Incredibile: Dio è un uomo!
Carissimi amici e amiche, eccoci “radunati insieme” per rmeditare ciò che avvenne in questa notte. Noi abbiamo semplicemente obbedito alla nostra fede in Gesù Signore e Salvatore di tutti gli uomini. Quando facciamo la professione di fede noi diciamo: “Credo in Gesù Cristo Figlio di Dio il quale nacque da Maria vergine”, e per questo noi ora insieme vogliamo celebrare la sua nascita .
Dio si fatto uomo, l’Invisibile si è fatto visibile, l’Eterno si è fatto mortale per essere l’Emmanuele, il Dio con noi e tra di noi. Questo è avvenuto nella storia e Luca ne traccia le coordinate. Al tempo in cui regnava come imperatore Cesare Augusto, mentre era governatore della provincia della Siria Quirino, durante un censimento in cui occorreva registrarsi nella città dei padri, anche Giuseppe andò da Nazareth di Galilea a Betlemme in Giudea e andò con sua moglie Maria che era incinta. E proprio a Betlemme, la città di David, il re e messia, cui Dio aveva fatto la promessa di un discendente, Maria partorisce il figlio in una stalla, unico posto trovato mancando un posto per lei nel caravanserraglio.
Questo bambino nasce dunque così, come nascono tutti i figli degli uomini ed è deposto in una mangiatoia che diventa la sua culla. E’ accaduto così e non altrimenti, ci dice Luca: una nascita come tante altre avvenute nel mondo dei nomadi, nel mondo dei pastori, in campagna. Gesù nasce, viene al mondo come un qualsiasi bambino, fragile, debole, viene al mondo nelle mani di altri, i genitori, una madre che lo avvolge in fasce, un padre il quale veglia su quel parto.
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E’ però così che quel bambino, subito, anche nel suo nascere, racconta Dio. Ciò che ci dice Giovanni del Figlio il quale ci ha raccontato Dio (exeghésato), avviene fin dalla nascita di un bambino che nasce nella povertà, nell’umiltà. Nella piccolezza narra i tratti di un Dio che è capace di umiltà, che è capace di piccolezza, che è capace di dare inizio a una vita.
E dunque da quel giorno Dio va cercato nella vita degli uomini, va cercato nella loro nascita, nel loro vivere quotidiano, nel loro morire. Noi pur di non essere noi stessi e pur di non accettare gli altri inventiamo luoghi in cui ritrovare e riconoscere Dio, ci inventiamo delle azioni in cui ritrovare e riconoscere Dio e non accogliamo il mistero dell’umanizzazione di Dio, quel mistero che solo il cristianesimo svela e proclama.
E’ l’umanità, l’umanità di Gesù che ci permette di conoscere chi è Dio ed è l’umanità di ciascuno di noi, l’umanità degli altri, degli uomini, ciò in cui noi dobbiamo vedere l’azione di Dio, l’amore di Dio di cui poi siamo costituiti, come credenti, imitatori.
Questo bambino quando nasce racconta l’amore di Dio per noi e ci chiede soltanto una cosa: di credere all’amore. Nella sua prima lettera l’apostolo Giovanni proclama: “Noi abbiamo creduto all’amore”, e questa è la vera definizione dell’essere cristiano, una definizione però che ci pone una domanda alla quale noi dovremmo rispondere nella fede, soprattutto questa notte: ma noi crediamo all’amore?
Ciascuno di noi deve chiedersi: io credo all’amore? Perché il cristianesimo, e va detto con forza soprattutto in questo tempo, prima di essere un amare gli altri, e lo ripeto, prima di essere un amare gli altri, chiede come condizione previa e assoluta di credere all’amore; perché se uno non crede all’amore può anche fare tante cose generose, grandi gesti ed azioni, ma come svela Paolo, sarebbero solo dei gesti di protagonismo, simili a bronzi sonanti.
Che cosa hanno fatto quei pastori ai quali è apparso l’angelo del Signore: hanno creduto all’amore narrato da un Salvatore, narrato da un Messia, il piccolo nato Gesù. Solo credendo all’amore di Dio hanno deciso di andare a Betlemme per vedere ciò che l’angelo aveva loro annunciato.
E attenzione: l’angelo li ha invitati ad andare a Betlemme, ma non li ha invitati neppure ad andare a vedere il Salvatore, il liberatore, il Dio con noi, e questa pagina di Luca ha qualcosa che sovente sfugge: l’angelo li ha invitati ad andare a vedere un segno, un segno, niente più di un segno. Questa è una formula inattesa nel vangelo di Luca, perché poi non fa parte del suo linguaggio: eppure questo bambino, questo bambino avvolto in fasce che sta in una mangiatoia, una scena umana, di tutte le famiglie che partorivano in quel tempo, è un segno, è soltanto un segno, solo un segno il quale rinvia ad una speranza di un altro giorno, un segno che rinvia ad una liberazione che sarà totale più tardi, quando verrà definitivamente Colui che è designato come Salvatore. E’ importante questo, è importante per noi che celebriamo Natale, contempliamo la nascita di Gesù nella carne, ma quello è soltanto un segno perché siamo invitati ad attendere la venuta del Signore nella gloria, nella parusia.
Sì, una lunga attesa quella che ci attende: a partire da quel segno noi siamo invitati a credere all’amore, perché soltanto chi crede all’amore può credere al Dio che è amore. Anche qui un capovolgimento: non si crede prima in Dio e di conseguenza essendo Dio amore si crede all’amore; no, prima si crede all’amore e nella misura in cui si crede davvero all’amore si è capaci di credere in Dio, il Dio che è narrato da quel Gesù, da quel suo Figlio fatto bambino, fatto semplice, debole, povero, come è l’uomo alla sua nascita. Così se noi crediamo all’amore anche gli angeli possono davvero cantare che è gloria a Dio nell’alto dei cieli, cioè che il nostro credere all’amore testimonia che Dio ha peso nella vita degli uomini; e così gli angeli testimonieranno anche che c’è pace per gli uomini che Dio ama.
Ma noi crediamo all’amore? L’augurio che faccio a tutti voi per il Natale, a me, a ciascuno di noi, a voi tutti, è che ci facciamo questa domanda e che ci esercitiamo a credere nell’amore: perché credere all’amore è un esercizio, non è qualcosa che va di per sé, ma è la condizione nella quale possiamo essere innanzitutto credenti in Dio e poi capaci di pace e di amore tra noi fratelli.
Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi