Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 1 Novembre 2020

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Commovente e al contempo apportatore di coraggio, il Vangelo odierno è gravido di senso, tanto nel suo testo originale, quanto nella lettura, o nell’ascolto, in lingua corrente italiana.
Ed ogni volta che ci troviamo al cospetto del brano evangelico in esame, incipit del cosiddetto “Discorso della montagna”, si accende in ciascuno di noi un fervore ed un calore che conforta le nostre tristezze e consola le nostre angosce.

 

Andare al testo greco del passo matteano proposto quest’oggi dalla Liturgia, ci aiuta, però, ad entrare nel profondo del tracciato evangelico, e a penetrare con maggiore pienezza nelle parole di Gesù (precisiamo sempre come nessun commento al Vangelo, comunque, sia mai del tutto e definitivamente esaustivo, poiché la Parola di Dio è sempre nuova e viva).

Facciamo due brevissimi esempi.
A – «Si mise a parlare e insegnava loro dicendo» (Mt 5, 2).
L’espressione «Si mise a parlare» in greco è anoíxas tò stóma, che letteralmente andrebbe tradotta con «aperta la bocca».
Interessante notare, però, come anoígo (da cui la coniugazione anoíxas) non sia un semplice «aprire», bensì esprima un «aprire (oígo)-su (anà)», ovvero uno «scoperchiare»:
«Scoperchiò la bocca e insegnava loro dicendo».
Interessante riportare come il verbo anoígo («scoperchiare») sia usato tecnicamente in riferimento ai loculi e ai sepolcri.
Come non figurarsi quel sepolcro gerosolimitano alla stregua di una “bocca scoperchiata”, dalla quale si alzò il didáskalos («insegnante/maestro») per antonomasia.

B – «Beati…» (termine che, in Mt 5, apre i versetti dal 3 all’11).
Il nome greco usato è makárioi.
Rileviamo, con estremo imbarazzo per il mondo secolare (tanto quello di Gesù, quanto, soprattutto, il nostro), come makárioi («beati»), nel suo senso intimo, sia espressione da makári, che intende «volesse Dio» (di qui l’italiano «magari») ed anche da makár, che significa «beato non tanto come un mortale, ma proprio come un dio» (da notare come oi makáres si possa tradurre esattamente con «gli dei»).
Facciamo un esempio circa come potrebbe essere una traduzione che renda quanto appena riferito.
Questo il testo CEI 2008 che leggiamo e ascoltiamo alla messa:
«Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 11-12).
Il senso profondo si potrebbe restituire così:
«Voglia Dio che siate insultati, perseguitati…»;
oppure
«Magari foste insultati, perseguitati…»;
oppure
«Godrete della beatitudine di Dio quando vi insulteranno, vi perseguiteranno…».
Un proclama assai imbarazzante per il secolo…

Dati questi due brevi cenni, ci interessa dare uno sguardo al sostantivo «poveri»:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3).
Letteralmente questo versetto sarebbe da rendersi così:
«Beati i poveri allo spirito (makárioi oi ptochoì tõ pneúmati), perché di essi è il regno dei cieli».

Quanto viene usata, stra-usata, ab-usata, strumentalizzata, questa parola «poveri».
Dall’essere considerato piaga o “pro-blema”, codesto nome, in altri contesti, passa a focalizzare persino l’opposto, divenendo addirittura vanto o “em-blema”.
Proviamo, invece, ad avvicinarci a quanto scritto in profondità nel Vangelo, lasciando a chi di dovere le manipolazioni o le artificiose rielaborazioni ad usum delphini.

Ebbene, come scritto poc’anzi, il sostantivo greco per «poveri» è ptochoì.
Tale termine, nel suo senso letterale, indica esattamente «mendicante/indigente».
E questa immediata accezione, sia chiaro, è certamente intesa da Gesù (continuiamo e continueremo sempre a ribadire come l’aspetto letterale della Parola di Dio non vada mai rigettato; tuttavia per il fedele deve essere sempre necessaria l’esigenza di iniziarsi anche ad un “oltre il versetto”)
Molto interessante, però, è andare alla radice di questo termine.
E tale procedimento di scavo ci consente di rilevare, o rivelare, come ptochoì sia espressione del verbo greco ptésso, il quale indica propriamente l’atto del «rannicchiarsi per timore/turbamento» (postura che appartiene fortemente allo stereotipo del mendicante/indigente).
Inoltre, a ptochoì è legato il nome greco ptoía, il quale reca in sé il concetto di una «agitazione veemente», che si può esplicare tanto nell’accezione di «spavento (veemente)», quanto anche di «ardore (veemente)». –Non andiamo oltre, ma accenniamo solamente come il tema/radice di ptochoì sia riconoscibile anche nei termini «sputare» (in greco ptúo: «Detto questo, sputò [éptusen] per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco» – Gv 9, 6) e «battezzare» (in greco baptízo: «[…] Egli vi battezzerà [baptísei] in Spirito Santo e fuoco» – Lc 3, 16)

Ecco, allora, come il concetto di «poveri» (ptochoì) assuma un respiro più ampio, e non esprima univocamente la mera assenza di beni materiali.
Soprattutto se accanto a «poveri» aggiungiamo la necessaria ed inseparabile specificazione «in spirito», che sarebbe da rendere, come sopra detto, con «allo spirito» (tõ pneúmati).

Orbene, in primo luogo, quindi, non si deve mai separare ptochoì tõ pneúmati («poveri allo spirito»), poiché altrimenti la parola di Gesù perderebbe di efficacia. Ma soprattutto, separando «poveri» da «allo spirito», e ponendo l’enfasi solo e soltanto su «poveri», defalcando arbitrariamente la sua puntuale specificazione, si compirebbe una vera e propria manipolazione, o strumentalizzazione, della Parola di Dio, ovvero dell’insegnamento che proviene direttamente dalla bocca di Gesù.
In secondo luogo, dato quanto detto sopra, se tralasciassimo la specificazione «allo spirito», non saremmo in grado neanche di comprendere in maniera piena e soddisfacente il valore di ptochoì («poveri») come «rannicchiati per timore/turbamento» o «agitati con veemenza».
Invero, i «poveri» di Mt 5, 3 non sono (solo) coloro che sono privi di beni materiali, ma:
1 – sono coloro che provano e manifestano “rannicchiato” (atto che allude tanto alla «paura», ma anche e decisamente al «rispetto/devozione/subordinazione») timore/turbamento (proprio in virtù del fatto che sono) al cospetto dello Spirito;
2 – sono coloro che si agitano, ovvero “agiscono” veementemente, (proprio in virtù del fatto che sono) dinanzi allo Spirito.
La specificazione «allo spirito», quindi, è assolutamente legata a «poveri», altrimenti questi ultimi si “rannicchiano” o si “agitano” per cosa?

Qualsiasi uomo che risponde con abbandono (ptésso) e azione (ptoía) “allo Spirito”, quindi, è “povero” (ptochoì).

Per identificare, infine, chi siano questi «poveri» (ptochoì), ovvero questi «poveri allo spirito» (ptochoì tõ pneúmati), possiamo richiamare alcune figure presenti nei Vangeli, che abbiano le caratteristiche che sopra abbiamo riconosciuto.
A noi piace individuare i seguenti esempi.

Primo
1 – «Un angelo del Signore si presentò a loro [i pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore» (Lc 2, 9).
Interessante notare come in ebraico il termine «gloria» sia kavód, il quale viene dalla radice √Kavéd, che vale esattamente «essere pesante».
Il richiamo all’accezione del rannicchiarsi per timore/turbamento al cospetto di Dio è esplicito.
2 – «Andarono [i pastori], senza indugio (speúsantes), e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Lc 2, 16).
È forte ed evidente come i pastori si siano agitati veementemente, ovvero abbiano agito con trepidante impeto dinanzi alla divina rivelazione.

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Campo dei pastori (Betlemme)

Secondo
1 – «A queste parole [quelle dette dall’angelo Gabriele] ella [Maria] fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo» (Lc 1, 29).
Come non riconoscere in Maria la prima “povera allo spirito”, la “rannicchiata” su cui è sceso lo Spirito Santo; la “rannicchiata” coperta dall’ombra della potenza dell’Altissimo?
2 – «Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta (spoudẽs: lo stesso di speúsantes riferito ai pastori) verso la regione montuosa, in una città di Giuda» (Lc 1, 38-39).
Come non riconoscere in Maria la prima «povera allo spirito», l’ “agitata con veemenza”: colei che ha “agito con veemenza” rivolgendo immediatamente al Signore il suo «Ecco»; colei che senza indugio si è affrettata ad andare incontro ai disegni, ai progetti, alla volontà di Dio?

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Chiesa della Visitazione (Ain Karem)

 

Non sia, quindi, «poveri», né un problema, né un emblema: sia modello a cui tendere con perseveranza ed umiltà.
Badando bene a rammentarci come «poveri» sia modello, solo e soltanto quando lo si lascia in relazione con «allo spirito».
Altrimenti sarà sempre problema o emblema. -Difatti anche Giuseppe di Arimatea, pur se «uomo ricco», è un “povero allo spirito” (ptochoì tõ pneúmati), poiché era un “rannicchiato” (ptésso) al cospetto del Signore («era diventato discepolo di Gesù») e ha “agito veementemente” (ptoía) dinanzi al Crocifisso («Venuta la sera [… ] Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. […] lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo […]») – cf. Mt 27, 57-60

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/