Enzo Bianchi – Le tre porte della parola

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I cristiani che vogliono vivere quotidianamente e concretamente il Vangelo di Gesù sanno che una delle difficoltà più grandi che incontrano è la pratica del perdono. Gesù è stato molto chiaro al riguardo: “Amate i vostri nemici, perdonate a chi vi ha fatto del male, pregate per i vostri persecutori”

Un proverbio arabo recita: “Ogni parola, prima di essere pronunciata, dovrebbe passare attraverso tre porte. Sulla prima c’è scritto: È vera? Sulla seconda c’è la domanda: È necessaria? Sulla terza porta è scolpita la scritta: È buona?”. C’è molta sapienza in questo detto. Dalla parola, infatti, dipende la comunicazione e da questa la possibilità della comunione e quindi della qualità della vita umana. Quanto meglio uno comunica, tanto più si umanizza. Nella parola c’è la possibilità più decisiva per uscire da se stessi e raggiungere l’altro, gli altri. Per questo il nostro Dio è un Dio che parla, e tutta la Bibbia è una testimonianza di questa Parola rivolta all’umanità in tempi e luoghi diversi fino a farsi “carne” in Gesù, uomo che ha parlato e vissuto con noi.

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Eppure la parola non è facile, né garantita, né spontanea. Occorre generarla ricevendo un seme di parola da altri, permettendo in noi una gestazione lunga, in cui la parola prenda forma e cresca, e poi occorre partorirla nella fatica, facendola venire al mondo. Non c’è parola senza una gravidanza di silenzio e disciplina che la preceda. Non c’è parola nostra che non nasca dalla parola di altri. Lungo mestiere quello di imparare a parlare… Nelle relazioni che si affacciano alla vita appare l’impulso a parlare, a esprimersi, insieme all’impulso a vivere: impulso animale, così prepotente che ci chiede di vivere anche senza gli altri ed eventualmente contro gli altri.

E in questo mortifero impulso a vivere contro gli altri la parola diventa menzogna: nella bibbia il demonio è chiamato “omicida fin da principio … menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44), perché la menzogna non riconosce l’altro e apre la strada all’omicidio che abolisce l’altro. Lo dobbiamo confessare: noi sentiamo il desiderio di non riconoscere gli altri, sentiamo un impulso alla violenza che nega l’altro, e quando parliamo siamo tentati di essere menzogneri, di non fermarci al “’Sì, sì’, ‘No, no’” (Mt 5,37). Con la parola menzognera cerchiamo di fare credere all’altro ciò che noi non crediamo, di fuorviare o di manipolare chi ci sta di fronte, di dire solo ciò che piace al nostro interlocutore, di tacere ciò che pensiamo: ecco la menzogna, che uccide la fiducia e indebolisce ogni rapporto.
Non è un caso che in ebraico verità-sincerità, “emet”, significhi anche fedeltà? Nella Scrittura la fedeltà è la verità sincera, e la verità sincera è sempre fedeltà! Essere sinceri è firmare ogni giorno un patto d’alleanza con l’altro, con gli altri: io sono io, davanti a te, che sei te stesso!

Ciascuno di noi purtroppo conosce bene le conseguenze disastrose della menzogna, soprattutto nella famiglia e nella comunità, dove l’assiduità dei rapporti, delle parole scambiate, fornisce molte occasioni alla menzogna e ne amplifica i danni. I monaci sanno che nella vita comune la menzogna inizia dalla chiacchiera inutile, dal parlare per far tacere la propria solitudine, oppure dal parlare per apparire all’altro con una maschera, non con il proprio e semplice “essere”. Tale atteggiamento scivola poi nella mormorazione, il detestabile vizio tipico dei pusillanimi. Dalla mormorazione si passa poi facilmente alla calunnia, alla maggiorazione dei fatti, a un’interpretazione sviante o manipolatoria. A questo punto l’omicidio è già avvenuto: la parola menzognera, infatti, uccide…

L’antidoto è il faticoso esercizio e la pratica quotidiana della parresía, il dire il vero con semplicità e retta intenzione. Si commetteranno ugualmente errori nella comunicazione, ma almeno non si sarà consumata la menzogna, e la relazione potrà ricominciare di nuovo. Se qualcuno va in collera, l’altro al momento si sente ferito, ma se “il sole non tramonta sull’ira” (cf. Ef 4,26) la relazione può ricominciare, perché comunque la fiducia non è messa in dubbio. Se invece accade la menzogna, è difficile ricominciare: un vaso rotto è sempre rotto, in frantumi, anche quando si attaccano i cocci! Anche allora però non tutto è perduto: resta la nobile e difficile arte del kintsugi. Come l’abile ceramista “ripara con l’oro” le fratture di un oggetto spezzato, così al discepolo di Gesù è chiesto di imparare a risanare con l’oro della carità le cicatrici provocate dalla menzogna.

Pubblicato sulla rivista Jesus di Maggio 2018 (La bisaccia del mendicante)  – Fonte