Purificazione del tempio? E’ mai finita!
In questa terza domenica di Quaresima la chiesa ci offre un racconto tratto dal quarto vangelo, riguardante la prima epifania di Gesù a Gerusalemme, all’inizio del suo ministero pubblico.
L’episodio è introdotto dall’annotazione temporale “Si avvicinava la Pasqua dei giudei”, la festa che Israele celebra ogni anno nel plenilunio di primavera come memoriale dell’esodo dall’Egitto, l’azione salvifica con cui il Signore ha creato il suo popolo santo, liberandolo dalla schiavitù per condurlo nella terra della libertà. Questa precisazione temporale riguardante la salita di Gesù a Gerusalemme sarà ripresa altre due volte nel vangelo (cf. Gv 6,4; 11,55). È un particolare dal profondo significato, perché ogni volta la festa di Pasqua riceve dall’agire e dalle parole di Gesù un significato più pieno, fino alla rivelazione che proprio lui è l’agnello pasquale morto alla vigilia della Pasqua, che lui inaugura la Pasqua di salvezza definitiva e universale.
Salito a Gerusalemme in occasione di questa festa, Gesù entra nel tempio (ierón), il luogo dell’incontro con Dio, dove sta il Santo dei santi, il sito della sua Presenza (Shekinah) sulla terra, ma constata che esso non è rispettato nella sua funzione; anzi, da luogo di culto a Dio è diventato luogo commerciale, sede di traffici “bancari”, mercato dove regna l’idolo del denaro. Il sinedrio, infatti, aveva organizzato sul monte degli Ulivi un tratturo per gli animali destinati al sacrificio e Caifa aveva riservato una parte dell’atrio al mercato delle vittime necessarie i sacrifici. Com’è possibile una tale perversione? Eppure, secondo le invettive dei profeti, ciò avvenne per il primo e il secondo tempio (cf. Is 56,7; Ger 7,17; Ml 3,1-6), e continua ad avvenire anche in molti luoghi cristiani… Il mercato – allora di animali necessari per i sacrifici, oggi di oggetti sacri, devozionali – facilmente si installa dove accorre la gente, sempre lenta a credere ma facilmente religiosa.
Certo, quel mercato nell’area del tempio, esattamente nell’atrio riservato ai gojim, alle genti, perché potessero avvicinarsi e cercare il Dio vivente, procurava un’enorme ricchezza ai sacerdoti, agli inservienti del tempio e a tutta la città santa. In particolare, in quel luogo erano installati banchi di cambiavalute, che consentivano a quanti provenivano dalla diaspora di cambiare le monete, di fare offerte al tempio e di acquistare le vittime per i sacrifici. Trovando questa realtà, subito Gesù “fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: ‘Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!’”.
Gesù compie un’azione, un segno, e dice una parola. In tal modo si rivela come un profeta che denuncia il culto perverso, che con parrhesía, con franchezza, legge la situazione presente e osa dichiarare di fronte a tutti la triste fine fatta da quella che è pur sempre la casa di Dio, suo Padre. Gesù domanda di mettere fine a quella pratica indegna di Dio, dà un segno del compimento della purificazione della casa di Dio annunciata dai profeti per gli ultimi tempi e attua la profezia di Zaccaria: “In quel giorno non ci sarà più nessun commerciante nella casa del Signore” (Zc 14,21). Come Geremia, critica la pratica religiosa che il tempio sembrava richiedere a nome di Dio (cf. Ger 7,15) ma, dicendo che quella è la casa di suo Padre, rivela di essere il Figlio, dunque il Messia, il Figlio di Dio (cf. Sal 2,7), atteso dai giudei quale purificatore e giudice.
Il gesto compiuto da Gesù è scandaloso per i sacerdoti e per gli uomini religiosi della città santa. Di fronte a questa azione che contraddice la loro funzione e autorità, essi si domandano chi sia mai questo Gesù venuto dalla Galilea. Gli chiedono dunque le credenziali: che autorità ha? E se ce l’ha, dia un segno, mostri la sua autorizzazione ad agire in questo modo! Scacciando tutte le vittime destinate al sacrificio pasquale, Gesù di fatto impedisce la celebrazione della Pasqua secondo la Torah, dunque attenta al culto stesso. Di fronte a questa accusa, implicita nelle affermazioni di quegli uomini religiosi che a lui si rivolgono, Gesù risponde con parole enigmatiche, che sono una profezia, ma che quei contestatori non possono comprendere nella loro verità. Dice, infatti, sfidandoli: “Distruggete questo santuario (naós) e in tre giorni lo rialzerò, lo farò risorgere”.
Gesù identifica se stesso, il suo corpo, con il santuario, con la tenda innalzata nel deserto dove Dio abitava, nella quale risiedeva la Shekinah. Quei nemici di Gesù possono sopprimerlo, e così in effetti avverrà, perché lo condurranno alla croce e alla morte; ma egli in tre giorni rialzerà quella tenda della Presenza di Dio che è il suo corpo. Sarà la sua resurrezione dai morti! Ma queste parole risuonano come incomprensibili, perché quei giudei vedono il tempio di Dio fatto di pietre e si domandano: “Questo santuario (naós) è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo rialzerai, lo farai risorgere?”. […]
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