosi addirittura in un bacio: «Salve, Rabbì!”. E lo baciò» (Mt 26, 49). Chissà se in quel «Rabbì» (altro termine ebraico, come quelli sopra), pulsava invece la parola «rakhà»!
Eppure il Signore nostro Gesù Cristo ci lascia liberi, liberi di diluirlo nelle categorie materiali; liberi di preferire la sovrabbondanza del «Maligno» a quella del «Lógos»; liberi di dirgli «Si, si» oppure «No. no»; liberi di chiamarlo «Rabbì» o «rakà»: liberi di scegliere il sepolcro o la Risurrezione!
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.
Letture della Domenica
VI Domenica del Tempo Ordinario – ANNO A
Colore liturgico: VERDE
Prima Lettura
A nessuno ha comandato di essere empio.Dal libro del Siracide
Sir 15, 15-20, NV 15, 16-21
Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 118 (119)
R. Beato chi cammina nella legge del Signore
Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore. R.
Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti. R.
Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge. R.
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore. R.
Seconda Lettura
Dio ha stabilito una sapienza prima dei secoli per la nostra gloria
Dalla Prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi
1 Cor 2,6-10
Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.
Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.
Ma, come sta scritto:
«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano». Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.
Parola di Dio
Vangelo
Così fu detto agli antichi; ma io vi dico.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5, 17-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».
Parola del Signore.
Forma breve:
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5, 20-22a.27-28.33-34a.37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».
Parola del Signore