Pastori come ladri…
Leggendo i vangeli abbiamo messo più volte in evidenza che Gesù era un uomo che sapeva vedere, osservare cose, azioni ed eventi quotidiani, e su di essi pensava, per trarre dalla realtà consolazione e lezione. Soprattutto le parabole sono per noi una testimonianza del modo di vedere e di pensare di Gesù, della sua capacità di applicare il quotidiano anche nell’annuncio della buona notizia. Gesù non consegnava verità preconfezionate, formule dottrinali, ma a volte consegnava parole di sapienza, a volte alzava il velo su molti enigmi umani e mondani: tutto questo per farci conoscere Dio suo Padre, il suo Dio, il Dio autentico, e farci conoscere se stesso.
Nel vangelo odierno Gesù sta parlando ai farisei, che gli hanno contestato la guarigione in giorno di sabato di un uomo cieco dalla nascita (cf. Gv 9,1-41). Essi si sentono guide e pastori rispetto al popolo di Dio, perché interpretano la sua parola e sanno insegnarla, dando anche l’esempio esterno di una vita condotta in osservanza alla Legge. Sono abilitati a questo ministero? Hanno veramente l’autorevolezza (exousía) per essere pastori del gregge? Gesù con molta convinzione – espressa anche dall’“Amen, amen” iniziale – consegna loro un’osservazione: dove c’è un ovile, c’è una porta attraverso la quale entra ed esce il pastore, e dietro a lui le sue pecore. Su quella porta egli vigila, veglia per proteggere il gregge. Ma a volte qualcuno scavalca il recinto proprio per portare via le pecore: è il ladro, il brigante che vuole strappare le pecore al loro pastore per fini di lucro, di accrescimento del proprio gregge. Ecco la differenza tra pastore vero e ladro, tra chi vuole il bene delle pecore e chi di esse vuole semplicemente servirsi.
Ecco allora nelle parole di Gesù il ritratto del pastore vero e buono: entra ed esce attraverso la porta, è riconosciuto dal guardiano che gli apre la porta; le pecore riconoscono la sua voce, perché il pastore le conosce, le chiama ciascuna per nome e sa condurle su pascoli erbosi (cf. Sal 23,2), precedendole per custodirle dai pericoli e dagli attacchi dei lupi. C’è un legame reciproco tra pecore e pastore, dovuto all’azione di quest’ultimo: egli le chiama ed esse si sentono riconosciute, le guida ed esse si sentono protette, le precede ed esse si sentono orientate. Il rapporto delle pecore con il pastore è questione di vita, e dunque tra loro si instaura un legame di appartenenza e di riconoscimento. Un estraneo che entra nel recinto, invece, spaventerà le pecore che non lo conoscono, le quali fuggiranno fino a disperdersi, come sempre avviene quando manca il pastore.
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Il discernimento tra pastore legittimo e pastore usurpatore e ladro non è sempre facile nella vita della chiesa. Le parole di Gesù sono un severo ammonimento, ma nei fatti quanti sono i pastori estranei o addirittura mercenari? Estranei perché non vivono “in mezzo al popolo di Dio”, non sono conosciuti nella loro vita privata, e lontani dal gregge che non li riconosce se non come funzionari: amministratori, manager, ispettori, ma non pastori… Questa purtroppo è una patologia più diffusa di quanto i fedeli possano accorgersi e avere consapevolezza.
Ma Gesù aggiunge un’altra osservazione. Con un rinnovato, duplice “amen”, dichiara non solo di essere il buon pastore, il pastore autentico del popolo di Dio, ma guardando al passato si comprende anche come la porta dell’ovile. Gesù è la porta per i pastori che lo hanno preceduto in questo servizio: se non sono passati attraverso di lui, sono stati ladri e assassini, sono stati i cattivi pastori nominati soprattutto da Geremia (cf. Ger 23,1-6) ed Ezechiele (cf. Ez 34,-31); pastori che le pecore, anche grazie all’ammonimento dei profeti, non hanno ascoltato. È dunque necessario essere istituiti pastori attraverso di lui, che li legittima a entrare e uscire dall’ovile, a guidare le pecore verso pascoli abbondanti.
Gesù parla di briganti (lestaí), di assassini che non vogliono la vita in abbondanza delle pecore, ma vogliono semplicemente possederle e servirsene, mentre parla di se stesso come di un pastore venuto perché gli uomini “abbiano la vita in abbondanza”, nella libertà e nella giustizia. Eppure proprio nel vangelo secondo Giovanni durante la passione di Gesù le folle, poste di fronte alla scelta tra Barabba, un brigante (lestés: Gv 18,40), e Gesù, il pastore buono, sceglieranno il brigante, con il peso del loro essere maggioranza. Sarebbe necessario chiedersi quale pastore in verità noi abbiamo e come facciamo discernimento sui nostri pastori.
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Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi