Enzo Bianchi – Commento al Vangelo di domenica 19 Dicembre 2021

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Il profeta e il messia nel grembo delle madri comunicano tra loro

Il quarto vangelo confessa in modo dossologico, glorioso: “La Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda tra di noi” (Gv 1,14), e anche i vangeli sinottici ci testimoniano che la Parola di Dio si è umanizzata in mezzo a noi in Gesù di Nazaret, il figlio di Maria e di Giuseppe.

Luca, in particolare, è l’evangelista che vuole precisare quando e come questa Parola, ben prima di apparire pubblicamente, ha abitato in mezzo a noi, e con audacia ci racconta il momento stesso in cui, secondo le parole del messaggero di Dio, la potenza dello Spirito santo stende la sua ombra su Maria (cf. Lc 1,35), una ragazza vergine di Nazaret, e la rende madre di un figlio di Adamo che solo Dio ci poteva dare: suo Figlio! Così, nel nascondimento, nel silenzio avviene l’umanizzazione di Dio: da quel concepimento la Parola di Dio è in mezzo a noi e Maria, la madre di Gesù, è la tenda nella quale essa prende dimora. Secondo Luca questa Parola, questo Lógos toû Theoû, inizia un viaggio, vive tra gli umani (cf. Bar 3,38), da Nazaret a Gerusalemme e da Gerusalemme fino agli estremi confini del mondo, fino a Roma (cf. Lc 2,22.41; 9,51; 24,47; At 1,8; 28,30-31). Ecco “la corsa della Parola” (cf. 2Ts 3,1), l’evangelizzazione che inizia – lo si dimentica troppo spesso – con il cammino, il viaggio di una donna, di Maria, la madre del Figlio di Dio.

Sì, perché Maria, appena ricevuto l’annuncio della sua gravidanza (cf. Lc 1,26-38), per un impulso interiore causato dalle parole dell’angelo, che rivelandole la sua maternità le ha anche rivelato la fecondità del grembo di Elisabetta, sua cugina, si mette in viaggio in fretta, la fretta escatologica, verso la montagna della Giudea. Dalla Galilea alla Giudea, da Nazaret alla periferia di Gerusalemme, un viaggio di più giorni. Da cosa è mossa Maria? Dalla carità verso l’anziana Elisabetta, che tutti dicono “la sterile” (cf. Lc 1,36), ma anche dall’ansia di comunicare la buona notizia, il vangelo ricevuto dall’angelo, nonché dal desiderio di ascoltare la cugina come donna nella quale Dio ha compiuto meraviglie. Maria appare subito come donna di carità e donna missionaria.

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Ed ecco l’incontro tra le due donne: Maria raggiunge la casa di Zaccaria, il marito di Elisabetta, il sacerdote che all’annuncio dell’angelo circa la nascita di un figlio da lui vecchio e dalla moglie sterile era restato titubante nel credere, e perciò era diventato afono, a tal punto da non poter dare la benedizione al popolo, al termine della liturgia dell’offerta dell’incenso (cf. Lc 1,8-22). Maria incontra subito Elisabetta, ed entrando in casa la saluta: una donna gravida da pochi giorni di fronte a un’altra donna gravida da sei mesi, entrambe in questa condizione in virtù della grazia e della potenza di Dio, che ha reso fecondo il loro grembo inerte; entrambe portatrici di un figlio voluto da Dio; entrambe madri, vere e proprie “tende” nelle quali dimoravano due eletti, chiamati da Dio stesso con un nome da lui rivelato. Il figlio di Maria sarà chiamato Jeshu‘a, Gesù, che significa “il Signore salva”, e si manifesterà come Messia, Figlio del Dio Altissimo (cf. Lc 1,31-32), concepito da Spirito santo (cf. Lc 1,35). Il figlio di Elisabetta, Giovanni, “il Signore fa grazia” (Jochanan), sarà colui che “camminerà davanti al Messia con lo spirito e la potenza di Elia” (cf. Lc 1,17), profeta ripieno di Spirito santo ancor prima di nascere, fin dal grembo di sua madre.

Ed ecco, appena Maria entra nella casa, rivolge il suo saluto a Elisabetta, provocando una reazione inaspettata nell’anziana parente. Con il suo saluto, infatti, Maria causa tre eventi che permettono a Elisabetta di riconoscere in lei non solo la cugina che va a trovarla, ma la “madre del Signore”. Appena Maria indirizza a Elisabetta il saluto messianico: “Rallegrati!”,

il figlio di cui la cugina è gravida, invaso dalla gioia messianica, danza, esulta nel suo grembo;

lo Spirito santo scende su Elisabetta;

lo stesso Spirito le consente il discernimento profetico di colei che le sta davanti e del frutto del suo grembo.

In quel viaggio di carità, ma anche evangelizzatore, con il semplice suono della sua voce (phoné), Maria provoca la gioia messianica annunciata dagli antichi profeti (cf. Sof 3,14; Zc 2,14), nonché la discesa dello Spirito santo su Elisabetta. E subito Giovanni sussulta o danza, rivelando alla madre l’identità profonda di Maria. Si compie così la promessa dell’angelo a Zaccaria: “Sarà colmato di Spirito santo fin dal grembo di sua madre” (Lc 1,15). E così Giovanni, ancora bambino anonimo nel grembo della madre, già profetizza, non con la parola ma con l’esultanza. Avviene una communicatio idiomatum tra figlio e madre, che riconoscono entrambi la presenza del Signore in embrione nel grembo di Maria. Sì, possiamo dire che nella Visitazione ha inizio il ministero di Maria, polo di attrazione dello Spirito santo, e insieme quello di Giovanni, che profetizza, annuncia, indica il Veniente ed esulta per la sua presenza (cf. Gv 3,29).

Questo racconto dà le vertigini: il Messia Gesù, non ancora nato ma presente nel grembo della madre Maria, incontra il precursore, profeta presente egli pure nel grembo della madre Elisabetta e, riconosciuto, causa la gioia, l’esultanza, la danza, come quella di David davanti all’arca della presenza del Signore (cf. 2Sam 6,12-15). Avviene l’incontro con il Cristo da parte di tutta la profezia che lo ha preceduto, profezia di Israele ma anche delle genti, che discerne la venuta del Veniente tanto desiderato e profetizzato; e questo riconoscimento provoca la danza adorante e gioiosa per il compimento delle promesse di Dio. Tutto questo accade grazie a due donne che si incontrano. Elisabetta allora, riempita di Spirito santo profetico, è resa capace di interpretare la danza del suo bambino nel grembo e così esclama, con un’acclamazione liturgica (verbo anaphonéo: cf. 1Cr 15,28; 16,4.5.42; 2Cr 5,13 LXX): “Tu, Maria, sei benedetta tra tutte le donne, sei beata perché hai creduto alla parola del Signore, sei la madre del mio Signore (Kýrios!)”. Non riconosce in quella gravidanza solo la fecondazione divina (“Benedetto sarà il frutto del tuo grembo [, o Israele]”: Dt 28,4), ma confessa che quell’embrione è il Signore concepito da Maria per la potenza dello Spirito di Dio. Sì, il figlio di Maria è il Cristo Signore annunciato dal salmo 110 (v. 1), dunque Maria è l’Israele benedetto, la terra benedetta perché contenente la benedizione piena e definiva di Dio per tutta l’umanità.

Sono tante le donne benedette nella storia della salvezza, anche se lo dimentichiamo troppo facilmente: da Sara a Elisabetta, infatti, la loro presenza nelle Scritture è continua. Ma Maria, proprio in quanto madre del Signore, è la benedetta tra tutte, è colei che tutte le generazioni acclameranno “beata”! Elisabetta, però, non solo benedice Maria, ma confessa anche la sua vera identità: come David, il Messia e profeta, di fronte all’arca dell’alleanza che gli veniva incontro, aveva esclamato con stupore: “Come potrà venire da me l’arca del Signore?” (2Sam 6,9), così Elisabetta esclama: “Come mi è dato che la madre del mio Signore venga da me?”. Come l’arca dell’alleanza era sito della Presenza, della Shekinah di Dio, così Maria! Veramente, secondo quanto la chiesa confesserà con intelligenza spirituale, Maria è foederis arca, arca che contiene il Signore; è colei che, significativamente, apparirà nei cieli come la donna madre del Messia (cf. Ap 11,19-12,1). Ed Elisabetta, pur consapevole di ciò che Dio ha operato nel suo grembo sterile, sa comprendere questa differenza: Maria è l’arca dell’alleanza, il luogo della presenza di Dio nel mondo, il sito in cui è localizzabile, individuabile il Dio fatto carne.

Qui il mistero è grande: mistero del Dio nascosto,

nascosto in un bambino ancora anonimo,

cioè ancora senza l’imposizione umana del nome,

ma con un nome gradito a Dio: Gesù, “il Signore salva”.

Nello stesso tempo,  mistero della profezia,

in Giovanni ancora afona,

ma che in lui sa già indicare il Veniente, il Signore,

perché egli sa subito vivere la vocazione di precursore.

Tutto questo nell’utero di due donne che parlano l’una all’altra, si ascoltano e si rallegrano lodando Dio. Il suono della voce di Maria raggiunge Elisabetta, che “canta” a lei e per lei; la confessione della fede di Elisabetta raggiunge Maria, che canta il Magnificat (cf. Lc 1,46-55).

Queste non sono preistorie del Messia, ma è la storia del Messia, del Figlio di Dio fattosi umano tra di noi: di questo sono eloquenti due donne, Elisabetta e Maria, donne capaci di fede nella parola del Signore, donne ripiene di Spirito santo.

Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi