Prima lettura: Sapienza 11,22-12,2
Il brano della prima lettura è tratto dal libro della Sapienza, che è stato scritto direttamente in greco, da ebrei ellenizzati, e che non è entrato nel canone ebraico, ma è arrivato alle chiese cristiane dalla traduzione greca della Bibbia cosiddetta dei Settanta.
L’autore sta magnificando la grandezza di Dio e paragona tutto l’universo dinanzi a lui a della polvere «sulla bilancia» (Sap 11,22). Il richiamo è a Is 40,15, dove però «pulviscolo sulla bilancia» sono le nazioni.
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La seconda parte del versetto ribadisce lo stesso concetto con un’altra bella immagine: «tutto il mondo davanti a te è… come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra» (Os 6,4: dove il paragone della rugiada è applicato a Efraim e Giuda; cf. Os 13,3).
Subito dopo aver contrapposto la piccolezza dell’universo alla grandezza di Dio, l’autore ne sottolinea la misericordia e l’amore infinito.
Dio fa conoscere la sua onnipotenza attraverso la compassione e il perdono. Egli dimentica i peccati in vista della conversione (Sap 11,23). «Io non godo, dice il Signore attraverso il profeta Ezechiele, della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» (Ez 33,11).
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L’amore di Dio non è rivolto solo agli esseri umani, ma a tutte le creature, che sono venute all’esistenza e vi rimangono proprio grazie al suo amore. «Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su ogni creatura» (Sal 145,9).
L’esistere delle creature è una chiamata di Dio; tutte le cose appartengono a Dio, che è «Signore, amante della vita». Il suo «spirito incorruttibile è in tutte le cose» (Sap 11,26; cf. Sap 1,13-14). Lo Spirito di Dio non è solo nell’uomo (Gn 2,7), ma in ogni essere vivente, che vive grazie al dono continuo di Dio: «se nascondi il tuo volto vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104,29-30).
Il versetto 2 del cap. 12 riprende il concetto iniziale della pedagogia di Dio verso il peccatore: egli castiga con parsimonia e ammonisce con insistenza allo scopo di chiamare i peccatori a conversione.
Seconda lettura: 2 Tessalonicesi 1,11-2,2
L’apostolo nei versetti 11 e 12 che chiudono il primo capitolo della seconda lettera ai Tessalonicesi dichiara di pregare «di continuo» per i cristiani di Tessalonica. Egli sottolinea di nuovo le implicazioni etiche della prospettiva escatologica raccomandate loro nelle parole immediatamente precedenti. Questa prospettiva non è solo un incentivo alla paziente sopportazione della sofferenza per amore di Cristo; è anche un incitamento per una vita di azione positiva in armonia con il fine per il quale Dio li ha chiamati. Dio, che chiama «al suo regno e alla sua gloria» (1Tes 2,12), chiede una condotta adeguata alla chiamata e dona il suo Spirito, perché abitando nei credenti, li renda capaci di comportarsi secondo la sua giustizia.
La «grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo» è lo Spirito stesso di Dio, che rende simili a lui e fa capaci di glorificare il suo nome. La comunità cristiana deve nella sua testimonianza rendere visibile la gloria di Cristo e questo è possibile solo col dono dello Spirito.
Gli altri due versetti esortano ad evitare i falsi allarmismi riguardo alla nuova venuta di Gesù, tanto attesa nelle prime comunità cristiane. Paolo implora i Tessalonicesi, perché rendano la loro testimonianza senza lasciarsi «confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera» (2Ts 2,2). Non ci si deve far ingannare da nessuno (cf. Mt 24,4); si deve attendere fiduciosi la venuta del Signore, senza farsi prendere dalla paura di una catastrofe imminente, paura che non è mai buona consigliera e non lascia la serenità necessaria per affrontare le vere necessità della vita presente.
Vangelo: Luca 19,1-10
Esegesi
I vangeli, in particolare Luca, ci presentano più volte Gesù che sta in mezzo ai pubblicani e ai peccatori: «Si avvicinarono a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo» (Lc 15,1), «mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli» (Mt 9,10). Tale comportamento provoca lo stupore della gente: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro!» (Lc 15,2). Luca, però, sottolinea che è proprio questa la missione di Gesù: avvicinare i peccatori e portarli a conversione. «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori affinché si convertano» (Lc 5,32).
Predicare il perdono e la conversione è anche la missione dei discepoli: «Nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati a cominciare da Gerusalemme» (Lc 24,47). Dio stesso gioisce per la conversione del peccatore: «ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7.10).
In questo quadro si situa l’episodio di Zaccheo. Questo personaggio viene presentato come capo dei pubblicani (architelones), vale a dire degli esattori delle tasse, e ricco. Il vocabolo greco architelones è usato solo qui in tutto il Nuovo Testamento e non si trovano esempi nemmeno nella letteratura profana. Luca vuole sottolineare probabilmente che Zaccheo era un esattore importante a Gerico, era potente, oltre ad essere ricco, apparteneva perciò a quella categoria della quale Gesù aveva detto: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Lc 18,25; cf. Mt 19,24; Mc 10,25). È così assolutamente evidente, che la sua conversione è opera della potenza di Dio misericordioso. Infatti «ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio», (Lc 18,27; cf. Mt 18,26; Mc 10,27).
Zaccheo è mosso dalla curiosità di vedere Gesù e sale su un albero, perché altrimenti la sua bassa statura gli impedirebbe di vedere, dato il grande accorrere di gente, attratta dalla fama di Gesù.
Gesù, giunto sotto l’albero, invita Zaccheo a scendere «in fretta» (speusas participio aoristo di speudo, agendo in fretta, affrettandoti, festinans nella Volgata); e Zaccheo «in fretta» scese (Lc 19,5.6). Questa fretta indica la sollecitudine nella chiamata e la prontezza nella risposta. Zaccheo accoglie Gesù «pieno di gioia», mentre chi osservava mormorava sulla condotta di Gesù: «È entrato in casa di un peccatore!» (Lc 19,7, cf. 5,30:15,2), Zaccheo, nel ricevere Gesù a casa sua, esprime con gesti concreti la sua volontà di conversione: dona la metà dei suoi beni ai poveri e ristabilisce la giustizia, che aveva violato, restituendo il quadruplo a coloro a cui aveva estorto denaro ingiustamente. Zaccheo prende come misura del risarcimento quello prescritto in Esodo 21,27. Egli ritorna ad accollarsi il «giogo dei precetti», che nella sua professione aveva più volte violato e rientra quindi a pieno titolo nell’alleanza di Dio col suo popolo.
Gesù, infatti, nell’annunciargli la salvezza sottolinea che «anch’egli è figlio di Abramo», vale a dire che l’alleanza con Dio, che è un atto di amore gratuito di Dio stesso, non si rompe con i peccati degli uomini. Dio è fedele alla sua promessa ed è sempre in attesa della conversione. Gesù «è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10) a testimonianza della misericordia del Padre.
Meditazione
Il testo della Sapienza parla del Dio che ha misericordia (vb. eleéo: Sap 11,23) di tutti e non guarda ai peccati degli uomini in vista della loro conversione (metánoia: Sap 11,23); il vangelo presenta Zaccheo come uomo che fa esperienza della misericordia del Signore ed esempio concreto di conversione.
Zaccheo cerca di vedere Gesù, ma la folla gli è di ostacolo. Per incontrare Gesù occorre uscire dalla folla, osare la propria singolarità, assumere i propri limiti per trovare il proprio personale cammino, occorre il coraggio di «cantare fuori dal coro».
La grandezza del piccolo Zaccheo sta nell’intelligente assunzione del limite della propria statura e nel trovare aiuto in un albero di sicomoro su cui sale per poter vedere Gesù. I limiti precisi che ci abitano (fisici, morali, intellettuali ecc.), quando siano assunti con maturità e intelligenza, non ci impediscono di incontrare il Signore, ma ci consentono di far avvenire tale incontro nella verità. Questa assunzione ci rende anche intelligenti nel saper ricorrere alle creature che ci vivono accanto perché suppliscano alla nostra indigenza.
Capo dei pubblicani e ricco, Zaccheo probabilmente si è arricchito in modo disonesto, sfruttando le possibilità offerte dal sistema di riscossione delle imposte. Egli, che può essere etichettato come peccatore e disonesto, è abitato dal desiderio di incontrare Gesù, e cerca con tutte le sue forze di vederlo. Il testo afferma che Zaccheo «cercava di vedere chi era Gesù (tís estin)» (Lc 19,3), insinuando forse il desiderio di una conoscenza profonda di Gesù.
E anche Gesù non si ferma al giudizio esteriore che potrebbe rinchiudere Zaccheo nel cliché del peccatore, non si rassegna a considerarlo solamente un peccatore, ma manifesta il suo desiderio di incontrarlo, di avere comunione con lui. E così narra il desiderio di Dio di incontrare ogni uomo, in particolare i peccatori. Il testo ci presenta così l’incontro del desiderio di Dio e del desiderio dell’uomo, che è, per entrambi, desiderio di salvezza.
Zaccheo cerca di vedere Gesù, di riconoscerlo, ma scopre di essere visto e conosciuto da Gesù stesso («Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo…”»: Lc 19,5), che addirittura gli manifesta l’intenzione di fermarsi a casa sua, quasi fosse una sua vecchia conoscenza. Il cammino che Zaccheo percorre per incontrare Gesù (correre avanti per evitare la folla, salire su un albero situato là dove Gesù sarebbe passato) sfocia nella scoperta che Gesù era già in cammino per incontrarlo: «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Spesso le nostre ricerche e i nostri cammini spirituali trovano il loro esito nella scoperta che il Signore già ci cercava ed era in cammino verso di noi. Queste nostre ricerche sono il nostro predisporre tutto all’evento della grazia. La forza dello sguardo di Gesù, che in Zaccheo non vede il pubblicano, il peccatore, l’uomo di bassa statura, il ricco, ma un uomo e un figlio di Abramo (Lc 19,9), conduce Zaccheo a ritrovare la vista, a redimere il suo sguardo. Ora egli vede tutti coloro a cui ha sottratto denaro ingiustamente, vede i poveri, e interviene concretamente in loro favore (Lc 19,8). Zaccheo vuole vedere Gesù (Lc 19,3) e incontra il Signore (Lc 19,8) e i gesti di conversione che Zaccheo attua non nascono da un atteggiamento di rimprovero di Gesù, ma dall’incondizionata e stupefacente accoglienza che Gesù gli riserva. Certo, a fronte di questo, resta sempre la possibilità di uno sguardo non evangelizzato, uno sguardo che in Zaccheo non vede che il peccatore e in Gesù una persona di cui scandalizzarsi: «Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!» (Lc 19,7).
Ha scritto don Primo Mazzolari commentando questo testo: «Io posso anche non vedere il Signore: lui mi vede sempre, non può non vedermi. Io posso scantonare, lui no. L’amore si ferma sempre e viene inchiodato dalla pietà. Io guardo e mi scandalizzo, guardo e giudico, guardo e condanno, guardo e tiro diritto: lui mi guarda, si ferma e si muove a pietà».
Commento a cura di don Jesús Manuel García