DEVO OCCUPARMI DELLE COSE DEL PADRE MIO
I doni che Dio fa
L’AT è attraversato da una continua esaltazione della fertilità. Ogni padre prega per la posterità. Ma chi ancora invoca da Dio un figlio è la madre sterile. Il pio israelita riconosce che il figlio è un dono particolare, ma è convinto che il dono va restituito. Ogni bene viene da Dio e a Dio deve ritornare. C’è in queste convinzioni il riconoscimento del carattere particolare dell’alleanza tra Israele e il suo Dio. La prima lettura e il Vangelo narrano fatti accaduti in un tempio. «Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele. “Perché dal Signore l’ho impetrato”». La vita che sboccia nel grembo della donna ha la sua origine in Dio, e all’inizio di essa sta un atto creatore di Dio. «Dono del Signore sono i figli; è sua grazia il frutto del grembo», recita il Salmo (127,3). La vita di ogni persona è il termine di un atto creativo di Dio. La famiglia merita molta venerazione perché nel suo atto costitutivo, la generazione del figlio, è in opera Dio stesso.
Occuparsi delle cose di Dio
Se confrontiamo attentamente la prima lettura e il Vangelo, vediamo che al centro stanno due ragazzi: Samuele e Gesù adolescente di dodici anni. Ambedue poi ci sono presentati appartenenti al Signore. «Per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore», dice Anna, la madre di Samuele, nel momento in cui lo dona al servizio di Dio. Gesù dice alla madre: «Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?», svelando la consapevolezza di una missione da compiere, ricevuta dal Padre. Occuparmi delle cose del Padre mio…, per essere protagonista di un mistero che ci è stato donato. Occuparmi delle cose di Dio per custodirle nel cuore come Maria e farne il tesoro e il segreto del Re. Occuparmi, cioè prendermi cura, perché «quelle cose» hanno in sé il germe dell’eternità. Occuparmi, per conoscerle e accoglierle come l’eredità che il Padre divide tra i suoi figli, e poi ritornare alle cose di sempre, di ogni giorno, alla casa che sa di pane, di festa, di fatica e di pianto. Ritornare nella carovana dell’umanità dove ci sono figli perduti e figli ritrovati e sentire che
quelle cose del Padre appartengono a tutti, perché Cristo Gesù possa rivelarsi ancora.
Generare il figlio alla sua umanità
Attorno a Samuele e Gesù, si muovono i genitori. Nel primo caso, la Parola non annota difficoltà particolari nel rapporto genitori-figlio. Nel secondo caso, il Vangelo sottolinea con forza sia una difficoltà di comprensione «ma essi non compresero ciò che aveva detto loro», sia uno sforzo di passare, da parte dei genitori di Gesù, dal semplice rimprovero «figlio, perché hai fatto così?», allo sforzo di capire «sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore». Sono due quadri di vita familiare che mettono al centro il figlio, persona che non appartiene ai genitori, ma al Signore. La Parola divina insegna che il sereno rapporto fra genitori e figli è un bene preziosissimo. La «conversione del cuore dei padri verso i figli e del cuore dei figli verso i padri» avviene nel rapporto educativo. Questa definizione dell’atto educativo è assai suggestiva. Quando il genitore educa il figlio converte il suo cuore al cuore del figlio. È un atto d’amore, poiché fa crescere la persona del figlio nella sua intelligenza e nella sua libertà: lo genera nella sua umanità.
Avviare una storia di libertà
Quando il figlio consente di essere educato, converte il suo cuore al cuore dei genitori poiché compie il più profondo atto di fiducia: ritenere vera e buona l’interpretazione e la proposta di vita testimoniate dal genitore. È una reciproca «conversione del cuore» che accade nel rapporto educativo. Essa infatti è elargizione di umanità da parte dei genitori, e corrispondenza libera e vera da parte del figlio. I genitori sono maestri di umanità, e allo stesso tempo imparano dal figlio. Chiaro è l’insegnamento di Cristo Gesù: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio». È la rivelazione che Gesù fa della sua missione, rivelando il suo rapporto unico col Padre. È questo rapporto che diventa il principio guida delle sue scelte. Il desiderio del figlio non deve mai diventare possesso. L’educazione è educazione alla libertà vera della persona. Allo stesso tempo nessuna educazione è possibile se non è salvata l’autorità dell’educatore: la paternità-maternità è anche autorità. È il senso del quarto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre».
PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
- Che cosa ne fai dei doni che Dio fa e ti ha fatto?
- Quale libertà è necessario donare perché i figli siano responsabili?
IN FAMIGLIA
Si apre un confronto fra genitori e figli per verificare quali sono gli aspetti di libertà che più fanno crescere, e quali sono invece le chiusure o le restrizioni che provocano ribellione.
Dal confronto si valuta un aspetto che serva a tutti i componenti come punto di riferimento su cui impegnarsi per migliorare ancora i rapporti.
Tratto da: Stare nella domenica alla mensa della Parola, Anno B – ElleDiCi | Fonte
[amazon_link asins=’8810613015,B00G33C812,8801054459,8801056818,8810621204,8810621409′ template=’ProductCarousel’ store=’ceriltuovol04-21′ marketplace=’IT’ link_id=’f7477e54-bf3c-11e7-a460-f1aec9ea1733′]