Enzo Bianchi – Commento al Vangelo di venerdì 1 Gennaio 2021

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Purtroppo negli ultimi decenni la semplicità del calendario liturgico è smentita da una ressa di feste, ricorrenze, giornate dedicate anche a realtà cristianissime, il che – va denunciato – causa una perdita di quel filo rosso profondo che consentirebbe di vivere l’anno liturgico in modo più coerente e meno faticoso. E così la giornata di oggi, 1° gennaio, è dedicata alla giornata mondiale della pace: quella pace che può solo essere dono di Dio e compito obbediente degli uomini e delle donne della terra; quella pace che Cristo, il Messia re di pace (cf. Is 9,5-6; Lc 2,14; Ef 2,14-18), ha portato, e che ancora e sempre può portare, se lo invochiamo e ci impegniamo a osservare i suoi comandi. Cercheremo dunque semplicemente di dare il primato al messaggio del Vangelo e lasceremo che da esso scaturisca il messaggio della pace, senza offuscare con le nostre parole sulla pace l’annuncio evangelico schietto e chiaro.

A Natale il testo del vangelo secondo Luca ci ha narrato come avvenne la nascita di Gesù a Betlemme e come questo evento così umano e poco appariscente fu rivelato a poveri pastori che quella notte vegliavano sulle loro greggi (cf. Lc 2,1-14). Ebbene, quei pastori, che non hanno ascoltato passivamente l’annuncio dell’angelo ma l’hanno accolto in “un cuore capace di ascolto” (1Re 3,9), si mettono in cammino per verificare ciò che hanno udito. Senza indugio, in una fretta escatologica, vanno e trovano, contemplano quell’umile “segno” (Lc 2,12) comunicato loro dall’angelo: “Maria, Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Avendo constatato la veridicità dell’annuncio, diventano essi stessi annunciatori perché ridicono, proclamano che quel neonato è il Salvatore, il Messia, il Signore: tutto questo in un’umanità reale, nella debolezza di un infante che giace non in una culla regale, ma in una greppia di una stalla della campagna di Betlemme. È impossibile per noi seguire il processo della fede dei pastori, ma è certo che essi hanno compreso che l’annuncio dell’angelo andava letto “al contrario”, non seguendo cioè l’immaginazione sollecitata dalle sue parole. Un liberatore, infatti, è un uomo forte; un Messia è un re pieno di potere e circondato da una corte;  un Kýrios è un Signore, nome di Dio ma anche titolo dell’imperatore romano regnante, Cesare Augusto: tutto il contrario di ciò che appare agli occhi di questi pastori!

La trasmissione delle parole ascoltate dall’angelo, ridette dai pastori a quanti incontravano, compresi Maria e Giuseppe, desta grande stupore (cf. anche Lc 2,33). E Maria, che aveva ricevuto la stessa buona notizia dall’angelo (cf. Lc 1,26-38), ora se la sente ripetere a voce alta dai pastori. Nel suo cuore, dunque, parole ed eventi si intrecciano, vengono pensati e contemplati, vengono interpretati con l’aiuto della sua fede-fiducia nel Dio che compie la sua parola (cf. anche Lc 2,51). Anche alla nascita di Gesù Maria ha dovuto ripetere quell’“amen”, quel “sì” pronunciato al momento del concepimento (cf. Lc 1,38) e ha dovuto ridirlo nella fede e nell’amore per Dio, perché non capiva pienamente tutto ciò che avveniva e che stava trasformando la sua vita…

Il Vangelo, la buona notizia, sta facendo la sua corsa sulla terra (cf. 2Ts 3,1), e i pastori che fanno ritorno alle loro greggi compiono le stesse azioni degli angeli, quando li avevano visitati nella notte (cf. Lc 2,13-14): “glorificavano e lodavano Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. Per loro è chiaro che la parola del Signore è efficace e si realizza sempre (cf. Is 55,10-11; Eb 4,12-13): se la si ascolta e a essa si aderisce, allora si può vedere, constatare la sua puntuale realizzazione!

La narrazione evangelica prosegue raccontando ciò che accade per ogni figlio nella discendenza di Abramo (cf. Gen 17,9-14; Lc 1,59): al compimento dell’ottavo giorno dalla nascita, il bambino viene circonciso, cioè riceve nella carne del proprio corpo un taglio indelebile, che testimonia l’essere in alleanza con Dio. Purtroppo noi cristiani non diamo importanza a questo evento riguardante Gesù, al punto che la riforma liturgica post-conciliare ha stabilito di togliere dal titolo della festa la menzione della circoncisione. Eppure questo atto è importante, perciò va ricordato e sottolineato. Non farlo significa non riconoscere lo spessore della storia e, in definitiva, non accogliere la piena umanità di Gesù, ebreo nato da ebrei nel popolo santo di Israele. La circoncisione è il segno dell’alleanza, un segno permanente nella carne, e proprio perché i cristiani non saranno più tenuti a praticarla, Gesù Cristo ha invece voluto assumerla in fedeltà alla comunione con il suo popolo, portatore delle promesse e delle benedizioni.

La chiesa, nell’occultare o svuotare di significato la circoncisione di Gesù (la Lettera di Barnaba giunge addirittura ad affermare che Maria e Giuseppe circoncisero Gesù su istigazione di un angelo maligno; cf. 9,4!), dimentica che Gesù non è stato un uomo qualsiasi o ideale, ma è stato sárx, carne, in un corpo discendente della stirpe di Abramo: Gesù era un ben Jisra’el, un figlio di Israele! Nel libro dell’Esodo sta scritto che nessun incirconciso può partecipare alla Pasqua, in quanto è fuori dall’alleanza (cf. Es 12,48): per questo Gesù è inserito nell’alleanza, per poter portare a compimento la Pasqua. Noi cristiani, venuti dalle genti, proprio “in lui”, in Cristo, “siamo stati circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo” (cf. Col 2,11). Dunque Gesù fu circonciso e noi lo ricordiamo innanzitutto a noi stessi, ma anche agli ebrei, perché Gesù appartiene a loro e perché “la salvezza viene dai giudei” (Gv 4,22). Gesù unisce per sempre la chiesa e Israele e, nello stesso tempo, su di lui la chiesa e Israele si separano! Questa ferita non dovrà mai essere taciuta, e chi è sentinella sulle mura della chiesa dovrà sempre gridarla, in obbedienza alle Scritture e al loro compimento. 

Insieme alla circoncisione viene anche dato il Nome “Gesù” a quel neonato: Nome che è la sua vocazione, Jeshu‘a, “il Signore salva” (cf. anche Mt 1,21). Sì, il Signore salva, perché “ha visitato e riscattato il suo popolo e ha suscitato per noi una forza di salvezza nella casa di David, suo servo” (Lc 1,68-69). È il Nome datogli dall’angelo (cf. Lc 1,31), nell’ora del concepimento da parte di Maria, Nome che esprime la vocazione e dunque la missione di Gesù. Quel neonato salva Israele e le genti della terra, i pagani: è lui che farà dei due un popolo solo; è lui che farà cadere il muro di separazione, è lui che sarà la pace (cf. Ef 2,14), perché fino a quando durerà il conflitto tra Israele e le genti non vi sarà pace sulla terra.

Chi oggi celebra la giornata mondiale della pace si ricordi di questa buona notizia e non la offuschi con le proprie iniziative o con trovate pastorali sempre nuove, che impediscono al Vangelo di assumere la sua assoluta centralità ed egemonia nella vita personale ed ecclesiale.

Fonte: il blog di Enzo Bianchi