Incatenati al termosifone; desiderando che il caldo torni al più presto; bagnati da giorni e giorni di fredda pioggia, attendiamo con “frenesia” (dalla radice “bhurati”, che ha il senso del “muoversi”) l’arrivo del Natale.
Che gioia nei Cieli per tutto questo nostro “fermento”.
Peccato però che il gaudio Celeste, il quale ogni anno confida nel nostro “fremito”, rimanga costantemente deluso: l’agitazione è “fervorosa” attesa dei regali, non di Gesù; l’ “effervescenza” degli animi non bolle per la venuta del Signore, bensì di ansia compulsiva, e convulsiva, da acquisti.
Ma se “Natale” vuol dire “Nascita” (se lo sarà mai domandato qualcuno cosa volesse dire?), s’è fermato mai taluno, fra tutta l’abbondanza sprecona che ci gonfia (il ventre e lo spirito), a chiedersi chi è che nasce?
Colui che scrive è a svelare una strabiliante rivelazione: a nascere è nostro Signore Gesù Cristo!
Nondimeno, si offrono doni a tutti, tranne che a Lui (eppure non c’è da temere per il proprio conto in banca: non gli interessa mica lo smartphone!); si apparecchiano grasse tavolate per le ingorde fauci, senza lasciare neanche un angolo per accogliere Lui (eppure non ci si deve preoccupare di andare a fare la spesa: non ha mica fame di capponi o di abbacchi!); si proclamano auguri a bocca larga a destra e a manca, tranne che rivolgersi a Lui (eppure non c’è pericolo che non risponda: non fa che attendere anche un nostro timido sguardo).
Ma forse ha ragione un caro amico dello scrivente quando dice: “La colpa è della stella cometa che sta sopra il centro commerciale: ci confonde…”.
Possa lo Spirito Santo soffiare sulla nostra vita.
L’estratto matteano che la Liturgia ci offre questa domenica è molto lineare, nel suo contenuto e nel suo messaggio, nonché nel suo lessico; e data questa (apparente) semplicità, anche lo scrivente si cimenterà nell’estrarre dalla pericope una parola (in apparenza) altrettanto ordinaria: CARCERE.
Usualmente, quando un concetto deve prevalere entro uno scritto, oppure all’interno di un dialogo, o lo si ripete quasi ampollosamente, oppure si adoperano sinonimi ovvero circonlocuzioni affini.
Essendo il vocabolo “carcere” (v.2), non solo un termine per nulla altisonante, ma presente una sola volta nella traccia evangelica odierna, cosa mai potrà veicolare di così rilevante, da essere menzionato nella Parola di Dio?
Come ci è solito, andiamo a leggere il greco originale: ma se la scorsa volta abbiamo percorso un cammino “lineare”, quest’oggi il tragitto richiede un continuo approccio di incroci.
Primo bivio
Il lemma usato per “carcere” è “desmotèrion”.
Questo sostantivo è composto dal nome “desmòs” che vale “legaccio/catena”, e dal verbo “terèo” che intende “custodire/tenere_in_guardia”.
Tuttavia, il senso profondo di “carcere” è maggiormente veicolato da “desmòs”, il quale anche da solo arriva a significare “prigione”. È per questo che il filo rosso del nostro discorso deve seguire il tracciato segnato da questo vocabolo.
Secondo bivio
Il sostantivo “desmòs” viene dal verbo “dèo”, il quale ha due polmoni: il primo inspira la radice “de”, che ha il senso proprio di “legare” (da cui il latino “redimio” [coronare] e l’italiano “diadema”), mentre nell’altro riposa la radice “dev/def” che veicola il senso del “mancare/avere_bisogno”.
La prosecuzione del tracciato cade su questo secondo aspetto, poiché il “carcere” è un “laccio_che_priva”, non un “serto_che_incorona”.
Per sviluppare meglio tale punto, è bene notare che da questa seconda radice (“dev/def”) deriva il sostantivo “dèesis”, che significa “necessità/bisogno”: molto strano come a tutti noi sia stato sempre insegnato che l’etimologia di “desiderio” provenga dal latino “de-sidus” (“ottenere_dalle_stelle”), quando invece è indubbio, secondo lo scrivente, che tale parola derivi chiaramente da “dèesis”, ovvero dalla radice “dev/def” del verbo “dèo”. A supporto di ciò è pure il fatto che “dèesis” si traduce anche con “preghiera/supplica”.
Ma come se non bastasse, dalla medesima radice “dev/def” viene un sostantivo latino che non occorre tradurre: “deus”.
In quest’ultimo termine (“deus”) troviamo sintetizzato tutto il cammino sin ora percorso: non è forse Dio(Figlio), il cordone ombelicale che ci tiene legati alla Vita Eterna? Non è forse Dio, Colui al quale ci rivolgiamo (solo…) nel momento del bisogno? Non è forse Dio, il destinatario delle nostre suppliche e preghiere; Colui al quale chiediamo l’esaudimento dei nostri desideri?
(Come non annusare immediatamente il viscido e fetido alito demoniaco, che non manca mai di scimmiottare il Signore [tanto è vero che in ciascun commento non possiamo fare altro che richiamarlo ogni volta: altro che l’inferno e il demonio non esistono!]. Il sussurrio del maligno è subdolo, ma sempre vivace: “Ma quale cordone ombelicale: Dio è il capestro che impicca e strozza ogni felicità. Ma quale supporto nel momento del bisogno: Dio è la mancanza di godimento. Ma quale soddisfacimento delle suppliche: Dio è il desiderio inappagato, il piacere inesaudito”)
Ma se “deus” rappresenta un punto di arrivo, al contempo esso è anche punto di partenza per scendere ancora più in profondità.
Per procedere nel ragionamento, diamo uno sguardo alla Prima Lettura (Is 35,1-6.8.10), la quale inizia con: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa”.
E a ciò fa seguito la Seconda Lettura (Gc 5,7-10), nella quale è scritto: “Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge”.
Di solito il contenuto della Prima e della Seconda Lettura è definito e chiarito, o meglio è compiuto, nel Vangelo conseguente; tuttavia nella pericope matteana proposta, a parte un fugace cenno al “deserto” (v. 7), null’altro si trova delle due letture: dove sta la fioritura della steppa; dove i frutti; ma soprattutto, dove la pioggia, ovvero ciò che “bagna” la terra e la rende feconda?
A seguito di questa osservazione, ritorniamo al nostro percorso.
Terzo bivio
Il sostantivo “deus” (quindi il nome “dèesis”, quindi la radice “dev/def”, quindi il verbo “dèo”, quindi il nome “desmòs”) fa richiamo ad un altro verbo greco, ovvero “dèuo”.
Ed anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una radice bipartita.
Da un primo ventricolo, “dèuo” pulsa il medesimo verbo “dèo” (quindi “mancare”); mentre dal secondo vibra un significato (apparentemente) disconnesso: “bagnare/innaffiare/impregnare”.
I riferimenti alle Letture di cui sopra, non fanno altro che spingerci per questa seconda direzione, affinché si possa andare avanti.
-Ebbene, la prima osservazione che possiamo fare, riguarda il metodo del fedele.
Come per trovare il “bagnato” si deve scavare nelle profondità, così occorre fare anche nella Scrittura: solo scavando nella Parola di Dio (come stiamo facendo), possiamo far sprizzare il senso pieno della Rivelazione; solo avanzando nella Parola di Dio, possiamo dissetarci con l’ “acqua viva”, con Colui che è l’Acqua di Vita Eterna (cfr. Gv 4, 7-15).
-Ma ritornando alla pericope odierna, siamo proprio sicuri che non c’è alcun riferimento al “bagnato”?
In realtà, scrutando con attenzione, c’è: ed è palese.
Al versetto 11 Gesù chiama Giovanni (che è in “carcere”) il “Battista”. Il verbo greco da cui deriva questo epiteto è “bàpto”, e significa “immergere”: non è esattamente un sinonimo di “dèuo” (“bagnare/innaffiare/impregnare”), e quindi di “deus”, “dèesis”, “dev/def”, “dèo”, ovvero di “desmòs” (prigione), quindi di “desmotèriòn” (carcere)?
-Ma ancor piò sottile, tuttavia enormemente poderoso, è un altro riferimento al “bagnato”.
Al versetto 5 si legge e si ascolta: “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati (“katharìzontai” che letteralmente significa “mondare”: non è forse un altro sinonimo di “bagnare”?), i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”.
Tutto ciò non è come una “pioggia di grazie” che fa “rallegrare i deserti (i piagati) e fiorire le steppe (gli emarginati a causa delle infermità)”? E questa “Pioggia” è Gesù, Colui dal quale sgorga l’Acqua di Vita Eterna (cfr. Gv 19, 34).
E se il riferimento al Cristo fosse troppo “spirituale”, ovvero “forzato”, basta ritornare ad un altro passo del profeta Isaia (dal quale è tratta la I Lettura odierna sopra citata), il quale recita: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55, 10-11).
Non è forse Gesù la “Parola” che feconda e fa germogliare la terra, Egli che è il “Lògos”, il “Verbum” piovuto e fatto Carne (cfr. Gv 1, 1.14)?
-Orbene, ci eravamo detti all’inizio, che nell’estratto matteano odierno la parola “carcere” è piantata lì da sola, in modo (apparentemente) semplice ed ordinario: al contrario invece, da come abbiamo visto, non solo essa è ripetuta e richiamata costantemente nel Vangelo di oggi, con sinonimi e allusioni di senso; ma domina anche le altre due Letture domenicali.
E ancora di più: basterebbe la parola “carcere” per contenere l’intero movimento del brano evangelico.
Guardiamo assieme.
1-Giovanni era in carcere
-(“desmotèriòn”, “desmòs”)
2-egli aveva bisogno di conoscere chi fosse veramente il Cristo: la sua supplica è quasi come se fosse la richiesta di esaudimento del suo ultimo desiderio prima di morire
-(“dèo”, “dev/def”, “dèesis”)
3-nella sua richiesta, Giovanni domanda a Gesù se quest’ultimo sia “colui che deve venire”, ovvero il Messia, il Cristo (che significa “Unto”, quindi sinonimo di “bagnato“)
-(“deus”)
4-la risposta che Gesù offre a Giovanni non è solo la descrizione di una “pioggia di grazie”, di un “bagno di purificazioni”, ma il carcerato, dopo che saranno tornati a riferirgli la risposta del Cristo (v. 4), certamente sarà stato inondato egli stesso della potenza del dettato di Gesù: e Colui che era stato battezzato (cfr. Mt 3, 13-17), battezzerà (bagnerà) compiutamente il Battista (in carcere), il quale è il (più che un) profeta che nel deserto annunciava l’imminente venuta dell’Acqua della Salvezza (cfr, Mt 3, 1-3: guarda caso ancora si cita il profeta Isaia)
-(dèuo)
(Notiamo ancora: non è forse anche “deserto”, ovvero luogo [materiale] o stato [morale] che incatena il germogliare della vita, un sinonimo di “carcere”? E questa sinonimia è piena, in quanto è altrettanto vero che il “deserto” è il luogo per eccellenza dell’incontro Dio, ovvero il luogo in cui si va per essere “bagnati” dalla sua Parola. Molto interessante, a tal proposito, è come i rabbini scrutino nel termine “deserto” [in ebraico “Midbar”] un vocabolo che ha la stessa radice “d_b_r” ovvero “Dabar”, che significa “Parola”. Ed è altrettanto degno di nota, ma ci limitiamo in tal caso solamente ad accennare, come Rabbi Akiva metta in connessione “Dio” con “Piscina”)
Giunti con molta fatica al termine del nostro commento, non possiamo che continuare a sollecitare all’accortezza, dinanzi all’incessante inganno (…bivio) a cui il demonio ci invita (non sbuffi il lettore; non minimizzi e ridicolizzi il maligno: esso è presente nella Scrittura; ed è la stessa Parola di Dio, è lo stesso Cristo che non fa altro che metterci in guardia da questo. Guai a ridurre la nostra fede al fare l’elemosina; oppure ad una gradevole occasione per stare in compagnia): nostro Signore Gesù è il carcere che ci impedisce di inzupparci nelle felicità; oppure Egli è Colui che impregna e feconda la nostra vita, anche se questa è nel carcere della prova?
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.
Letture della
III DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A
Colore liturgico: VIOLA o ROSACEO
Prima Lettura
Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi.Dal libro del profeta Isaìa
Is 35,1-6a. 8a. 10
Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 145 (146)
R. Vieni, Signore, a salvarci.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.
Seconda Lettura
Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Gc 5,7-10
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.
Parola di Dio
Vangelo
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,2-11
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Parola del Signore