“Vegliate!”
“Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”. Gesù non fa una semplice esortazione, ma dà ai suoi discepoli e a noi un comando, e dice: “Fino al mio ritorno il vostro modo di essere credenti e il vostro modo di stare nel mondo sia stare svegli per attendere la mia venuta nella notte”.
È dunque Gesù a istituire la notte come il tempo e il luogo della nostra fede. Per questo noi cristiani siamo credenti nella notte non perché il mondo nel quale viviamo è solo tenebra e peccato, ma perché il Signore ha voluto lui collocarci nella notte e non in pieno giorno. Non siamo stati noi a scegliere la difficile condizione di essere credenti nella notte. E per credere nella notte il Signore ci ha dato l’unica cosa necessaria a chi sta nel buio, una lampada: la sua parola che è “lampada ai nostri passi”. La fiamma di una lampada non illumina tutto, non permette di vedere tutto ma solo quanto basta per muove i passi.
Per questo, la nostra fede, come la Parola che l’ha generata, è solo una piccola fiamma che non permette di vedere tutto come in piena luce, non possiede la chiarezza su tutto, e dunque non dà certezze incrollabili, non offre verità assolute da imporre con forza a tutti, non permette l’arroganza di chi presume di possedere tutta verità. I credenti nella notte cercano la verità con la stessa fatica con la quale nel buio si cerca il cammino: a tentoni e spesso sbagliando. Vegliare in questo Avvento sarà dunque per noi rimanere credenti nella notte, vegliando a non trasformare la piccola fiamma della nostra fede in un sole abbagliante che acceca tutti. La notte sia sempre la misura della nostra fede, perché se cediamo alla tentazione di voler vedere e sapere tutto, non vivremo più nello spazio della fede, ma delle certezze, e noi non saremo più dei credenti ma dei saccenti.
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Gesù, istituendoci credenti nella notte, vuole che la sua parola, il suo evangelo si misuri con il silenzio della notte. L’evangelo non è un’ideologia di cui far propaganda nelle piazze, non è un prodotto da svendere sul mercato e per questo non va né gridato né sbandierato. L’evangelo è una buona notizia, e la notizia buona la si racconta. Un racconto si addice più all’intimità e al silenzio della notte che alla piazza affollata di gente nell’ora di mezzogiorno. Vegliare in questo Avvento sarà dunque per noi saper raccontare l’evangelo senza infrangere il silenzio della notte.
Gesù, in fine, fa di noi dei credenti nella notte in attesa, e colui che attende, fa anzitutto l’esperienza dell’assenza, della mancanza, del vuoto, del non avere tutto e subito. Attendere è sempre invocare una presenza, una pienezza, un compimento. Essere credenti in attesa significa, allora, stare nel mondo non come chi possiede già tutto e non ha nulla da aspettarsi, ma come coloro che mancano non solo di qualcosa, ma mancano dell’essenziale: del loro unico Signore.
Noi credenti spesso stanchi, delusi a volte frustrati da duemila anni di attesa, siamo tentati di colmare questa mancanza, di riempire questo vuoto tanto difficile da sostenere. L’apostolo Pietro già conosceva la fatica di rimanere cristiani in attesa e scriveva alla sua comunità: “Verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi … e diranno: Dov’è la promessa della sua venuta?
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Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi, tutto rimane come al principio della creazione” (2Pt 3,3-4). Questi schernitori beffardi sono pronti loro ad offrirci ciò che a noi manca: un signore da servire, un regno da governare. A questo si cede spesso in nome di un pragmatismo cristiano, che si preoccupa più del cristianesimo, e dei suoi interessi che di Cristo e della sua venuta. Così, da cristiani si diventa cristianisti, cioè coloro che amano il cristianesimo più di quanto amano Cristo.
Gesù il Messia, verrà nella notte e noi lo incontreremo solo se sapremo restare credenti nella notte, svegli in attesa del suo ritorno.
A cura di Goffredo Boselli.
Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi