C’è una domanda che mi ha sempre accompagnato fin dalla mia giovinezza, una domanda che, ai tempi in cui la esprimevo io, era ritenuta superflua e comunque non determinante, ma che oggi è diventata domanda di molti che si dicono credenti in Dio ma che, proprio perché profondamente discepoli di Gesù Cristo, restano inquieti di fronte al nominare Dio. E la domanda è: “In quale Dio noi crediamo?”. Eppure siamo ancora in una stagione che conosce il dialogo interreligioso tra quelli che confessano l’adesione a un Dio, una stagione che non dubita che il Dio dei cristiani è il Dio degli ebrei e dei musulmani, il Dio della rivelazione.
E tuttavia la domanda “Quale Dio?” non è inutile, anzi: deve essere posta, contro ogni facile irenismo e ogni superficiale distinzione tra credenti e non credenti. D’altronde io stesso mi interrogo sovente sulle immagini di Dio che ho forgiato, assunto e poi anche abbandonato negli ormai lunghi anni della mia vita. Comprendo sempre più che Dio è soltanto un mistero incommensurabile, indicibile, incomprensibile e che ogni nostra parola su di lui – e solo lui sa quante ne sono state dette e scritte… – non soltanto è un balbettio, ma rischia anche di essere blasfema. Come diceva Ippolito di Roma nel III secolo, Dio è “un’espressione ambigua”.
Di fronte a Dio, non dimentichiamolo, la nostra prima reazione è quella della paura, come per Adamo quando sentì la presenza di Dio che lo cercava (cf. Gen 3,9-10). Ed è questa paura di Dio con la quale nasciamo che deve essere vinta per far posto alla fiducia, alla fede. Non a caso il Dio che appare ai credenti dell’Antico Testamento dice innanzitutto: “Non temere!”. Se regna la paura, la fiducia non è possibile, dunque non è possibile la relazione, non è possibile l’alleanza, non è possibile l’amore verso Dio e non c’è quindi la libertà amorosa nell’obbedire alla sua volontà. Non a caso anche Gesù, quando incontra uomini e donne, chiede loro: “Non temere, soltanto abbi fede!” (Mc 5,36 e par.) e sancisce che Dio stesso è intervenuto attraverso di lui con le parole: “La tua fede ti ha salvato. Va’ in pace!” (Mc 5,34; Lc 7,50). Aver paura di Dio è perciò la realtà che va assolutamente sconfitta per incontrare, ascoltare, vedere nella fede il Dio vivente e vero.
Ma la domanda resta: un Dio di cui non si deve avere paura, sì, ma quale Dio? Secondo la tradizione cristiana, Dio è innanzitutto confessato come Padre, titolo che non appare sovente nell’Antico Testamento proprio perché è il termine che tutte le genti davano al loro Dio anche senza aver avuto la rivelazione. E ancora oggi per molti cristiani è sufficiente dire che Dio è Padre per individuare il Dio cristiano. È vero che Gesù parla di Dio Padre, che lo chiama con confidenza amorosa “Abba!” (Mc 14,36), che ha chiesto di invocarlo quale “Padre nostro” nella preghiera insegnata ai discepoli, ma va osservato che anche il nome di padre non può essere assunto senza precisazioni. Ci possono essere molte figure deformate del “padre”, fonti di squilibri e inibizioni, anziché di fiducia e di libertà. Il linguaggio della paternità applicato a Dio non va certo tralasciato, ma occorre vigilanza affinché questa immagine paterna di Dio sia quella che Gesù ci ha consegnato e non sia plasmata dalla nostra esperienza della paternità umana che abbiamo vissuto e sperimentato. Nella nostra relazione con Dio, purtroppo, possiamo essere tributari dell’immagine di un padre forgiata dal sistema educativo, dalla cultura patriarcale, dalle esperienze della vita…
Per noi cristiani, Dio è il Dio di Gesù Cristo, e se è Padre, è Padre come solo lo conosce il Figlio Gesù Cristo (cf. Mt 11,27; Lc 10,22); e così non diciamo “tale è il Padre, tale è il Figlio”, bensì “tale è il Figlio, tale è il Padre”! Quale Dio, allora? Il Dio di cui solo Cristo è l’immagine (cf. Col 1,15), il Dio che si vede in Gesù Cristo, il Dio che il Figlio Gesù Cristo ci ha raccontato, rivelato (cf. Gv 1,18). Ecco il Dio dei cristiani.
Articolo pubblicato sulla rivista Jesus – Bisaccia del mendicante – Febbraio 2019