Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 14 Giugno 2020

Il passo evangelico di questa domenica è assai profondo e fortemente incastonato nella tradizione ebraica.
Proviamo ad offrirne alcuni cenni.

1 – In primo luogo, per dare un’introduzione generale (chiedendo fin d’ora venia per i toni e i modi semplicistici che useremo; tuttavia lo facciamo al solo scopo di facilitare la comprensione), il lettore certamente saprà che nel Vangelo secondo Giovanni non è narrata l’Ultima Cena così come consuetudinariamente la si conosce. Difatti lo scritto giovanneo non racconta l’istituzione dell’Eucaristia nel Cenacolo, al contrario di quanto avviene, invece, nei Sinottici (Cf. Mt 26; Mc 14; Lc 22) e nella lettera paolina ai Corinzi (Cf 1Cor 11).
Gli studiosi, i teologi e gli esegeti, quindi, rivedono nel capitolo del cosiddetto «Pane di Vita» (ovvero il testo odierno contenuto in Gv 6), un palese rimando e richiamo proprio all’Eucaristia.

2 – Molto interessante la formula usata da Gesù; «Pane della vita». Nel gergo tecnico si chiama «genitivo epesegetico». Sciogliamo questo parolone.
Per farla semplice, quando ci troviamo di fronte a espressioni come, appunto, «Pane di Vita», queste vanno intese con «Pane cioè Vita».
Ecco, quindi, che invocando il genitivo epesegetico, è possibile conferire ad alcune pronunce una pienezza di senso molto forte, come ad esempio Gv 8, 12: «Di nuovo Gesù parlò loro e disse: “Io sono la luce del mondo («la luce cioè il mondo»; il greco per «mondo» è kósmos, che in traduzione, prima di valere «mondo», significa «buon ordine». Quindi: «la luce cioè il buon ordine»); chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita («luce cioè vita»)».
Si veda, sulla stessa scia, anche il prosieguo del capitolo odierno, ovvero Gv 6, 68-69: «Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna («parole cioè vita eterna») e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” («il Santo cioè Dio» – in ebraico Khadósh YHWH)».

3 – È rilevante notare, come accennato in apertura, alcuni tratti ebraici che trapelano dal Vangelo di questa domenica.
Il «pane vivo disceso dal cielo» è un fortissimo richiamo alla «manna» dell’Antico Testamento. Da notare, poi, come anche il riferimento alla «carne» sia rimando agli episodi veterotestamentari, dato che nel deserto Dio diede al popolo di Israele sia la manna che le «quaglie».
Ascoltiamo, invero, Es 16, 12-13: «[Dio disse a Mosè:] “Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: ‘Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio’”. La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento».
In questi due versetti ci sono ancora altre due note rilevanti.
La «mormorazione degli israeliti» nel deserto è chiaramente manifesta anche nel Vangelo odierno: «(v. 41) Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui […]. (v. 43) Gesù rispose loro: “Non mormorate tra voi […]. (v. 52) Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro» (Cf. Gv 6, 41-52).
Molto rilevante, poi, la «rugiada», che è forte emblema della risurrezione, la quale risurrezione è palesemente evocata nel Vangelo di questa domenica: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 44).
Circa la rugiada, poi, c’è un «gioco» esegetico caro alla tradizione ebraica.
Invero, l’espressione tal-iá in ebraico significa «rugiada di Dio». Ebbene, lo stesso termine in aramaico, ovvero taliá può avere tre valenze contemporaneamente: «fanciullo/servo/agnello».

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Monte Sinai – Monastero di Santa Caterina

4 – Infine è molto evocativo il versetto di Gv 6, 55: «Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda».
Diamo solamente alcune rapide note esegetiche.
Per la tradizione ebraica, «sangue» e «vino» sono concetti simili, per non dire perfettamente in adesione: difatti il «vino» viene inteso come «sangue della vite». Ebbene, il rimando al «sangue ed acqua» del Crocifisso è immensamente denso di significato (Cf. Gv 19, 34): non è forse vero che Gesù stesso ha detto di sé: «Io sono la vite» (Cf. Gv 15, 1.5)?
E il «Costato» del Calvario ci rimanda, a sua volta, in Galilea, a quello sposalizio di Cana, nel quale Gesù ha mutato le sei giare d’acqua in altrettante di vino (Egli che, sul Calvario, sarebbe divenuto la «settima giara», quella della pienezza): da questo «rimbalzo esegetico» possiamo giungere a comprendere la frase che Gesù disse alla Madre: «Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2, 4): il «vero vino» sarebbe stato quello della Croce.
Ma Cana è richiamata, velatamente, proprio nelle righe evangeliche che abbiamo oggi ascoltato, in quanto proprio nell’espressione «il mio sangue vera bevanda» il termine «bevanda» in greco è pósis, il quale al femminile (pósis, eos) significa propriamente «bevanda», ma al maschile (pósis, ios) ha valore di «sposo/marito».
E dal matrimonio e da Cana ritorniamo al popolo di Israele nel deserto e al monte Sinai, il quale monte veniva chiamato, dalla traduzione ebraica, esattamente «la cantina di Dio» (ovvero il luogo in cui venne dato al popolo il «vino della Toráh» – e sarà sempre su un monte [Calvario] che la Toráh Compiuta [Gesù] renderà dal suo costato il vino [sangue] della Vita Eterna).

Orbene, oggi abbiamo saltato a destra e a manca, apparentemente senza senso e senza connessione.
Tuttavia questa è l’emozione di leggere il Vangelo, e l’intera Parola di Dio: nella Scrittura c’è tutta una potenza di senso, tutta una pienezza, che renderla sempre e solamente la solita tiritera, mestata e rimestata, non fa altro che farci «dis-amorare» della nostra fede. La quale «nostra fede» non è un libro, o una serie di prescrizioni, oppure «fare l’elemosina»: la nostra fede è una Persona; Viva!

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/


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