Chi sa di essere cieco desidera vedere
Con il brano che leggiamo in questa domenica il vangelo secondo Marco conclude il racconto della salita di Gesù a Gerusalemme, ossia l’itinerario del discepolato durante il quale Gesù ha dato insegnamenti, ha formato quanti lo seguivano, nella consapevolezza che giunti a Gerusalemme sarebbe avvenuta “la fine del profeta”, mediante la sua condanna a morte. Subito dopo Gesù entrerà nella città santa, scortato festosamente e acclamato figlio di David, cioè Messia (cf. Mc 11,7-11), evento in qualche modo anticipato nella nostra pagina.
Siamo a Gerico, la porta della Giudea a oriente. Mentre non solo i discepoli ma molti altri seguono Gesù, un cieco che porta il nome di Bar-Timeo (figlio di Timeo), un uomo marginale, ridotto a mendicare sulla strada, uno “scarto” di cui nessuno si prende cura, sente dire che sta per passare Gesù di Nazaret. Essendo cieco, non l’aveva ovviamente mai visto, né l’aveva incontrato, ma la fama di questo rabbi galileo l’aveva raggiunto. Nel suo cuore era certamente presente almeno il desiderio di vedere, la speranza di avere la vista, per poter uscire dalla notte. Udito che Gesù sta passando, inizia dunque a gridare: “Figlio di David, Gesù, abbi pietà di me!”.
In questo grido vi è una grande spontaneità, vi è la sua fede giudaica nel Messia veniente, vi è l’attesa di una guarigione, della salvezza, vi è la forza di gridare e di farsi sentire, nella personale convinzione che quel rabbi può fare qualcosa per lui, dunque è un maestro capace di cura e di amore verso chi incontra. Bartimeo ripete con altre parole quanto aveva affermato Pietro: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29). In quel caso però Pietro era stato immediatamente rimproverato da Gesù per la sua incapacità di comprendere la sua vera messianicità (cf. Mc 8,30-34). Il figlio di Timeo sta invece di fronte al figlio di David, animato dalla fiducia che il Messia avrebbe aperto gli occhi ai ciechi, compiendo anche in questo le sante Scritture (cf. Is 35,5; 42,7).
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Ma allora come adesso, tra Gesù e chi lo cerca ci sono altri: qui è la folla, in altri casi sono i discepoli stessi, cioè la sua comunità, a diventare ostacolo, barriera tra Gesù e chi desidera incontrarlo. Attenzione, ciò accade anche per ragioni “sante”: paura di disturbare il maestro, volontà di proteggerlo dagli assalti della gente… Bartimeo, però, non desiste, si mette a gridare più forte, e così la sua invocazione raggiunge Gesù. Questi si ferma e lo manda a chiamare. Ciò avviene puntualmente, con le parole che tante volte i discepoli di Gesù avevano udito durante i suoi incontri con chi si trovava nella sofferenza o nel peccato: “Coraggio, alzati!”.
Nell’invito espresso con “Coraggio!” (cf. Mt 9,2-22; 14,27; Mc 6,50) c’è il cuore di Gesù, che dice innanzitutto: “Coraggio, non temere, abbi fiducia!”. Questo il primo atteggiamento necessario all’incontro con Gesù: occorre uscire dal timore, dalla sfiducia, dalla mancanza di attesa, dalla visione di se stessi come non degni di essere da lui amati. A quel punto si tratta di alzarsi – verbo egheíro, che esprime anche il risorgere (cf. Mc 5,41; 6,14.16; 12,26; 14,28; 16,6)! – dal giaciglio alla postura dell’uomo che ha speranza (homo spe erectus). Una volta in piedi, si può ascoltare e comprendere che il Signore chiama ciascuno in modo personalissimo e pieno di affetto (“Chiama te”).
Quel cieco, allora, “getta via il suo mantello, balza in piedi e viene da Gesù”. È un povero che non ha nulla, se non il mantello, segno della sua identità di escluso, unica sua inalienabile proprietà (cf. Dt 24,13). Al contrario dell’uomo ricco che non aveva saputo liberarsi della zavorra dei suoi beni, e dunque se ne era andato triste (cf. Mc 10,21-22), Bartimeo si spoglia di ogni pur minima sicurezza, del suo passato, della sua stessa vita, e balzando in piedi si mette in movimento a tentoni e viene da Gesù. Grande è l’ardire di quest’uomo, che nasce dalla sua libertà: nella sua nuda povertà e nella sua cecità sta di fronte a Gesù, attendendo tutto da lui…
Quest’ultimo non presume il bisogno di chi lo ha invocato, non si rivolge a lui in modo meccanico e anonimo, ma proprio per conoscere dalle sue parole il bisogno che lo abita gli domanda: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E Bartimeo risponde, con un tono di confidenza umile e audace: “Rabbunì, mio maestro, che io veda di nuovo!”. La preghiera è desiderio espresso davanti a Gesù, e Bartimeo desidera vedere, ben oltre la semplice visione con gli occhi: vuole vedere anche con il cuore, vuole vedere nella fede, vuole essere nella luce e non nella tenebra…
Gesù, sempre attento a ogni singolo uomo o donna che incontra, sempre capace di comunicare “in situazione”, si accorge di ciò che Bartimeo sta vivendo. Per questo si rivolge a lui con un’affermazione straordinaria: “Va’, la tua fede ti ha salvato”, parole che egli ha ripetuto spesso di fronte a chi gli chiedeva salvezza (cf. Mc 5,34 e par.; Lc 7,50; 17,19; 18,42). Innanzitutto gli dice: “Va’”, lo invita cioè a mettersi in cammino, senza chiedergli nulla. Alla libertà di chi entra in relazione con lui, Gesù risponde potenziando questa stessa libertà, invitando il suo interlocutore a esercitare la libertà.
E questa prassi di liberazione si radica in un atteggiamento che contraddistingue Gesù, al punto che possiamo intenderlo come il suo tratto specifico, peculiare: la sua capacità di cogliere e di far emergere nelle persone la fede-fiducia che le anima. Ecco come Gesù fa emergere la fede già presente nell’altro: attraverso la sua presenza di uomo affidabile e ospitale, che non dice di essere lui a guarire e a salvare, ma la fede di chi a lui si rivolge. Fede-fiducia nella vita, negli altri, prima ancora che in Dio: non è infatti possibile, per parafrasare la Prima lettera di Giovanni, “credere in Dio che non si vede, se non sappiamo credere all’altro, al fratello che si vede” (cf. 1Gv 4,20)…
Guarigione non solo fisica quella di Bartimeo, ma salvezza che lo investe interamente: infatti, “subito si mette a seguire Gesù lungo la strada”. La salvezza viene sperimentata dal credente non tanto come condizione in cui installarsi, ma come cammino perseverante dietro a Gesù, come relazione quotidiana con lui. Bartimeo si pone alla sequela di Gesù, come i discepoli che sempre lo seguono (cf. Mc 1,18; 2,14.15; 5,37, 6,1; 8,34; 10,21.28.32; 11,9; 14,51.54; 15,41), vanno dietro a lui (cf. Mc 1,17.20; 8,33.34). Colui che era cieco, ai bordi della strada, mendicante, dopo l’incontro con Gesù è capace di seguirlo come un discepolo, verso Gerusalemme. Di più, il suo grido rivolto a Gesù – “Figlio di David!” – subito dopo viene ripreso dalla folla, durante l’ingresso di Gesù nella città santa: “Benedetto il Regno veniente di David nostro padre!” (Mc 11,10). Si potrebbe dire che è questo cieco ad aver intonato per primo le grida di gloria nei confronti di Gesù…
Questo episodio è molto di più di un semplice racconto di miracolo, come il lettore di Marco può ormai capire. Gesù sta per entrare nella città santa per la sua passione e morte, ma i suoi Dodici discepoli lungo tutto quel cammino sono rimasti ciechi. Ascoltavano le sue parole ma non capivano, mostrando di essere ben lontani dal vedere gli eventi come li vedeva Gesù: prima Pietro (cf. Mc 8,32), poi tutti e Dodici (cf. Mc 9,34), infine Giacomo e Giovanni (cf. Mc 10,35-37) sono sembrati ciechi di fronte a ogni rivelazione fatta loro da Gesù. Ma ora ogni lettore può identificarsi con questo cieco di Gerico; deve solo prendere coscienza della propria cecità, gridare al Signore: “Abbi pietà di me!” e avere fede che egli può strapparlo dalla tenebra e fargli vedere ciò che i suoi occhi non riescono a vedere.
Sì, in quel mettersi in cammino dietro a Gesù, Bartimeo è per noi più esemplare dei Dodici. Dunque? Ognuno di noi si metta davanti al Signore Gesù e, guardando a lui con fede e attesa, si scoprirà non vedente. Abbia allora la forza e il coraggio di gridargli solo: “Signore, abbi pietà di me”, “Kýrie eleison”, questa invocazione brevissima eppure così completa rivolta a lui, con piena fiducia che egli può salvarci.
Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi